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da Gazzetta di Parma del 16 aprile 2008

Parma – Venticinque rifugiati nella chiesa di Santa Cristina

Don Scaccaglia: con questo freddo non possono dormire all’aperto

di Mara Varoli
II «Non è un’occupazione, ma un’accoglienza, da parte della comunità». A parlare è don Luciano Scaccaglia. La sua parrocchia, quella di Santa Cristina, per la seconda notte consecutiva ha ospitato 25 persone provenienti
dall’Eritrea, dal Sudan, dall’Etiopia, dalla Costa D’Avorio e dal Darfur.
Rifugiati politici o titolari di protezione umanitaria che sono rimasti senza tetto, «perché il dormitorio di Padre Uno ha chiuso i battenti e questi immigrati non sanno dove andare a dormire – continua il sacerdote -.
Noi speravamo che il dormitorio chiudesse con la bella stagione: con questo freddo non è possibile dormire all’addiaccio. C’è chi ha portato delle coperte e se non ci sarà caldo abbastanza accenderò anche il riscaldamento. D’altronde la chiesa è aperta ai poveri e Gesù di notte non rimarrà solo».
I senza tetto rimangono in chiesa dalle otto di sera alle sette della mattina. «In questi giorni – racconta Alberto Marzucchi della «Rete dormire mori» – c’è chi ha dormito intorno al monumento di Verdi, sulle panchine, e chi in Piletta. Altri in zone abbandonate. Abbiamo fatto una riunione, abbiamo protestato davanti al municipio, abbiamo mandato una lettera al prefetto, al questore e al sindaco ma non abbiamo avuto risposta. Abbiamo cercato altre soluzioni ma non ne abbiamo trovate».
«Cosi – continua Marzucchi – d siamo rivolti a don Scaccaglia, anche se il problema non è della chiesa: non è un luogo adatto, ma almeno questi ragazzi non dormono all’addiaccio, il paradosso è che sono tutti rifugiati,
non sono clandestini: sono regolarissimi e frequentano scuole per prendere una specializzazione. Sono ragazzi splendidi che hanno dai 20 ai 30 anni di età. Il problema però non è della Caritas. Questi ragazzi hanno dei
diritti. Diritti che – conclude il rappresentante della «Rete dormire fuori» – non vengono presi in considerazione, nonostante le leggi internazionali».
Ragazzi che alla sera sono aiutati dai volontari della Pubblica assistenza che gli portano i sacchetti con i prodotti alimentari. «Di giorno andiamo a mangiare in mensa» confessa Bakar, 23 anni, che racconta di essere scappato dalla Costa D’Avorio. Aldilu, 32 anni, arriva invece dall’Eritrea: «Troppi anni di guerra
e troppa prigione – ricorda -. Mi tenevano nello sporco e senza cibo. Poi sono arrivato in Italia».
«Ogni giorno cerchiamo la fortuna: un lavoro – dice Beniamino, 26 anni, eritreo -. Gli altri Paesi non trattano così i rifugiati. Qui siamo costretti a dormire nei giardini o vicino alla stazione: oltre al freddo c’è anche la paura». «Non so – conclude Kidani, sempre eritreo – cosa faremo domani».