Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Il ricorso gerarchico contro l’Ordinanza del Sindaco di Cittadella (Pd)

a cura dell'Avv. Marco Paggi

L’ordinanza del Sindaco di Cittadella n°258 del 16.11.2007, dal punto di vista formale, impartisce disposizioni che appaiono destinate a regolare le condizioni per l’iscrizione anagrafica della generalità della popolazione (“da parte di chiunque ne presenti richiesta”), tuttavia non si può trascurare che tanto nelle premesse che nelle numerose dichiarazioni rilasciate alla stampa le intenzioni del Sindaco di Cittadella sono tanto notorie quanto evidenti e che nella pratica è fin troppo chiaro che tali disposizioni , come si evince dalle ampie premesse dell’ordinanza, molto più esplicite della parte formalmente dispositiva, saranno applicate di fatto nei confronti dei soli stranieri, comunitari e non.
Non sembra certo un caso, infatti, che la stessa Amministrazione Comunale di Cittadella abbia dichiarato alla stampa che in base alle risultanze del proprio ufficio anagrafe le domande di iscrizione da parte di cittadini stranieri, ancorché regolarmente soggiornanti, siano drasticamente diminuite, o pressoché azzerate, proprio a partire dalla pubblicazione dell’ordinanza di cui trattasi. Ad ogni buon conto, non va comunque trascurato che le censure di seguito esposte non sono riferibili soltanto alla violazione dei diritti e del rispettivo status giuridico dei cittadini stranieri comunitari ed extracomunitari, bensì anche alla generalità della cittadinanza.
L’ordinanza in oggetto cita nelle sue lunghe premesse i riferimenti normativi in materia di iscrizione anagrafica e condizione di soggiorno degli stranieri comunitari ed extracomunitari, ivi comprese le circolari ministeriali specificamente impartite per assicurare omogeneità sul territorio al riconoscimento del diritto di iscrizione anagrafica delle persone abitanti in alloggi fatiscenti o precari e delle persone con precedenti penali (circ. Min. Int. n°8 del 29 maggio 1995 e n° 2 del 15 gennaio 1997).
Ad una lettura superficiale, tali riferimenti, come pure la ridondante riproduzione delle specifiche disposizioni in materia, possono far pensare che il Sindaco di Cittadella abbia emanato un’ordinanza in linea con le recenti disposizioni introdotte dal Dlgs 30/2007. In realtà, anche a prescindere dall’evidente pregiudizio razziale verso l’”invasione migratoria” e la conseguente asserita emergenza sanitaria che a più riprese si sottolinea nelle premesse dell’ordinanza, il pregiudizio derivante dalle disposizioni contenute nell’ordinanza non solo consiste nel maggior disagio o nella sostanziale inibizione del diritto di iscrizione all’anagrafe, ma anche nell’illegittimo rallentamento e addirittura nella sospensione del relativo procedimento, in funzione di accertamenti e valutazioni che esulano dal procedimento di iscrizione all’anagrafe. Inoltre, per quanto attiene i cittadini comunitari ed i loro familiari, tali disposizioni risultano gravemente lesive del fondamentale principio di non discriminazione (che è stato ribadito da ultimo dallo stesso Dlgs 30/2007, salvo quanto in esso diversamente disposto in attuazione della direttiva 2004/38/CE), secondo l’accezione sempre affermata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Le violazioni delle stesse norme citate nelle premesse dell’ordinanza si possono sintetizzare come segue.

1) L’esercizio del potere del sindaco di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di salute e sicurezza pubblica risulta del tutto privo di fondamento nel caso di specie, non sussistendo una situazione di emergenza che caratterizzi in modo peculiare il territorio del Comune di Cittadella rispetto ad altre aree vicine o lontane, nel mentre il Ministero dell’Interno ha impartito specifiche e dettagliate disposizioni da applicare in via generale ed ordinaria in relazione al procedimento di iscrizione anagrafica. Il potere esercitabile dal sindaco ai sensi dell’art.54 Dlgs 267/2000 presuppone infatti una situazione di pericolo effettivo, specificamente rilevato in concreto con accertamenti istruttori idonei, che non può essere meramente presunto a priori con riferimento alla astratta generalità dei casi. Per l’appunto, “presupposto per l’adozione da parte del Sindaco dell’ordinanza contingibile ed urgente è il pericolo di un danno grave ed imminente per l’incolumità pubblica al quale, per il suo carattere di eccezionalità, non possa farsi fronte con rimedi ordinari e che richiede interventi immediati ed indilazionabili” (CdS, Sez. IV, n°1537/2006; nello stesso senso, ex multis , cfr: CdS, Sez. V, n°2109/2007, Cds Sez.VI n°1551/2007, Cds, Sez. IV, n°1537/2006, CdS, Sez. IV, n°1537/2006).
La palese illegittimità di un siffatto utilizzo dei provvedimenti contingibili ed urgenti non necessita di ulteriori argomentazioni, tant’è evidente; al riguardo, merita soltanto di essere sottolineato che, se da un lato il comma 8 dell’art. 54 citato prevede espressamente che il Prefetto può nominare un commissario ad acta per l’adempimento in via sostitutiva, in caso di inerzia, dei compiti assegnati dalla legge al Sindaco quale ufficiale di Governo, è d’altro canto parimenti assodato che tale intervento sostitutivo del Prefetto può avvenire anche in autotutela al fine di adottare ogni “contrarius actus” (cfr.: CdS, Sez. V, n°1551/2007), vale a dire per rimuovere provvedimenti che risultino illegittimamente adottati dal Sindaco in tale frangente, o comunque non idonei allo scopo.

