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Milano – Profughi della metropoli alla deriva

Gli approfondimenti, la cronaca, le foto delle giornate di mobilitazione degli occupanti di via Senigallia

La città è in moto, freme per il salone del mobile con lo sguardo proteso verso l’orizzonte dell’Expo, la grande, nuova occasione per dare un volto nuovo alla metropoli Milano. La crisi è sullo sfondo, è la scenografia beffarda di questo moto speranzoso. In questa città che va ridefinendo i suoi spazi, e quindi i suoi confini, trovano però difficile collocazione circa 400 rifugiati, uomini e donne eritrei, somali, sudanesi, etiopi.

Sono in esubero: profughi ancora, dopo la fuga dalle persecuzioni, nella città della moda, centro produttivo del nord Italia, Unione Europea..
Non c’è mai piaciuta la divisione tra profughi e migranti economici, utilizzata quasi sempre per produrre ancora esclusione, ancora irregolarità, molto spesso detenzione, invisibilità. Dignità e diritti non possono guardare ai motivi del soggiorno. Tanto più oggi, quando guardandoci intorno scopriamo che migliaia di migranti, partiti con l’aspirazione di un futuro migliore nel mercato del lavoro europeo, hanno nel loro destino la clandestinità forzata dalla crisi, dalla perdita del lavoro.
Certo è, però, che la vicenda dei 400 rifugiati provenienti dal Corno d’Africa, protagonisti delle giornate di mobilitazione di questi giorni, raccontano una realtà, quella dei profughi delle guerre e dei massacri, che fa impallidire ogni retorica sull’accoglienza, sul controllo delle migrazioni, sulla mistificazione del concetto di integrazione.
Difficile appiccicare ai 400 di via Senigallia lo “stigma” del clandestino.
Sono profughi, sono rifugiati, perseguitati nei loro paesi e quindi in fuga (questo è un diritto stabilito dalla dichiarazione universale dei diritti umani).
Per chi ci riesce – a farsi accogliere intendo, visto che al diritto di fuga non corrisponde un vero e proprio obbligo di accoglienza – il destino però riserva ancora confini, ancora linee di frontiera.
E Milano in questi giorni ha saputo disegnarne una cartografia molto densa. I confini a Milano in questi giorni si sono stretti intorno alla storia di questi rifugiati, fino ad estenuarli, rivelando l’inadeguatezza, da tutti i punti di vista, delle politiche locali ed insieme nazionali ed europee in materia di asilo.

In Italia l’accoglienza dei rifigiati è affidata allo SPRAR, sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, che conta 2.541 posti, suddivisi tra 101 enti locali, di cui 92 comuni, 7 province e 2 unioni di comuni, dislocati in 19 regioni. I progetti, attivati dagli enti locali, possono godere in parte di fondi ministeriali. Corsi di italiano, inserimento lavorativo, assistenza legale e altri servizi sono più o meno attivi ovunque esistano questi progetti, anche se gli enti locali hanno la possibilità di gestire autonomamente le attività, scegliendo quali attivare o meno.
L’accoglienza è di sei mesi, allo scadere dei quali i migranti dovrebbero aver trovato la loro collocazione sul territorio. Non sempre questo avviene. Anzi, spesso la realtà è drammatica per chi da un giorno all’altro deve tuffarsi nella ricerca di ogni cosa. Senza casa e conseguentemente senza impiego. Molti tra i progetti, durante il periodo di permanenza, non concedone neppure la possibilità di registrare all’anagrafe la residenza. Così per i migranti diventa impossibile accedere anche alle prestazioni di assistenza sociale.
Il 3 novembre 2008 il Ministero dell’Interno, per far fronte all’aumento degli sbarchi, ha istituito temporaneamente (e altrettanto temporaneamente finanziato) diverse nuove strutture, per un totale di 1.847 nuovi posti. Ma proprio in questi giorni è scaduto il finanziamento. Delle procedure d’uscita non c’è traccia. Possibile quindi un esodo di massa di chi fino a ieri è stato temporaneamente accolto in queste strutture (e non certo svolgendo attività di inserimento).
In totale, contando il tour over allo scadere dei sei mesi, fino all’ ottobre del 2008 sono stati accolti all’interno dello SPRAR circa 7.000 migranti, tra richiedenti asilo e rifugiati. Dati che sembrano parlare da soli di fronte alle 30.000 domande d’asilo presentate in Italia nel corso dello stesso anno.

Diversa invece la questione legata ai Cara, centri di accoglienza per richiedenti asilo, spesso accorpati ai centri di identificazione ed espulsione (il caso di Gradisca per esempio) che contano circa 8.000 posti distribuiti tra diverse città. Le linee giuda del Ministero, testualmente, parlano di orientamento al territorio e informazione, di organizzazione del tempo libero e di corsi di italiano, ma la realtà dei Cara è ben diversa. Non sono isolati i casi di persone uscite dai centri con patologie gravi legate alle condizioni di vita, giusto per dare conto di alcune tra le tante storie drammatiche di vita in queste strutture.

