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Migranti – Medici contro la tortura, a Roma business dell’accoglienza

Una denuncia sulle condizioni di vita nei centri di accoglienza della capitale, una testimonianza “per chi crede in una categoria omogenea degli stranieri” e un appello alla mobilitazione “per chi conosce le difficilissime condizioni di vita dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia”. Questi i contenuti di una lunga lettera scritta collettivamente dal Gruppo Rar (Richiedenti asilo Roma) e letta pubblicamente in occasione di un evento organizzato da ‘Laboratorio 53’ e dall’associazione Medici Contro la Tortura.
“E’ importante dare la parola ai richiedenti asilo”, ha spiegato il presidente e fondatore dell’associazione di medici Carlo Bracci, “perche’ nella loro posizione di assoluta mancanza di potere tendono a non parlare: chi ha un posto in un centro di accoglienza tace perche’ teme di rimanere per strada”. Secondo Bracci, il sistema dei centri d’accoglienza della capitale, “innanzitutto esclude i piu’ deboli, i malati che non possono avere una dieta adeguata e sono costretti, per problemi di costi di vigilanza, a stare fuori dal centro dalla mattina alla sera, ma poi ghettizza e ostacola l’integrazione sociale”. Per il presidente di Medici Contro la Tortura, sarebbe auspicabile “un sistema di accoglienza gia’ sperimentato in altre citta’ italiane, basato sul sostegno all’affitto di appartamenti da parte dei rifugiati. Con i centri di accoglienza – sottolinea Bracci – ci guadagnano soprattutto le associazioni, anche se occorre distinguere e i contenuti della lettera, non sono riferibili a tutte”. “Tra te e il mondo resta il regolamento -recita il testo- le persone che dormono in un centro devono restare fuori tutto il giorno, non possono cucinare e questo costringe a mangiare in strada o nelle mense”. E ancora: “Siamo tecnici informatici, insegnanti, infermieri, studenti, ma con la protezione umanitaria i nostri diplomi non possono essere convalidati e questo e’ uno spreco per tutti”. Nei centri i richiedenti asilo rivendicano possibilita’ di partecipazione: “Siamo trattati come colpevoli perche’ non paghiamo, eppure il Comune spende soldi per l’accoglienza. Ho chiesto di leggere la convenzione che il mio centro ha con il Comune, ma per tutta risposta mi hanno preso in giro: basta con il business dell’accoglienza”.
La paura, che caratterizza la condizione del richiedente asilo, resta un tema dominante nel documento: “Nel mio centro vince la paura, come in Eritrea da cui la dittatura ci ha costretti a partire”, e’ la testimonianza di un richiedente asilo, “la paura di dire qualcosa che non devi dire, di chi sta vicino a te. Ci sono spie del governo eritreo ovunque a Roma, intorno alla stazione Termini, nei centri di accoglienza, alle feste della nostra comunita’. Se parli puoi finire nella lista nera dell’ambasciata, prendono i tuoi familiari e li fanno sparire. Per questo stiamo tutti zitti”.