2) La discriminazione, ovvero la disparità di trattamento tra cittadini italiani e comunitari, può apparire evidente a fronte della prescrizione di richiedere agli stranieri di dimostrare la disponibilità di fonti di sostentamento minime pari all’importo annuo dell’assegno sociale (5061, 68 Euro), laddove è evidente che se si dovesse applicare tale parametro anche ai cittadini italiani moltissime persone (non solo nel Meridione) dovrebbero essere cancellate dall’anagrafe. In realtà, tale “disparità” è espressamente prevista tanto dalla Direttiva 2004/38/CE quanto dalla norma di recepimento di cui al Dlgs.30/2007 e dalle relative circolari ministeriali, quindi non è tanto sotto il profilo dei requisiti richiesti al riguardo quanto in relazione al trattamento concretamente riservato agli stranieri -ivi compresi i cittadini comunitari- che viene piuttosto in evidenza la discriminazione. Infatti, se da un lato l’ordinanza non manca di richiamare la possibilità, espressamente prevista dall’art. 7 del citato Dlgs, di omettere la produzione della documentazione comprovante le fonti di sostentamento e di “autocertificare” il possesso di lecite e sufficienti fonti di sostentamento in base agli artt.46 e 47 del DPR 445/2000, tuttavia realizza un rispetto solo apparente della norma, dal momento che prescrive “preventivamente all’iscrizione anagrafica”, ovvero sospendendo il relativo procedimento, di svolgere “adeguata attività di indagine e verifica in ordine a quanto dichiarato in particolare modo in merito all’individuazione della provenienza e alla liceità della fonte da cui derivano le risorse economiche”. In questo modo si viola palesemente quanto disposto dalle stesse norme di legge citate dal Sindaco, che invece prevedono come la c.d. “autocertificazione” non possa giustificare in alcun modo il differimento della conclusione del procedimento e che la verifica non debba essere effettuata sistematicamente (paralizzando tutti i procedimenti per tempi incalcolabili) bensì a campione, allo stesso modo di come dovrebbe avvenire per i cittadini. Sotto questo profilo la violazione del principio di divieto di discriminazione, a parità di condizioni sostanziali, è evidente.

