Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Corriere della Sera del 20 settembre 2004

Stipati nell’hangar in attesa del verdetto «Chiediamo asilo, fuggiamo dalla guerra»

Nervosi e spaventati: i timori degli extracomunitari approdati in Sicilia con un barcone

Dal nostro inviato
Pozzallo (Ragusa) – L’alternativa fra la restituzione (rumorosa) a Malta e il trasferimento (morbido) in un Centro accoglienza dei 94 clandestini approdati sabato mattina sulle coste sotto Ragusa è il bivacco di una domenica paradossale. Con cento uomini ad alternarsi nella guardia a sventurati distesi su sfoglie di gommapiuma, sdraiati e raggomitolati in un angolo del nuovo hangar del porto di Pozzallo. Con 24 donne e 70 uomini che scrutano, ora quieti ora nervosi e spaventati, poliziotti, carabinieri, medici e volontari senza sapere se li rimanderanno a Malta o se li lasceranno liberi com’è accaduto nella vicina Siracusa la settimana scorsa per altri cento clandestini.

Liberati con un «foglio di via» che naturalmente nessuno ha rispettato, ormai dispersi chissà dove, senza che nessuno li cerchi. Da queste maglie larghe sperano di svicolare anche i 94 che le motovedette di Malta hanno lasciato ripartire nella notte di sabato per la Sicilia. Gentili ma decisi, funzionari di polizia e ufficiali dell’Arma spiegano loro che possono fare pipì nei due gabinetti dell’hangar, o sgranchirsi le gambe a turno avvicinandosi ai banchi dove si prende l’acqua. Vietato ogni altro movimento. Soprattutto verso le due uscite. Per evitare sorprese. «Finché da Roma non arriveranno istruzioni», come ripetono tutti sperando in una telefonata, in un fax, in una mail per organizzare un pullman, un aereo, una nave e scegliere una meta.

Invece, non accade nulla e la domenica ora dopo ora trascorre nell’attesa snervante di un segno che non arriva. Ogni tanto Amira, Mohamed o Hana vengono accompagnati ad un altro banco, quello della «squadra stranieri», e al computer si verbalizzano storie fotocopia. Perché dicono tutti di essere arrivati da Sudan o Eritrea, di essere in fuga da guerre e fame, pronti ad invocare pietà e asilo politico.

Poi tornano ai loro posti, distesi come è loro abitudine su stuoie e tappeti di tende e case malandate dove non hanno poltrone e divani. Ma c’è una novità in questo «carico» arrivato da Malta, come è accaduto per i 500 approdati una settimana fa a Lampedusa. Anche i 94 che bivaccano a Pozzallo sono tutti giovani forti e sani. Non una donna piegata dagli acciacchi dell’età o dalla fatica del viaggio. Non un uomo malridotto. Le ragazze hanno i capelli a posto, un filo di trucco, vanno in bagno con la tovaglietta ripiegata, il pettine per raccogliere i riccioli. Non c’è la disperazione spesso raccontata in questa nuova ondata di immigrati. Non ci sono gli odori orrendi dell’esodo a volte sfociato in tragedia.

E’ una sorpresa anche per i «Medici senza frontiere» arrivati qui con la loro pattuglia attrezzata di flebo e farmaci rimasti per fortuna in borsa. E una di loro, Monica Sanè, romana, capelli biondi, padre spagnolo, si ritrova a parlare con gli immigrati più come sociologa che come internista. Commuovendosi quando una eritrea di vent’anni le chiede aiuto: «Se torno, finisco sotto le armi o in prigione. Non voglio arruolarmi, non voglio uccidere…».
A fare la sociologa si adatta bene invece Marinella Cantalice, altra giovane e bionda colonna di «Medici senza frontiere». E’ proprio la sua laurea. E il suo compito nel gruppo di questi «angeli» che in provincia di Ragusa stanno sperimentando un meccanismo per assicurare assistenza sanitaria e psicologica agli «extracomunitari sforniti di permesso di soggiorno». Un eufemismo per indicare proprio i clandestini che lavorano fra le serre e le campagne di Vittoria, Scicli, Modica, Pozzallo e così via. Una realtà che qui non si finge di non vedere. E l’Azienda sanitaria locale ha stipulato per questo un patto con i «Medici senza frontiere» trasformando alcuni presidi della stessa Asl in ambulatori per «Stp», come si legge nel tesserino sanitario rilasciato ad ogni «straniero temporaneamente presente». «Stiamo solo applicando la legge», spiega la Cantalice con riferimento alla Turco-Napolitano e al diritto lasciato intatto dalla Bossi-Fini, il cosiddetto «accesso alla salute». Di qui l’apertura di uffici delle Asl dove i «Medici senza frontiere» operano come se si trattasse di terreno neutrale, una sorta di porto franco off limits per polizia e carabinieri. Così, alcuni dei 94 hanno appreso ieri che, se dovessero restare in zona, potrebbero comunque diventare «Stp» frequentando le Asl «con la sicurezza di non essere denunciati», come giura la sociologa: «La legge vieta ai medici di segnalare i clandestini che chiedono cure». E nessuno li cerca, «per legge».

Felice Cavallaro