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La paura delle invisibili che sperano nel decreto flussi

Intervista a Ale, signora ucraina in bilico tra speranza e terrore

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l’intervista ad Ale

La incontriamo a Caffè Babele, lo spazio creato al Laboratorio AQ16 dalle ragazze dell’associazione Ya Basta!, dove ogni domenica si ritrovano le signore ucraine sparse nella provincia reggiana per pranzare tra amiche, scambiare pacchi e corrispondenza con il paese di origine e chiedere informazioni allo sportello di Melting Pot su come funzionano le leggi sull’immigrazione.
Dopo aver capito che non ci sono possibilità di sanatorie, nemmeno con il nuovo governo, tutta la speranza di queste signore è riposta nella domanda di assunzione che hanno presentato insieme al loro datore di lavoro a marzo alle poste. Come tantissime, anche Ale ha appreso del Decreto Flussi proprio a Caffè Babele, dove è stata poi aiutata a compilare i kit per il lavoro domestico.
La coda davanti all’Ufficio postale per tre giorni e tre notti non è servita ad arrivare tra le prime 700 quote del domestico stabilite per la provincia di Reggio e così conta sulle quote integrative stabilite con il cosiddetto decreto flussi bis, una vera salvezza per tutti coloro che hanno sacrificato giorni e giorni di lavoro nella speranza di poter aggiudicarsi i primi posti, ma non ce l’hanno fatta a rientrare tra i primi 170mila.
Attende con impazienza il nuovo decreto, ma soprattutto attende con impazienza di liberarsi dalla condizione di invisibilità in cui vive da tre anni. Si definisce proprio così Ale, “invisibile”, e ai nostri microfoni descrive un paradosso per lei inspiegabile “Una persona o dieci persone possono essere invisibile, ma cinquecentomila persone, è un po’ difficile non vederle!”.
Ci spiega anche che nessuna famiglia in Italia può assumere una badante a distanza, per questo motivo è necessario regolarizzarle quando sono in Italia.

Eppure la salvezza che il decreto flussi rappresenta per lei e per altri 350 mila lavoratori stranieri rischia di essere vanificata in un attimo dall’assurdo rientro al paese di origine, necessario per mantenere in piedi la farsa del ‘sistema quote di ingresso prefissate’.
Ale racconta come ha vissuto questi lunghi sei mesi di paura, una paura che diventa panico quando pensa al viaggio che dovrà fare in Ucraina per fingere davanti all’Ambasciata Italiana che lei non si è mai mossa dal suo paese. “E’ un viaggio che può finire in un carcere, può finire ovunque, posso anche non arrivare mai all’Ambasciata. Sarà un viaggio molto molto duro, con tante difficoltà e non sono sicura di superarle”.
Nell’intervista Ale spiega anche quanto sia difficile passare le frontiere “da invisibili”, una necessità per cui si può arrivare anche a pagare diverse centinaia di euro per evitare che sia apposto sul passaporto un timbro di uscita. Con quel timbro terminerebbe ogni speranza, perché quel timbro è la prova inequivocabile di quanto tutti sanno, ossia che chi chiede l’assunzione tramite decreto flussi è già in Italia, dove lavora.
Per questo è felice della richiesta del Progetto Melting Pot ai Ministri e anche lei chiede al Governo che nel caso la sua domanda sia accettata le sia risparmiato un viaggio verso l’ignoto, che potrebbe essere l’inizio di una tragedia, per lei, per la sua famiglia in Ucraina e per la famiglia di Reggio dove lavora.

Questo è il messaggio di Ale al Governo:
Vorrei chiedere per la prima volta un aiuto a questo governo che c’è adesso:
per favore, guardatemi, sono invisibile, sono un essere umano e non fate finta di non vedermi, mandandomi nel mio paese di origine senza permesso di soggiorno, senza vie di ritorno. Avete la possibilità di rendermi la vita più facile, evitandomi quel viaggio inutile e pericoloso. Avete la possibilità di cancellare le mie paure, le mie insicurezze. Vi prego, non rovinate tutto quello che ho costruito in questi tre anni con tanta fatica, con tanto sudore, con tante lacrime e tanto dolore.
Vi prego, non toglietemi la speranza di essere vista qui e adesso in Italia, un paese così bello e meraviglioso, anche se per ora devo fare finta di non esistere.