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Da il Mattino di Padova di martedì 31 maggio

Padova – Condannato il Caffè razzista

Il giudice ha messo fine alla polemica sul barista dell’Arcella che fece pagare prezzi più salati a un gruppo di stranieri rispetto a quelli praticati ad alcuni italiani. Il bar Sparkling è stato condannato a non ripetere tale comportamento: a parità di consumazioni, identico prezzo per tutti i clienti. Gli stranieri che hanno promosso la causa civile hanno ottenuto un indennizzo di 100 euro a testa per i danni morali subiti. E il bar dovrà pagare le spese processuali, fissate in 2 mila euro.
Pur se lontane dalle richieste risarcitorie iniziali, le pretese dei legali che tutelavano i nove extracomunitari sono state comunque accolte in fatto e in diritto. I vincitori del ricorso erano difesi dall’avvocato Aurora D’Agostino e si appellavano alla legge 286 del luglio ’98 sulla discriminazione razziale ma ne facevano anche una questione di dignità e di rispetto umano. Il rimo episodio risale al 2002, allorchè tre nigeriani pagarono due caffè e un cappuccino al banco 5,65 euro. Prezzo «maggiorato» per stranieri.

Il giudice Anna Maria Ferrante ha deciso sul caso del barista dell’Arcella che fece pagare prezzi più salati a 9 stranieri rispetto a quelli praticati ad alcuni italiani: società Stemax (che fa capo al bar Sparkling) condannata a non ripetere il comportamento riferito ai fatti di causa. Morale della favola: a parità di consumazioni, identico prezzo per tutti i clienti, bianchi o neri. Gli stranieri che hanno promosso la causa civile, assistiti da Razzismo stop, hanno ottenuto un indennizzo di 100 euro a testa per i danni morali subìti. E la Stemax dovrà pure pagare le spese processuali e di giustizia, fissate in 2 mila euro.

Pur se lontane dalle richieste risarcitorie iniziali, le pretese dei legali che tutelavano i nove extracomunitari sono state comunque accolte in fatto e in diritto. I vincitori del ricorso erano difesi dall’avvocato Aurora D’Agostino e si appellavano alla legge 286 del luglio ’98 sulla discriminazione razziale. Ne facevano anche una questione di dignità e di rispetto umano e civile.

Sono Frank Familuy Folorunsho, 42 anni, nigeriano; Destiny Abiodun, 31 anni, nigeriano; Eghareva Blessing, 23 anni, nigeriana; Dusan Todorovic, 21 anni, serbo; Igor Djordievic, 24 anni, serbo; Said Araoui, 36 anni, marocchino; Obhajadenor Okokore, 34 anni, nigeriano; Mohamed Fahly, 38 anni, marocchino; Rajko Marinkovic, 45 anni, serbo. I fatti risalgono al 14 ottobre 2002, allorché tre nigeriani pagarono due caffè e un cappuccino al banco per 5,65 euro. Prezzo «maggiorato» per stranieri. L’episodio si ripetè il 21 novembre con i due slavi accompagnati da un’amica italiana: caffè a prezzo «speciale» a seconda del passaporto. Il 27 novembre arrivò la «iena» Marco Berry a documentare anche attraverso immagini il diverso trattamento per italiani e extracomunitari. Doppia verifica, doppi scontrini, prezzi lievitati rispetto al listino. Il servizio sul «Bar Sparkling» venne poi trasmesso da Italia Uno nelle settimane successive, quando infuriava la polemica fra l’associazione Razzismo stop e il titolare del locale che rivendicava il diritto ai prezzi differenti.

Allegati al ricorso c’erano gli scontrini fiscali: due caffè e un cappuccino al tavolo pagati 2,75 euro dagli italiani e 4,40 euro dai due serbi e un nigeriano. Tre italiani consumarono una pizzetta, una Coca Cola e due caffè pagandoli 5,81 euro. Identica ordinazione «straniera»: 9,85, quasi il doppio.
Il gestore del bar Sparkling di via Tiziano Aspetti 191, Stefano Alberti, si era costituito nella causa civile promossa contro di lui dai nove stranieri, difeso dall’avvocato Patrizia Longo che aveva presentato. una corposa memoria per controbattere alle accuse di razzismo. E per respingere anche il risarcimento danni di 50 mila euro sollecitato dalle parti offese. In sostegno dei lavoratori, si erano costituiti anche l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (legali Marco Paggi e Ferrero) e Razzismo stop (con avvocato Cornaia).

Il titolare del locale all’Arcella aveva argomentato la sua decisione sostenendo che la differenziazione dei prezzi, indicata anche nel menù affisso al pubblico e subordinata al servizio svolto al tavolo anziché al banco, rappresentava una «scelta imprenditoriale». E l’aumento dei prezzi veniva motivato come «una scelta di qualità», dal momento che la Stemax aveva deciso di rivolgersi alla fascia alta del mercato, adottando prezzi anche superiori rispetto ad altri esercizi. D’accordo con le maggiorazioni. Ma non a senso unico. Il giudice lo ha vietato in sentenza.

(Enzo Bordin)