3) Né la direttiva 2004/38 né il Dlgs. 30/2007 menzionano o richiedono anche solo indirettamente particolari requisiti sotto il profilo abitativo (si richiede infatti di dimostrare solo lo stato di occupazione lavorativa o in alternativa la disponibilità di risorse minime e la copertura sanitaria). Il cittadino comunitario non è tenuto né a documentare che dispone di un alloggio, né deve dimostrare a quale titolo ne dispone più o meno stabilmente e legittimamente (contratto di locazione, atto di proprietà, concessione in uso, comodato, ospitalità, ecc.), né tantomeno deve dimostrare l’idoneità di tale alloggio o comunque sottoporsi alla verifica del rispetto di parametri di igienicità/salubrità o di adeguatezza dell’alloggio che rappresenta la sua dimora abituale e presso il quale chiede sia accertata la sua residenza.
Per quanto riguarda invece i cittadini extracomunitari, il combinato disposto degli artt. 22 e 5 bis del Dlgs 286/98 (come modificato dalla L.189/2002) prevede la verifica, in sede di assunzione e contestuale stipula del “contratto di soggiorno”, della disponibilità di un alloggio conforme ai parametri stabiliti dalle norme regionali in materia di edilizia residenziale pubblica, demandando tuttavia tale specifico accertamento allo Sportello Unico presso la competente prefettura.
Va peraltro osservato che nell’ordinanza nemmeno si accenna a quali sarebbe i parametri applicabili sotto il profilo dell’idoneità: se quelli stabiliti ai fini del rilascio del certificato di abitabilità, che tuttavia risultano inapplicabili agli alloggi edificati anteriormente all’entrata in vigore delle relative norme urbanistiche, oppure quelli di “alloggio adeguato” stabiliti dalla legislazione regionale in materia di edilizia residenziale pubblica, o quelli di “affollamento” (medio, alto ?) indicati dalla stessa normativa regionale (L.R. Veneto n°10/1996), oppure ancora quelli di igienicità e salubrità indicati dal decreto del Ministero della Sanità del 5 luglio 1975 (G.Uff. 18.7.1975 n°190).
Ma quali che siano i parametri cui avrebbe inteso riferirsi, nessuno di questi potrebbe essere imposto ai fini dell’iscrizione anagrafica –come invece di fatto avviene- quale condizione per il perfezionamento dell’iscrizione anagrafica. Viceversa, il dispositivo dell’ordinanza in questione è chiaro : “contestualmente all’accertamento della dimora abituale ….venga attuata con finalità preventive atte alla salvaguardia dell’igiene pubblica e della salubrità ambientale…un attività di verifica volta ad accertare il persistere dei requisiti igienico sanitari dell’alloggio..”. Anche a tale riguardo, dunque, viene disposto un accertamento sistematico e di non breve momento (anche a prescindere dai costi per l’Amministrazione), che di per sé appare arbitrario sotto diversi profili. Anzitutto, è evidente come anche a tale riguardo venga chiaramente disposta una sospensione o comunque un differimento di notevole entità della conclusione del procedimento, in relazione ad attività di verifica che sono rivolte non tanto all’accertamento della dimora abituale, quanto alla verifica di non meglio precisati requisiti di idoneità degli alloggi.
Tale accertamento “sanitario” in occasione dell’iscrizione anagrafica, proprio perché sistematico e non collegato a particolari situazioni già rilevate o segnalate, esula completamente dai poteri sindacali di tutela della salute pubblica e si appalesa dunque viziato sotto il profilo dell’eccesso di potere, per sviamento dell’atto rispetto alle sue funzioni tipiche. Ciò risulta a maggior ragione se si considera la palese contraddittorietà con le specifiche determinazioni, in senso esattamente opposto, che il Ministero dell’Interno ha impartito al riguardo con le già citate circolari n°8 del 29 maggio 1995 e n° 2 del 15 gennaio 1997, mai rettificate o revocate e a tutt’oggi generalmente applicate. Insomma, l’ordinanza qui avversata prescrive l’accertamento di condizioni e circostanze che esulano con tutta evidenza dal procedimento di iscrizione anagrafica e dal campo di applicazione dei provvedimenti sindacali contingibili ed urgenti, sicché risulta anche nella migliore delle ipotesi palesemente lesiva del diritto di iscrizione anagrafica di cui è titolare la generalità della popolazione.
D’altra parte, qualora invece la verifica di dette condizioni e requisiti, con la connessa sospensione del relativo procedimento, fosse di fatto applicata nella prassi –come si ha fondato motivo di ritenere- solo nei confronti dei cittadini comunitari, la conseguente disparità di trattamento risulterebbe ancor più palesemente illegittima sia nei confronti dei cittadini comunitari e dei loro familiari e sia nei confronti dei cittadini extracomunitari: quanto ai primi, verrebbe violato il generale principio di non discriminazione, con riguardo alla libertà di circolazione e stabilimento, cui è informato il Trattato CE, ribadito dallo stesso art.19, comma 2, del Dlgs 30/2007; quanto ai secondi, il trattamento differenziato loro riservato in assenza –ed anzi in netto contrasto- di specifiche norme di legge risulterebbe senz’altro riconducibile alla definizione di discriminazione sanzionata dall’art.43 del Dlgs 286/98.

