Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Ombre e dubbi sulla morte di Moustafà Fannane: è l’ennesima vittima del sistema CPR?

La ricostruzione di Osservatorio Repressione, degli amici e dell'avvocata. La procura di Roma apre un procedimento

Start

Moustafà Fannane, 38enne, originario della città marocchina di Fqih Ben Salah e residente a Roma nel quartiere di Torpignattara è morto il 19 dicembre 2022, tre settimane dopo il rilascio dall’ultimo trattenimento in un Centro di permanenza per il rimpatrio. Per la sua morte – scrive Osservatorio Repressione – è stato aperto un procedimento presso la Procura di Roma.

Il sito di informazione dell’Associazione di Promozione Sociale spiega che «diverse persone, anche tramite post e commenti pubblici sui social-network, hanno espresso perplessità rispetto al suo stato di salute antecedente alla morte, notando in particolare un insolito gonfiore e una forte apatia: caratteristiche che non lo contraddistinguevano affatto. Fannane, infatti, era solitamente molto attivo e anche atletico, come confermano anche le sue famose acrobazie e le corse sfrenate in zona Torpignattara».

Osservatorio Repressione ripercorre, brevemente, la sua vita: «Giunto in Italia nel 2007 come molti suoi conterranei alla ricerca di un futuro migliore, cresciuto in una città con un fortissimo tasso di emigrazione verso l’Europa, svolge una vita regolare fatta di duro lavoro al fine di aiutare la famiglia in Marocco in grave difficoltà economica.

Descritto dai suoi conoscenti come persona gentile e educata, qualcosa dentro di lui vacilla intorno al 2014. Il suo comportamento cambia, trascorre sempre più tempo per le strade di Torpignattara, fino a perdersi nel suo disagio psicologico, notato da molti residenti della zona che lo porterà a perdere lavoro e alloggio. Come se non bastasse in questa situazione drammatica e precaria nel 2015 viene raggiunto da un decreto di espulsione, circostanza che non sarebbe mai stato in grado di affrontare dal punto di vista legale viste le condizioni in cui versava.

Nel 2019 il comitato di quartiere Torpignattara prova a interessarsi al suo caso invocando l’intervento delle istituzioni socio-sanitarie ma la segnalazione ha come risultato un trattenimento di sei mesi presso i Centri di Permanenza per il Rimpatrio di Roma e Torino».

Nell’estate 2020 scoppia il “caso Mustafà”: viene immortalato sul cofano di una vettura della Polizia municipale, immagine in seguito ripresa dalla pagina “Roma fa schifo” e da altre testate online locali. Secondo la ricostruzione di DinamoPress.it sono i 5Stelle e Fratelli d’Italia che in nome del (loro) decoro e a seguito anche di una campagna mediatica enfatizzata da il Tempo («Mustafà è un incubo, paura a Torpignattara») fanno cacciare Fannane dal quartiere. La conseguenza è un nuovo trattenimento forzato che avviene il 18 settembre 2020 presso il CPR di Torino.

A esultare allora sulla sua pagina facebook è il presidente del V Municipio Giovanni Boccuzzi. «Dichiarazione che non mancò di suscitare vive indignazioni e proteste da parte di molti residenti che giudicavano tale misura del tutto ingiusta e inappropriata nei confronti di una persona che aveva bisogno di cure e sostegno», specifica Osservatorio Repressione.

Nell’agosto 2022 un nuovo arresto e l’ultimo trattenimento in un CPR. «Verrà ritenuto idoneo dal punto di vista psico-fisico nonostante le vistose cicatrice da tagli e bruciature di sigarette, segni di un passato di autolesionismo e tentati suicidi, e nonostante il dichiarato abuso di alcool e hashish. Durante questo ultimo trattenimento, in contatto con una sua conoscente lamenterà di essere affetto da un gonfiore a carico del volto di cui non sa spiegare il motivo, circostanza notata poi da molte altre persone una volta uscito dal CPR le quali sono rimaste molto soprese dalle sue condizioni definite come qualcosa di simile a un imbottimento di medicinali, apatia, pallore. Dalla cartella del CPR risultava comunque avere ottimi parametri vitali all’ingresso che vedono tuttavia un significativo deterioramento fino a registrare una frequenza cardiaca di 51 battiti al minuto, una pressione arteriosa pari a 110/60 e non verranno neanche più misurati a partire dal 18 ottobre. Nella documentazione rilasciata dal centro ai legali dei familiari non risultano fogli di dimissioni, pertanto dopo 3 mesi di terapia basata sulle 25 – 50 gocce giornaliere di diazepam, il ragazzo viene rilasciato senza nessuna indicazione terapeutica o prescrizione di visita specialistica. Rinvenuto in strada privo di sensi troverà quindi la morte nell’ospedale M.G. Vannini a sole tre settimane dal rilascio dal CPR (che avviene il 28 novembre 2022). Ai parenti accorsi nella camera mortuaria per effettuare il riconoscimento della salma, il medico legale dirà che verrà effettuata una autopsia rapida», riporta Osservatorio Repressione.

