Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da La Repubblica del 4 giugno 2006

Immigrati, rivolta nel Cpt di Torino stranieri in fuga dopo gli scontri

Sei gli agenti feriti, diciotto gli extracomunitari scappati. È il terzo episodio simile nell'ultimo mese

di Niccolò Zancan

Rifondazione all’attacco: chiudiamo i Centri d’accoglienza

Torino – Urlano. Battono contro le sbarre di ferro. Spaccano tutto. Fingono malori. Rumori angoscianti per chi vive nei palazzi moderni di corso Brunelleschi, di fronte al centro di permanenza temporanea, zona residenziale, periferia ovest della città.
È incominciata così anche la rivolta di venerdì notte degli immigrati, la terza negli ultimi trenta giorni. Un ragazzo egiziano ha tentato la fuga approfittando della confusione. Erano le 2,15. Gli agenti – il turno ordinario è organizzato con undici uomini fra polizia, carabinieri e guardia di finanza – hanno cercato di bloccarlo. È nato un gigantesco parapiglia organizzato. Molto violento.
Pietre, lavandini, water, pezzi di marciapiede e blocchi di asfalto già sradicati e pronti all’uso, lanciati contro gli agenti. Idranti contro gli immigrati. Sono arrivati i rinforzi. Tre ore di tensione. Con la gente affacciata ai piani alti dei palazzi. Come il signor Andrea Galliana, 37 anni, all’ennesima notte insonne: «A un certo punto i marocchini sono riusciti a sfondare le rete centrale, hanno strappato un idrante dalle mani degli agenti. Non si capiva più niente: urla, acqua, volava di tutto, portavano via i feriti».

Un poliziotto, il vicequestore Francesco Costanzo, è stato colpito in faccia con un blocco di cemento. Denti rotti e sette giorni di prognosi: «Mi ha salvato il casco». Un maresciallo dei carabinieri è ancora ricoverato in osservazione per un trauma cranico. Sei agenti contusi in tutto. E nella notte, fra la boscaglia, oltre la recinzione alta sette metri e oltre il muro di cinta della vecchia caserma, sono riusciti a scappare in diciotto. «L’egiziano da cui tutto è incominciato, un nigeriano e sedici magrebini», spiegano in questura. Poi ci tengono ancora a precisare: «Sono tutti o quasi con precedenti penali».
Il centro di corso Brunelleschi non è mai piaciuto a nessuno, neanche alla polizia. Troppo insicuro, difficile da gestire. Inaugurato il 10 aprile 1999, primo in Italia per effetto della legge Turco Napolitano, doveva essere una struttura provvisoria in attesa di altre soluzioni. Invece negli anni è rimasto identico a se stesso.
Container prefabbricati chiusi dentro a gabbie di rete metallica, su una spianata di cemento armato. Tre zone divise: quella delle donne, quella degli africani e quella dei romeni e degli albanesi. La gestione è affidata alla Croce Rossa. Capienza massima 70 persone. Venerdì notte, nelle gabbie erano in 59, di cui 15 donne.
Ieri mattina, la senatrice di Rifondazione Comunista, Daniela Alfonzi, è entrata a guardare: «Ho visto una situazione allucinante, sporcizia e squallore. Bisogna chiudere i Cpt. È assurdo mettere insieme gente che cerca lavoro con gente già denunciata più volte».
Il sindaco Sergio Chimparino lo ripete da tempo: «È una struttura inadeguata, andrebbe trasferita, ma è il concetto stesso di centro di permanenza che deve cambiare».
Invece le gabbie di corso Brunelleschi sembrano destinate a rimanere al loro posto, sono già stati approvati i lavori di ampliamento: «Fra un anno e mezzo inaugureremo la nuova struttura – dice il prefetto di Torino, Goffredo Sottile – sarà più sicura, più decorosa».