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Assegno sociale – L’illegittimità dei requisiti richiesti

a cura dell'Avv. Marco Paggi

Con la circolare n. 1 del 2 gennaio, l’Inps, ha comunicato l’adeguamento per il 2009, dell’importo annuo dell’assegno sociale. L’assegno sociale non è solo una somma che viene erogata a titolo di prestazione di assistenza, in determinate condizioni, ma è anche, com’è noto, per gli stranieri extracomunitari, un parametro che viene utilizzato dalla legislazione anche ad altri scopi. In particolare, l’importo annuo dell’assegno sociale, è anche il parametro su cui si basano i requisiti di reddito per ottenere l’autorizzazione alla ricongiunzione familiare e, sempre ai fini di calcolare la sufficienza del reddito, viene utilizzato anche per ottenere per se e anche per i propri familiari a carico, il permesso Ce per soggiornanti lungo periodo. Di conseguenza, l’importo dell’assegno sociale, è rilevante, non solo per chi è interessato a ottenere questa prestazione di assistenza, ma anche per chi è interessato ad ottenere la ricongiunzione familiare e la cosiddetta carta di soggiorno. Ma anche per quanto riguarda i cittadini comunitari questo parametro è rilevante: per loro ed i loro familiari è utilizzato ai fini dell’iscrizione anagrafica che consente il riconoscimento del diritto di soggiorno oltre i primi 3 mesi, anche se con riguardo alla automatica applicabilità di questo parametro ancora si discute sull’imposizione di un simile automatismo. La normativa comunitaria infatti non prevede un importo esatto, ma prevede la dimostrazione di risorse sufficienti per il sostentamento, che possono essere valutate anche con riferimento al caso particolare, a seconda anche delle condizioni lavorative e alloggiative, del soggetto interessato. La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha in più occasione precisato come non vi debbano essere automatismi nella verifica del reddito o delle risorse di sostentamento economiche per i cittadini comunitari ed i loro familiari ai fini del legittimo esercizio del diritto alla libertà di circolazione e stabilimento nei paesi membri. Tuttavia, sappiamo che nella prassi amministrativa degli uffici anagrafe questa verifica viene considerata, sia pure in modo discutibile, come un automatismo e pertanto, anche per i cittadini comunitari e per i loro familiari, l’importo dell’assegno sociale assume rilevanza.

L’importo annuo dell’assegno sociale è stato stabilito dall’Inps, per il 2009, in 5317,65 euro pari ad un importo mensile di 409,05 euro moltiplicato per 13 mensilità, perché anche l’assegno sociale prevede l’erogazione della tredicesima. L’assegno sociale, in quanto tale, è erogato dall’Inps alle persone che, secondo una recente modifica legislativa, siano residenti in Italia legalmente da almeno 10 anni in modo continuativo.
Per ottenere l’assegno sociale si dovrà inoltre aver compiuto 65 anni, non avere altre forme di pensione e avere un reddito annuo che non superi per l’anno di riferimento, in questo caso per l’anno 2009, l’importo corrispondente ai 5317,65 euro. Nel caso si tratti di persone coniugate questo importo del reddito è elevato a 10 635,30 euro. In sostanza, un cittadino che ha compiuto 65 anni di età e non ha altre forme di pensione, se ha un reddito che non supera i 5317,65 euro o i 10635,30 euro, nel caso di persona coniugata, e non svolge un’attività economica che produca un reddito superiore, può chiedere (è sempre onere dell’interessato chiedere, non viene nessun automatismo nell’erogazione) l’erogazione dell’assegno sociale.

L’assegno sociale spetta anche alle persone che sono ospiti di un istituto, pensiamo alle persone che sono ospitate nelle case di riposo. Nel caso in cui la retta di permanenza sia pagata dal comune di ultima residenza, in mancanza di risorse patrimoniali o di redditi da parte dell’interessato, l’assegno viene erogato all’interessato in misura ridotta del 50%.
Se invece la retta è per metà a carico dell’interessato o dei suoi familiari, l’importo erogato sarà ridotto del 25%. Se invece i familiari pagano più della metà dell’importo della retta, l’assegno è corrisposto per intero. Abbiamo già detto che l’assegno non viene corrisposto automaticamente. Per ottenere quindi questa prestazione è necessario presentare la domanda apposita alla sede dell’Inps competente della regione di residenza. Una volta verificati i requisiti previsti, l’assegno sociale viene erogato dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda.

Per evitare fraintendimenti ricordiamo che oggi, parlare di assegno sociale ,o di pensione sociale, è sostanzialmente la stessa cosa, perché l’assegno sociale, a decorre dal 1° gennaio ’96, ha sostituito la pensione sociale. Si tratta insomma di una sorta di pensione che viene data a chi non ha maturato un pensione di altra natura, quindi non ha versato nella sua vita lavorativa contributi tali da poter maturare una pensione ed è privo di risorse di reddito sufficienti.