Della somministrazione di farmaci e psico-farmaci nei CPR, dell’abbandono da parte delle istituzioni e della sua morte se n’è occupata anche una trasmissione di Radio Radicale condotta da Steve Emejuru nella quale è intervenuta l’avv. Angela Maria Bitonti di ASGI e Selene Jasmine Cardiff, attivista e amica di Moustafà Fannane, che ha confermato il peggioramento dello stato psicologico e di salute post detenzione.

La legale incaricata dal fratello di Moustafà sottolinea che si tratta di un caso emblematico di abbandono, emarginazione e discriminazione. La famiglia chiede di sapere cosa è successo e vuole capire le responsabilità e i motivi per i quali nessuna istituzione è intervenuta per aiutare il familiare. «I diritti fondamentali dell’uomo riguardano tutti coloro che si trovano sul territorio dello Stato a prescindere dalla regolarità del soggiorno – specifica l’avv.ta Bitonti -. Era una persona che andava aiutata e soccorsa non accusata e discriminata e portata in un CPR dove evidentemente è stato sottoposto, ma su questo sarà fatta luce dalla magistratura, alla somministrazione di psicofarmaci».

Osservatorio Repressione ricorda che proprio nei mesi successivi alla morte ci sono stati numerosi servizi giornalistici e televisivi sui Centri di Permanenza per il rimpatrio, le condizioni disumane e degradanti al loto interno, la scarsissima o quasi nulla assistenza sanitaria nonché l’uso arbitrario ed eccessivo di psicofarmaci. L’inchiesta di Altreconomia “Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei CPR italiani” ha confermato grazie ai dati ricavati dalla spesa sanitaria l’uso abnorme di antiepilettici, antipsicotici e antidepressivi: «rispetto all’esterno, su una popolazione di riferimento simile, la spesa in antidepressivi, antipsicotici e antiepilettici nella struttura di via Corelli a Milano è di 160 volte più alta, al CPR di via Brunelleschi a Torino 110, a Roma 127,5, a Caltanissetta 30 e a Macomer 25. Addirittura a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo ‘normale’ ne prevede al massimo 15. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. Anche a Milano il Rivotril rappresenta la metà del totale della spesa in psicofarmaci con 196 scatole acquistate in soli cinque mesi».

Sono queste terribili condizioni che portano le persone agli atti di autolesionismo e perfino a togliersi la vita. Ma nonostante l’oppressione, la storia della detenzione amministrativa in Italia è scandita anche dalle rivolte che rendono inagibili i centri, che “bruciano la gabbia” come è avvenuto a inizio febbraio di quest’anno al CPR di Torino.

«Questa triste vicenda dai punti ancora oscuri ci invita ancora a chiederci se il rispetto e la tutela della salute degli “ospiti” siano garantiti a partire dalle visite di idoneità alla comunità ristretta (ricordiamo che le persone affette da disturbi psichiatrici non devono essere detenute in questi centri). Ci invita anche a interrogarci come sia stato possibile che una persona in un così evidente stato di disagio (esistono in merito numerosissime testimonianze fra post sui social e video) sia potuto essere stato soggetto a numerosi arresti e trattenimenti presso centri del rimpatrio; se le istituzioni (servizio sociale del Municipio, sala operativa sociale) abbiano mai realmente provato a fare qualcosa per questo ragazzo particolarmente vulnerabile (interpellate in merito dai legali della famiglia non hanno mai fornito risposta) che era diventato ormai vero e proprio bersaglio di insulti e minacce sui social a causa dei post che lo additavano come causa del degrado del quartiere», conclude Osservatorio Repressione.

La trasmissione di Radio Radicale

Redazione

L'archivio di tutti i contenuti prodotti dalla redazione del Progetto Melting Pot Europa.