Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Corriere della Sera del 4 gennaio 2005

Viaggio tra gli autori tra due culture che scrivono in italiano

Gli esempi celebri si contano su più mani: da Milan Kundera scrittore ceco in lingua francese, all’indiano Salman Rushdie che pubblica in inglese, fino all’italo-americano John Fante, celebre firma degli Stati Uniti. Sono tre padri della letteratura di migrazione, la stessa che quotidianamente incontriamo in piazza Duomo grazie ai venditori ambulanti, per lo più senegalesi: distribuiscono romanzi e poesie in lingua italiana scritti da autori immigrati. Dietro a questo fiume di parole erranti ci sono le edizioni milanesi dell’Arco (via Tortona 18, tel. 02.58.11.33.25; www.ediarco.it), che in dieci anni di attività – festeggiati alla fine del 2004 – hanno sfornato quasi 100 titoli. Qualcuno preferisce parlare di letteratura del métissage (letteralmente del «meticciato»), altri di parole migranti, non a tutti piace la definizione di letteratura italiana composta da «stranieri»: «In Africa – racconta l’autore teatrale e musicista senegalese Mohamed Ba, 40 anni di cui gli ultimi 6 trascorsi a Milano – la parola straniero non esiste. In wolof diciamo “gan” che significa ospite». Ba è uno dei tanti John Fante di Milano, la città multietnica dove negli anni Novanta iniziò la pubblicazione in Italia della nascente letteratura afro-italiana: fu Garzanti, nel 1990, a presentare il libro autobiografico «Io, venditore di elefanti» di Pap Khouma, classe 1957, originario del Senegal e da anni cittadino del capoluogo lombardo.

LA LINGUA AMICA – A distanza di tre lustri dalla prima uscita editoriale, molte cose sono cambiate. «Nella prima fase – dice lo studioso di interculturalità Massimiliano Fiorucci, docente all’Università Roma Tre e autore del saggio Incontri – questi scrittori erano affiancati da un giornalista italiano». Gli esperimenti narrativi a «quattro mani» sono ormai un ricordo e la produzione migrante è fatta oggi da «solisti». Il filo rosso che li unisce è la lingua di Manzoni, con qualche incursione nel milanese: «L’italiano – spiega lo scrittore togolese cinquantenne Kossi Komla-Ebri, medico del Fatebenefratelli di Erba – è per me una scelta, anche se il suo uso è dettato da un imperativo di comunicazione». «Alle orecchie degli scrittori africani l’italiano – aggiunge il senegalese Mbacke Gadji, 40 anni a Milano da 13 – si presenta come una lingua amica e neutra rispetto all’inglese, al francese, allo spagnolo e al portoghese, che sono state le lingue dei nostri colonizzatori». «E poi – aggiunge il poeta angolano Alvaro Santo, 33 anni in uscita con la raccolta intitolata Oceano di amore – l’italiano ha una grande musicalità».
La scrittura migrante d’origine africana ha sviluppato, a Milano, tanti temi. C’è chi, ad esempio, scrive per esorcizzare l’esperienza dell’immigrazione, oppure chi racconta il suo paese e il sogno di un ritorno impossibile. Un tratto comune è l’importanza dell’oralità: in moltissimi libri, infatti, troviamo qualcuno che racconta. «Siamo “griot” – sottolinea Gadji, tra gli scrittori più venduti sotto la Madonnina con oltre 15 mila copie a titolo – e cioè dei cantastorie».

IMBARAZZISMI ITALIANI – «Gli africani – specifica Ba – sono libri parlanti. Per questo diciamo che un anziano che muore è come una biblioteca che brucia». E sempre per questa ragione «la proprietà intellettuale dei racconti non è nostra ma dei padri dei nostri padri».
Per esprimere tutto ciò Komla-Ebri utilizza il termine «oralitura», ponendo l’accento sul trasferimento nella scrittura della tradizione orale. È ancora lui – autore del bestseller «Imbarazzismi» – a introdurre un altro elemento chiave: «Al di là dello sfogo taumaturgico, la nostra letteratura fotografa e immortala un’Italia al presente, rappresentandola con inediti valori sociologici e antropologici».
«I selvaggi – scherza – osservano e giudicano i civilizzatori, facendo loro notare come agli occhi del continente nero l’Italia non è il paese del sole ma del freddo, e come Milano sia capace – oltre che di grandissimi gesti di solidarietà – anche di non sedersi vicino a una persona di colore sul metrò».
Guardando al dopodomani e ai dati in crescita dell’immigrazione, i frutti della letteratura di migrazione – tira le somme Fiorucci – «saranno sempre più abbondanti. Avremo tanti “John Fante” che arricchiranno la nostra lingua». Mohamed Ba alza le braccia in segno di vittoria, per poi sottolineare l’importanza della cultura: «Un uomo senza cultura è come una zebra senza strisce».

Scrittori – I NUOVI CANTASTORIE – erranti “Milanesi d’Africa”

di Filippo Poletti