Rispetto ai criteri per l’assegnazione dell’assegno sociale, una recente disposizione normativa ha introdotto delle modifiche sulle condizioni ed i requisiti generali per il suo ottenimento. Questa modifica è stata adottata sostanzialmente per limitare la possibilità di erogazione di questa prestazione d’assistenza sociale ai cittadini stranieri.

Nella Gazzetta Ufficiale n. 195 del 21 agosto 2008 è stata pubblicata la legge del 6 agosto numero 133 che ha convertito, con alcune modifiche, il decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008 – Misure urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.
Tra queste varie disposizioni, l’art. 20, comma 10, della legge 133, ha stabilito che, per gli aventi diritto all’assegno sociale, è necessario l’ulteriore requisito costituito dal soggiorno legale, in via continuativa, per almeno 10 anni nel territorio nazionale. Questo requisito, la residenza di 10 anni, si applica anche ai cittadini italiani quindi potrebbe comportare qualche difficoltà per i cittadini italiani che abbiano vissuto all’estero per un periodo più o meno lungo e che abbiano fatto un rientro abbastanza recente, quindi da meno di 10 anni, sul territorio italiano. Chi ha lavorato o vissuto all’estero e non ha maturato una pensione, se intende rientrare in Italia, deve farlo prima che manchino 10 anni al compimento del sessantacinquesimo, perché altrimenti dovrà attendere ulteriormente per poter maturare il diritto alla erogazione dell’assegno sociale.

Ma lo scopo principale di questa modifica della normativa è quello di limitare ulteriormente l’accesso all’erogazione di questa prestazione di assistenza sociale ai cittadini stranieri.
Questo è esplicitato anche nella circolare 105 del 2 dicembre 2008 con cui l’Inps ha diramato le disposizioni operative alle sedi periferiche. Sottolineiamo anzitutto un aspetto, queste disposizioni valgono a partire dall’entrata in vigore della legge 6 agosto 2008 numero 133, che non contiene alcuna norma di carattere retroattivo. Non valgono invece per quanto riguarda le prestazioni di assistenza sociale precedentemente erogate, quindi, non è idonea a condizionare minimamente i diritti già acquisiti in base alla legislazione anteriore. In particolare, ricordiamo che la Corte di Cassazione ha ribadito più volte, si tratta quindi di giurisprudenza consolidata, il principio per cui, anche la precedente riforma della normativa sulla prestazione di assistenza sociale rivolta agli stranieri, con decorrenza dal 1° gennaio 2001, non poteva incidere sulle prestazioni già riconosciute anteriormente e quindi, chi ha ottenuto il riconoscimento dell’assegno sociale anteriormente al 1° gennaio 2001, ha diritto di conservare la prestazione, anche se i requisiti successivamente imposti dalla legge non gli avrebbero consentito di ottenerla. Chi ha ottenuto la prestazione di assistenza sociale in possesso di semplice permesso di soggiorno entro il 31 dicembre 2000, ha diritto di conservarla anche per tutti gli anni a venire e quindi, né la normativa successiva contenuta nell’art. 80 della legge finanziaria per l’anno 2001 numero 388, né questa disposizione ora entrata in vigore, possono incidere sulle posizione giuridiche già acquisite come diritto soggettivo.

Le nuove domande invece, non mancheranno di essere sottoposte alla nuova normativa in vigore.
Si stabilisce che, nella fruizione dell’assegno sociale, sono equiparati ai cittadini italiani:
– gli stranieri e gli apolidi che abbiano ottenuto la qualifica di rifugiato politico ai sensi della Convenzione di Ginevra o lo status di protezione sussidiaria, quello che una volta si chiamava permesso di soggiorno per motivi di protezione umanitaria;
– gli stranieri extracomunitari o apolidi titolari della carta di soggiorno;
– i cittadini comunitari e i loro familiari a carico, che soggiornano in Italia per un periodo superiore ai tre mesi, oltre il quale hanno l’obbligo di iscrizione all’anagrafe del Comune di residenza;
– i cittadini della Repubblica di S. Marino residenti in Italia.

Quindi, secondo queste disposizioni, non basta il semplice possesso del permesso di soggiorno, ma è necessario un titolo, la carta di soggiorno, o il permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo che, come è noto, per essere rilasciato, richiede una verifica sulla disponibilità di un reddito minimo.