4) Quel che forse è ancor peggio, dal punto di vista della prevenzione razziale che si va così a diffondere, è l’immagine criminogena generalizzata che si tende a dare della presenza di stranieri comunitari e non, laddove si dispone, sempre in forma preventiva, vale a dire paralizzando la conclusione del procedimento sino all’ottenimento dei riscontri (improbabili) da parte di Questura, Prefettura e Autorità Giudiziaria, l’accertamento del “presunto status di pericolosità sociale”, a seguito dell’acquisizione diretta, o per il tramite di atti emessi e/o provvedimenti precedentemente adottati da parte dell’Autorità Giudiziaria e/o di Pubblica Sicurezza, di informazioni al riguardo. A parte il fatto che i tempi di tali verifiche potrebbero essere incalcolabili, specie se si considera che non sussiste alcun dovere (a parte le scarse risorse disponibili…) di riscontrare simili richieste dell’ufficio anagrafe da parte delle suddette Autorità, semmai –proprio a fronte dell’estraneità di simili verifiche al procedimento di iscrizione anagrafica- si dovrebbe considerare piuttosto il generale divieto di divulgazione delle informazioni possedute dall’Autorità di Polizia e dall’Autorità Giudiziaria. Ma anche prescindere da tali rilievi, va sottolineato che in questo modo si realizza una condotta che sostanzialmente anticipa in funzione preventiva gli effetti ostativi di provvedimenti sanzionatori (allontanamento o espulsione, a seconda che si tratti di cittadini comunitari od extracomunitari) che potrebbero essere invece adottati solo caso per caso ed a fronte di accertamenti aventi carattere definitivo, provvedimenti sanzionatori che peraltro non competono minimamente al Sindaco o all’ufficiale di anagrafe bensì al Prefetto o al Ministro dell’Interno. In pratica, non si può paralizzare la generalità delle iscrizioni anagrafiche (si dovrebbe ritenere che ciò possa riguardare anche i cittadini italiani) solo perché si presume una possibile pericolosità che deve essere accertata da altri soggetti istituzionali a ciò preposti dalla legge, specie se si considera che l’iscrizione anagrafica non toglierebbe comunque nulla alla possibilità di adottare i provvedimenti sanzionatori del caso –da parte degli organi realmente competenti- se e quando necessario.

5) Al paragrafo 5) dell’ordinanza si può rilevare una violazione macroscopica per quanto attiene il diritto di iscrizione dei cittadini extracomunitari, laddove si prevede quale titolo di soggiorno idoneo allo scopo solo la carta di soggiorno e non anche il permesso di soggiorno, il che vale a dire che si escluderebbe dall’esercizio del diritto pacificamente riconosciuto la maggior parte dei cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti, che come è noto possiede il “normale” permesso di soggiorno. Ciò viola manifestamente quanto disposto dall’art.6, comma 7, del Dlgs. 286/98.

6) Si prevede l’istituzione di un’apposita commissione interna, composta dall’ufficiale di anagrafe, da un funzionario dell’ufficio demografico e da un appartenente alla polizia locale, per il vaglio delle singole domande di iscrizione e la decisione sulla ritenuta necessità di inoltrare l’informativa preventiva (ovvero la richiesta di informazioni) al Prefetto e al Questore di Padova: ciò comporta la devoluzione di poteri-doveri di ufficiale di Governo -tipicamente statali- ed in specie di poteri a carattere decisionale e non di semplice supporto all’istruttoria delegata all’ufficiale di anagrafe, nei confronti di pubblici dipendenti che non hanno alcuna attribuzione legale per svolgere funzioni di ufficiali di Governo.

Sulla scorta di quanto sopra esposto si confida che le SS.LL. Illustrissime potranno constatare e valutare la palese illegittimità dell’ordinanza sindacale di cui in premessa sotto molteplici profili:
– violazione di legge, con specifico riferimento alle diverse norme sopra citate ed al principio di non discriminazione;
– incompetenza, per mancanza di attribuzioni in capo al Sindaco con riferimento alle verifiche da questi disposte nell’ambito del procedimento di iscrizione all’anagrafe;
– eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti determinazioni del Ministero dell’Interno e per sviamento di poteri.

In specie, si vorrà considerare che le suddette violazioni risultano poste in essere nell’ambito dell’illegittimo esercizio della funzione di ufficiale di Governo da parte del Sindaco di Cittadella, che deve ritenersi esercitata in una posizione gerarchicamente subordinata rispetto alle funzioni di direzione e vigilanza sulla tenuta delle anagrafi della popolazione residente che gli artt. 12 della L. 1228/1954 e 54 del DPR 223/1990 attribuiscono al Ministero dell’Interno.
Pertanto, il sottoscritto, nella veste ut supra, chiede vengano accolte le seguenti

Conclusioni:

1) si disponga, in via principale, l’annullamento dell’ordinanza di cui in premessa;
2) in subordine, si proponga al Governo di avvalersi immediatamente della facoltà di esercitare il potere sostitutivo a tutela dell’unità giuridica della Repubblica previsto dall’art. 120, comma 2 Cost. nei confronti degli enti locali e a tal fine si inoltri al Consiglio di Stato la richiesta di parere necessario in base all’art. 2, comma 3, lett. p) della legge 23 agosto 1988, n. 400, onde sottoporre al Consiglio dei Ministri ogni determinazione concernente l’annullamento straordinario a tutela dell’ordinamento degli atti amministrativi illegittimi;
3) in ulteriore subordine, ai sensi di quanto disposto dall’art.54, comma 8, del Dlgs 267/2000, disporsi in autotutela la nomina di un commissario ad acta onde adottare in via sostitutiva ogni opportuno provvedimento atto a ripristinare la legalità.

Avv. Marco Paggi.