Per Milano, Roma e Torino, invece, l’accoglienza è affidata ai centri polifunzionali (1.000 posti per 3 città). Strutture ibride, governative ma co-finanziate dagli enti locali. E’ all’interno di queste che dovrebbero essere inseriti i rifugiati che in questi giorni hanno portato alla ribalta la loro situazione a Milano.

Dormitori e sistemazioni di fortuna, questo il destino di molti, con la speranza e l’ambizione, vane purtroppo, di poter ancora viaggiare, di poter raggiungere i parenti o gli amici in altri stati europei.
Ma se non c’è, in questo paese, un’accoglienza degna di essere definita tale, non esiste neppure, nell’Europa di Schenghen e della libera circolazione, la possibilità di muoversi liberamente. Così, dopo essere fuggiti dalle persecuzioni, i profughi delle metropoli occidentali sono ingabbiati dalla normativa in materia d’asilo che non rende semplice il diritto ad essere riconosciuti come rifugiati, dopo la concessione da parte di uno degli stati membri, in tutta gli altri stati d’Europa. Il titolo rilasciato da uno stato, inibisce la procedura in un altro. Altro che caduta delle frontiere, altro che spazio comune europeo. I confini dell’Europa si spostano secondo una cartografia che non parla il linguaggio dei diritti e delle persone.

Così a Milano il destino dei profughi è l’esubero. E lo è materialmente. Da un lato, i rifugiati nessuno sembra saere proprio come accoglierli, dall’altro – la retata e l’accompagnamento in periferia di ieri sono abbastanza espliciti – sono qualcosa di troppo, una presenza scomoda, da nascondere, allontanare, insabbiare.
La storia degli ultimi giorni è ricca di lotta ed emarginazione, di determinazione e abusi, di violenza ma anche di capacità di risposta. Venerdì l’occupazione dell’ex-residence Leonardo Da Vinci, in via Senigallia a Bruzzano, lunedì 20 il censimento della Questura, martedì 21 lo sgombero e poi le cariche, i cortei, le assemblee, le notti all’addiaccio. Fino alla proposta di giovedì 23: in cento (altri hanno scelto di ripararsi in altro modo) smistati ancora tra dormitori e sistemazioni temporanee per un periodo (15 gg) entro il quale verificare le proposte di inserimento nei progetti di accoglienza.
Ma dopo la notte tra giovedì e venerdì 24 aprile si è aperto l’ennesimo capitolo della vicenda: il Comune di Milano si è recato ai dormitori pronto a far firmare, pena l’allontanamento, le proposta di inserimento nei centri polifunzionali (nonostante i 15 gg accordati per decidere). I rifugiati si sono riuniti nuovamente in Porta Venezia, ancora a lottare perchè la parola accoglienza diventi realtà. Una nota dal titolo “chi è onesto”, sintentizza efficaciemente la loro posizione dicendo: “come tutti sanno, ieri, 23/04/09, prima hanno provato a portarci via dai Giardini di Porta Venezia con la forza. Ci hanno chiesto chi siamo e da dove veniamo e dopo ci hanno detto di dar loro i nostri documenti di identità e i permessi di soggiorno, così che potessero controllarli in Questura.
Ci hanno fatto le fotografie e poi abbiamo fatto una breve riunione con il Comune di Milano. Dopo una lunga discussione abbiamo accettato di risolvere il problema in 15 giorni attraverso il dialogo.
Questa mattina, 24/04/09, la delegazione del Comune di Milano è arrivata alle ore 9:30 di mattino e ci ha portato la regolarizzazione per il dormitorio (centro di accoglienza): abbiamo detto loro che la regolarizzazione non ci interessava, perchè abbiamo accettato di stare nei dormitori per 15 giorni solo per dialogare e continuare a discutere lontano dalle strade, e abbiamo chiesto alla delegazione se era possibile stare nei dormitori e continuare la nostra protesta. Ci hanno detto di uscire dai dormitori: ci hanno detto che non abbiamo il diritto di continuare a protestare nei dormitori.
Così adesso siamo ancora nelle strade di Milano. Ci sentiamo liberi più che nei dormitori, perchè per noi dormitorio significa una grande prigione.

Sono profughi certo, ma hanno saputo regalare una lezione di dignità.
Non loro ad essere alla deriva, è la metropoli ad essere naufragata.

Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa

Vedi anche:
Milano – Sgombero e cariche contro i rifugiati di Bruzzano: cronaca delle giornate di mobilitazione