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Parma – Quale protezione per i rifugiati?

Da lunedì venti persone accolte dalla chiesa di Santa Cristina

Da ieri notte dormono in una chiesa, l’unica struttura che ha aperto le porte per accogliere circa venti persone, rifugiati o beneficiari di protezione umanitaria.
Per due mesi hanno dormito nel dormitorio di Padre Lino, aperto nei mesi invernali per l’emergenza freddo e che la scorsa notte ha chiuso, mandando fuori gli ultimi ragazzi che vi dormivano.
La rete Dormire fuori, nata a Parma da associazioni e gruppi impegnati sul tema del diritto alla casa, denunciava da giorni la situazione che si stava creando in città.
Giorno dopo giorno, alla spicciolata, gruppi di due o tre persone venivano allontanati dal dormitorio preparandone la chiusura. Venerdì una lettera è stata inviata alle autorità cittadine, Prefetto e Sindaco, e al Ministero, per denunciare la situazione. Sabato in una conferenza stampa sotto al Comune sono stati forniti i numeri, i dati e la situazione di questi migranti: in fuga da Sudan, Eritrea, Etiopia e Costa d’Avorio, sono arrivati in Italia per cercare rifugio e protezione. E pensando di avere diritti. Dormono da mesi in strada, mangiando una volta al giorno, senza lavoro, senza poter andare a scuola o costruire il proprio futuro.
Dopo l’arrivo in Italia, attraverso Sudan, Libia, e il mare, sono sbarcati lungo le coste della Sicilia. Sono stati settimane o mesi in campi di identificazione, dai quali, una volta ottenuto il permesso, sono usciti senza una meta o un progetto che li sostenesse per iniziare una nuova vita in Italia.
Sono arrivati a Parma per caso e qui hanno iniziato a dormire nei parchi, sotto i ponti o ai portici della Pilotta. Per un breve periodo al dormitorio, ma l’emergenza freddo è finita e si sono trovati di nuovo in strada, con storie diverse e lingue differenti ad affrontare quello che non immaginavano di dover vivere nel paese che ha dato loro protezione.
Ora dormono nella chiesa, con il sostegno di alcune associazioni e gruppi che hanno portato coperte e che ogni sera portano qualcosa da mangiare. Ma questa, dicono, non è la soluzione. “Vogliamo una casa, vogliamo andare a lavorare per poter vivere. Perché nel nostro paese non potevamo più vivere, ma questa situazione non è tanto diversa.”

Due di loro ci hanno raccontato le loro storie.
Ascolta Benjy, audio in lingua inglese.
Parte I.
Parte II.
Ascolta Samuel, audio in lingua italiana.