Ma oltre a questi requisiti, è necessario questa ulteriore condizione introdotta dalla modifica normativa: la residenza legale e continuativa per almeno 10 anni nel territorio nazionale.
Questo significa che, al momento della domanda, d’ora in avanti, si dovrebbe essere in possesso della carta d soggiorno (parliamo ovviamente degli extracomunitari) ma anche dimostrare che si è residenti da almeno 10 anni e che quindi vi è un soggiorno legale da almeno 10 anni, da dimostrare con tutta la documentazione relativa e salve le verifiche che potranno essere effettuate, e altresì una iscrizione alla anagrafe della popolazione residente. Con questi requisiti saranno alquanto rarefatti i casi di cittadini extracomunitari che potranno accedere a questa prestazione nonostante il compimento del sessantacinquesimo anno di età e la disponibilità di fonti di sostentamento inferiori ai limiti previsti dalla legge.

Se l’assegno sociale è un sostituto della pensione, una prestazione economica che sostituisce la pensione, lo scopo con il quale è stata pensata la sua erogazione è quello di preservare la situazione di chi, avendo raggiunto l’età pensionabile, non ha versato un numero sufficiente di contributi tale da ottenere la liquidazione di una pensione in Italia ed al tempo stesso non ha maturato una pensione in base alla normativa e alla contribuzione obbligatoria versata nel proprio paese d’origine.

Ma per chi si trova in questa situazione, cioè è privo di un reddito sufficiente ed ha maturato un età per la quale, tradizionalmente, si considera non ci sia più la possibilità di lavorare proficuamente, non solo si impedisce l’erogazione di questo assegno, ma di fatto, rifiutando la garanzia di un reddito sufficiente, un reddito cosiddetto vitale, si creano le condizioni anche per un decreto di espulsione, ovverosia per il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno.

Un punto su tutti rende chiara questa situazione. La nota difficoltà nell’ottenere la carta di soggiorno (ora pds Ce per soggiornanti di lungo periodo) costituisce un ostacolo pressoché insuperabile. Il meccanismo è vorticoso: per ottenere la carta di soggiorno è necessario dimostrare di possedere un reddito annuo non inferiore all’importo dell’assegno sociale (aumentato in caso di familiari a carico), mentre se si vuole ottenere l’assegno sociale perché non si ha un reddito sufficiente, è richiesta la carta di soggiorno. E’ è praticamente impossibile garantirsi il minimo vitale nonostante il possesso degli altri requisiti previsti, anche nel caso di una residenza continuativa da oltre dieci anni legale sul territorio nazionale.

A questo riguardo riteniamo che incidano direttamente, in maniera rilevantissima, due recenti sentenze della Corte Costituzionale, che in realtà non si sono occupate direttamente dell’assegno sociale ma si sono occupate di capire se la normativa relativa ad altre prestazioni di assistenza sociale, che hanno l’analoga funzione di garantire un sostegno economico a persone che non sono in grado più di provvedere a se stesse, sia compatibile con i principi della costituzione.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 306 del 30 luglio 2008 si era occupata di stabilire se era legittimo o meno escludere dall’erogazione dell’indennità di accompagnamento per invalidi le persone, cittadine extra-comunitarie, che fossero prive di una carta di soggiorno, in di un semplice permesso di soggiorno. A questa è seguita una sentenza di analogo tenore, la n. 11 del 14 gennaio 2009 che è intervenuta su un’analoga questione. La sentenza chiarisce se sia legittimo o meno un ordinamento giuridico o una specifica normativa di settore che impedisca l’erogazione della pensione di inabilità e dell’indennità di accompagnamento per gli invalidi civili che siano privi della carta di soggiorno. La sentenza richiama le stesse motivazioni che erano state adottate dalla precedente sentenza n. 306 del luglio 2008. Secondo la sentenza è intrinsecamente irragionevole adottare strumenti di legge che (peraltro solo per gli stranieri) subordinano la possibilità di fruire di prestazioni assistenziali alla titolarità di un reddito.
La Corte Costituzionale ha ben compreso come il meccanismo del reddito minimo per ottenere la carta di soggiorno ed il requisito della carta di soggiorno per ottenere le prestazioni di assistenza sociale sia un meccanismo perverso, di per se non ragionevole, ma anzi contraddittorio. Come chiunque può comprendere non ha senso richiedere un determinato titolo di soggiorno che prevede un certo reddito e condizionare la possibilità di erogare le prestazioni di assistenza sociale al possesso di quello stesso titolo.

