Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 14 aprile 2004

1° maggio, Europa apartheid di Carla Casalini

Poche voci dicono la verità su questa Europa che si sta costruendo in apartheid, la questione non suscita scandalo. Tacciono gli intellettuali, mancano iniziative forti, visibili dei movimenti, non si scaldano più di tanto i sindacati neppure quando nel ghetto vengono costretti i lavoratori – una freddezza, questa, che non sfugge all’ombra del sospetto che la questione dirimente sia di «quali» lavoratori si tratti. E’ noto che il testo del Trattato per la Costituzione, tra i non pochi nerissimi punti annovera quello sulla «cittadinanza europea», che si pretende derivabile automaticamente solo dall’avere la nazionalità di uno degli stati dell’Unione, e non già anche dall’esservi residenti: milioni di migranti, che abitano nei paesi europei anche da lunga data, ne sono perciò esclusi. Ora si aggiunge un altro tassello di esclusione, relativo all’allargamento della Ue.

Il primo maggio, data così carica di simboli come appuntamento internazionale di «festa dei lavoratori», sarà corredata di un risvolto beffardo dalle scelte dei governi della «vecchia» Europa contro i «lavoratori» dei paesi dell’est che entrano nell’Unione.

Quel giorno entrano nell’Unione dieci nuovi membri: Polonia, Slovacchia, Ungheria, Cechia, Slovenia, Estonia, Lettonia, Lituania, Cipro e Malta. Ma i cittadini degli otto paesi dell’est e baltici saranno da quella data a tutti gli effetti «comunitari» – potendosi spostare senza passaporto per turismo, per studio, per quant’altro nel territorio dell’Unione – ma resteranno immigrati extracomunitari per un certo numero di anni se invece vanno in cerca di lavoro.

Questa «sospensione» di cittadinanza è uno dei vincoli del capitolato sottoposto via via dalla Ue ai paesi candidati che, per entrare, dovevano «onorarlo» in tutti i paragrafi, e poi affidata ai provvedimenti dei singoli governi della «vecchia» Europa. Provvedimenti che già tutti hanno preso o annunciato: il governo italiano, fra gli ultimi, ha fatto sapere la settimana scorsa che farà «come tutti gli altri», fissando una «moratoria» che sbarri la strada ai lavoratori dell’est.

La scelta unilaterale dei governi prevede la più ampia discrezionalità: infatti, in principio potranno notificare a Bruxelles uno sbarramento di due anni, prorogabile fino a cinque. Poi si potrà chiedere un ulteriore biennio di blocco dei cittadini-lavoratori dell’est, se sussistano particolari «problemi» sui singoli mercati del lavoro nazionali dei «vecchi» paesi. Ma è consentita anche una selezione interna fra «quei» lavoratori: si potranno bloccare ai confini ad esempio i polacchi e «aprire» agli ungheresi o viceversa.

La giustificazione dei governi è il timore di un’«invasione» di persone in cerca di lavoro: invasione smentita da tutti gli studi e previsioni di istituti comunitari e non. Giustificazione pelosa che svela ben altri interessi: la possibilità di ingrossare le file del lavoro nero – con chi sarà costretto a venire senza «diritto» – ricavando risorse dall’economia sommersa a costo zero di spese sociali.

Bene, non risultano manifesti di intellettuali, iniziative di movimenti e associazioni contro questa palese violazione dei «diritti di cittadinanza», non si grida allo scandalo qui a ovest. «Scandalizzati» sono invece lavoratori e sindacati dell’est, come racconta il segretario generale della confederazione europea dei sindacati John Monks. E però la Ces ha scelto una posizione ambigua, non opponendosi a questa violazione – premuta dagli interessi corporativi dei singoli sindacati nazionali concordi con i rispettivi contro l’«invasione».

Per la verità le confederazini italiane Cgil, Cisl, Uil, nel gruppo di lavoro della Ces si erano dette favorevoli alla «mobilità» dei lavoratori dell’est, ma sono prevalse altre «istanze». E ultimamente dalla Cgil il responsabile immigrazione Piero Soldini si è pronunciato pubblicamente contro la chiusura delle frontiere a est, e così ha fatto dalla Fiom Agustin Breda, chiedendo al governo di astenersi da un provvedimento «restrittivo delle libertà dei cittadini europei». E’ già qualcosa, rispetto al silenzio generale, ma è ancora poco.