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da Il Manifesto del 12 agosto 2004

Venezia, l’aeroporto colpisce ancora di Cinzia Gubbini

L’aeroporto «Marco Polo» di Venezia non molla la linea dura. Dopo essere balzato agli onori della cronaca in seguito alle pubbliche lamentele del direttore del quotidiano francese Le Monde sul trattamento subìto dal figlio di origine indiana ai check dell’aeroporto veneto (controlli insistenti, in quanto di pelle scura), un’altra persona ha fatto le spese dell’«intransigenza» dei poliziotti di frontiera. Questa volta si tratta di una fotografa di trent’anni, di pelle rigorosamente bianca ma purtroppo per lei proveniente da un paese, la Romania, in pole position negli ingressi illegali. Simona Jurescu è arrivata all’aeroporto di Venezia intorno alle una della mattina di martedì. La aspettano alcuni amici italiani, uno dei quali ha sposato una ragazza rumena. Simona ha in tasca 700 euro e un biglietto aereo di ritorno per Timisoara fra due mesi, nonché tutti i numeri di telefono degli amici che deve raggiungere. Il suo viaggio in Italia, però, dura poco. Anzi, in Italia non entra per niente: respinta alla frontiera.

Appena arrivata al check di frontiera, infatti, viene fermata e portata nella stanza della polizia. Secondo gli agenti, non è credibile che una ragazza rumena venga in Italia per due mesi in visita agli amici. «Non capisco bene l’italiano, però ho inteso che non credevano al fatto che venissi in visita agli amici per due mesi. Dicevano che ero venuta per lavorare», racconta la ragazza.

Simona pensa ci sia un equivoco, visto che non capisce l’italiano e, ovviamente, non c’è un interprete. Chiama allora uno dei suoi amici italiani con il telefonino. Vanni De Lucia, un attore di teatro, si precipita in aeroporto: «Arrivato alla polizia di frontiera dell’aeroporto ho spiegato agli agenti che Simona era venuta a trovare me. Mi hanno detto che c’erano dei problemi, che secondo loro 700 euro erano pochi per stare in Italia due mesi. Gli ho spiegato che era ospite mia, che ero disposto a mettere come garanzia la mia carta di credito, ma niente da fare. Mi hanno detto: “secondo i nostri criteri, non può entrare. E’ già formalmente respinta”». Inutili anche le richieste di poter vedere Simona. La ragazza per tutta la notte è stata rinchiusa nella stanza della polizia di frontiera. Alle 11 di mercoledì mattina è stata imbarcata su un aereo neanche diretto a Timisoara, bensì a Bucarest. Era il primo volo utile verso la Romania.

Raggiunti telefonicamente, gli agenti della polizia di frontiera prima tergiversano: «L’agente che si è occupato del caso non è presente. Possiamo solo confermare che la ragazza è ripartita». Dopo numerose insistenze, troncano ogni possibile discorso: «Non possiamo dare alcuna informazione, per tutelare la privacy della persona. Si tratta di un privato, mica di un personaggio pubblico». Di nuovo la privacy, grimaldello già utilizzato dal governo per impedire alla stampa di accedere nei centri di permanenza temporanea dove vengono rinchiusi gli stranieri da espellere. Inutile spiegare agli agenti dell’aeroporto Marco Polo che la privacy, semmai, la usa il cittadino per tutelarsi dall’invadenza dello stato, e non viceversa. «La persona se vorrà potrà fare le sue rimostranze. L’abbiamo informata di tutto. Noi abbiamo fatto quello che dobbiamo fare, siamo coperti», spiega l’agente. L’unica cosa che non spiega è cosa significhi quel «siamo coperti». Dalla legge, s’intende, almeno secondo la polizia del «Marco Polo», visto che il respingimento di Simona non trova alcun appiglio giuridico, neanche tra le pieghe della famigerata Bossi-Fini. Certamente, invece, questi comportamenti sono coperti da un generale clima politico, che invoca la «mano dura», contro i potenziali terroristi e contro i potenziali clandestini. Uno dei protagonisti della vicenda, Vanni De Lucia, pensa che il problema stia anche nella gestione “regionalizzata” della polizia e se la cava con una battuta: «Sono convinto che se fosse atterrata in un altro aeroporto le cose sarebbero andate diversamente. Parlando con i poliziotti dell’aeroporto, mi sembrava di essere atterrato nel “Regno lombardo-veneto”».