Le norme che regolano la pensione di invalidità e l’indennità di accompagnamento sono dichiarate illegittime nella parte in cui condizionano al possesso della carta di soggiorno la possibilità di ottenere questo genere di prestazioni di assistenza sociale. Visto che si tratta di prestazioni di analoga funzione e natura, anche in riferimento all’assegno sociale dovrebbero valere i medesimi principi. Ovviamente bisognerà attendere che venga sollevata e affrontata dalla Corte Costituzionale una questione analoga con riferimento alla prestazioni di assistenza sociale sotto forma di assegno sociale.
La Corte Costituzionale è già intervenuta sulla pensione di inabilità e sull’indennità di accompagnamento, non è ancora intervenuta invece sull’assegno sociale ma non vi è motivo di pensare che debba giungere a conclusioni diverse essendo anche in questo caso palesemente irragionevole prevedere il possesso della carta di soggiorno che a sua volta, ricordiamo, prevede il possesso di un reddito sufficiente, per ottenere questa prestazione. per ottenere l’erogazione di queste prestazioni di assistenza sociale da parte di chi questo reddito non lo ha, in particolare per chi, raggiunti i 65 anni d’età richiede l’assegno sociale. La Corte Costituzionale non è entrata nel merito sull’eventuale necessita di risiedere per un certo tempo minimo sul territorio italiano, su questo aspetto non ha ancora adottato un’interpretazione, diciamo anche che non era la questione principale affrontata nelle due sentenze citate. Inoltre sembra che ci sia da chiedersi se sia ragionevole imporre o pretendere una certa anzianità minima di residenza, anche tenuto conto del fatto che questo requisito, specialmente per quanto riguarda l’assegno sociale, che non può essere richiesto prima dei 65 anni d’età, è un dato pressoché scontato per i cittadini italiani, ma non affatto scontato per cittadini stranieri extra-comunitari. La richiesta di questo ulteriore requisito rappresenta una forma di discriminazione indiretta e anche rispetto alla sua imposizione potranno essere sollevate questioni di legittimità.

Secondo quanto affermato da queste sentenze della Corte Costituzionale è comunque irragionevole richiedere il possesso della carta di soggiorno, anche perchè, nel caso dell’assegno sociale, potrebbe trattarsi di uno straniero che vive in Italia da decenni ininterrottamente ma che non abbia ottenuto per diversi motivi il titolo di soggiorno denominato carta di soggiorno o pds Ce per soggiornanti di lungo periodo.
Anche coloro che vantano una legittima aspettativa all’erogazione dell’assegno sociale, potranno sollevare analoga questione, a condizione che l’interessato presenti formale domanda per il riconoscimento di questa prestazione all’Inps e che la stessa Inps provveda a dare riscontro negativo. Il diniego della prestazione potrà essere quindi impugnato davanti alla competente autorità giudiziaria del luogo di residenza e potrà essere sollevata la conseguente questione di legittimità costituzionale confidando che si possa ottenere, anche con riguardo a questa specifica prestazione, come per la pensione di invalidità e quella di accompagnamento, una pronuncia favorevole da parte della stessa Corte. Si tratterà quindi di attendere i tempi di una pronuncia, ma nel frattempo, eventuali prestazioni maturate e non erogate, dovrebbero essere conservate ed erogate successivamente in caso di esito favorevole del procedimento, con decorrenza dal primo giorno del mese successivo dalla data di presentazione della domanda.
Ovvio che, per intraprendere questa strada, sarà necessario inoltrare la domanda ai competenti uffici Inps, conservando copia della documentazione presentata e successivamente pretendere un riscontro, anche se negativo, dagli stessi uffici. In molti casi infatti, gli operatori, rispondendo alle disposizioni impartite dalle circolari, potrebbero “sconsigliare” la presentazione della domanda.

Non si può non sottolineare come il governo, che ha promosso il decreto legge 25 luglio 2008 n. 112 e la sua conversione nella legge 133 il 6 agosto scorso, non abbia tenuto conto di questo orientamento della giurisprudenza, introducendo l’ulteriore requisito della residenza continuativa e regolare di dieci anni, in aggiunta al requisito del possesso della carta di soggiorno, dimostrando una certa noncuranza (…) per questa pronuncia della Corte già nota alla data di conversione delle disposizioni in questione. Si sarebbe dovuta tenere in considerazione questa sentenza proprio perchè la stessa afferma l’irragionevolezza dei principi su cui si basa la normativa essendo le prestazioni in causa pensate proprio per far fronte alla situazione di chi, straniero o cittadino italiano che sia, non è in possesso di un reddito sufficiente a garantirsi una esistenza dignitosa.

Per quanto riguarda la pensione di invalidità o l’indennità di accompagnamento, la normativa di riferimento, in particolare l’art. 12 della legge 118 del 30 marzo 1971, che ha convertito in legge il decreto n. 5del 30 maggio 1971, deve essere letta alla luce delle sentenze intercorse, nonostante rechi ancora la prescrizione della carta di soggiorno per l’accesso a queste specifiche prestazioni.
Le due sentenze, la n. 306 del 30 luglio 2008 e la n. 11 del 14 gennaio 2009, citate in precedenza, sono infatti abrogative, di conseguenza le norme di riferimento sono legittime a patto che sia esclusa dalla loro imposizione la richiesta della carta di soggiorno.