1. Mai partenza dall’Italia di un capo di stato straniero era avvenuta in maniera così “clandestina”, dopo pasticciati saluti notturni e qualche imbarazzo finale per le sortite ad effetto di un dittatore che alla fine è riuscito a deludere tutti, amici ed oppositori. Tutto l’itinerario di Gheddafi in Italia ha avuto il sapore della visita di regime, tra ali di folla organizzata per l’occasione, come i dipendenti comunali “obbligati” ad assistere per invito scritto del sindaco di Roma. Malgrado tutto fosse predisposto per una accoglienza trionfale, quasi nulla è andato come il governo italiano si attendeva. Anche negli ambienti dove i controlli di polizia erano più ferrei, come all’Università e nell’incontro con le donne, il colonnello è uscito tra i fischi, senza rispondere alle domande sul rispetto dei diritti umani in Libia. Alla Sapienza il rettore Frati ha offerto il diritto di parola ad un dittatore che costituiva con la sua stessa presenza un insulto alla democrazia, ma non ha permesso ad una studentessa di portare a termine il suo intervento in difesa dei diritti dei migranti. Come al solito, la polizia ha impedito con i manganelli che il dissenso degli studenti riuscisse a raggiungere chi aveva occupato militarmente una parte dell’ateneo, trasformato in zona rossa, per esibire i “risultati storici” della recente collaborazione italo libica.
La visita di Gheddafi in Italia si è dunque conclusa senza che le autorità italiane ed i mezzi di informazione, che pure vi avevano dato un grande risalto al momento dell’arrivo, riuscissero a fornirne un bilancio che andasse oltre le cifre dei contratti stipulati dalle aziende italiane, o a indicare le prospettive future dei rapporti economici tra i due paesi. Prospettive che continuano ad apparire assai incerte, al di là della connivenza degli industriali, interessati – come era logico attendersi – ai vantaggi economici, piuttosto che alla garanzia dei diritti umani in Libia. Del resto Berlusconi e la maggioranza che lo sostiene si dedicano da tempo a concludere affari con le dittature di tutto il mondo, da Putin a Gheddafi, piuttosto che porsi il problema di come garantire la giustizia ed i diritti umani. Ed una parte ancora consistente degli italiani appare orientata in questa stessa direzione, una direzione che porterà l’Italia all’isolamento internazionale ed a un declino irreversibile dell’economia, sempre più dipendente dai capricci ( e dalle forniture di gas e petrolio, o di altre materie prime) del dittatore di turno.
2. Dopo le clamorose, anche se prevedibili, smargiassate del colonnello libico, che poteva contare sull’atteggiamento subalterno di Berlusconi e di Schifani, e dopo dichiarazioni di Gheddafi che giungevano a negare persino il diritto di asilo e l’identità delle persone migranti, la decisione di Fini di annullare l’incontro alla Camera dei deputati costituiva una qualche reazione, a fronte delle pagliacciate e dei ritardi sistematici che avevano coinvolto persino il Presidente della Repubblica. Una mossa, quella del presidente della Camera che, dopo l’ennesima vana attesa di Gheddafi, faceva crollare il “castello di carta” ricostruito con certosina pazienza da parte di D’Alema, nel tentativo di recuperare un ruolo nelle relazioni italo-libiche che lo avevano visto protagonista fino al 2007. Ed appariva imbarazzante la immediata giustificazione del ritardo di Gheddafi fornita proprio da D’Alema, che ricorreva alla scusa puerile di un malessere fisico, subito smentita dall’ambasciata libica e poi dai fatti. Dopo qualche ora Gheddafi, in condizioni di salute ottimali, accompagnato dalla sua imponente scorta armata, era a cena in un ristorante romano. Mentre qualche giornalista, amico del dittatore libico, continuava a denunciare come un “favore a Berlusconi”, addirittura “demenza suicida”, il coro di critiche che aveva investito la proposta iniziale, caldeggiata proprio da D’Alema, attraverso il senatore La Torre, di dare spazio a Gheddafi nell’Aula del Senato. Una polemica davvero sterile, una difesa di ufficio della linea “morbida” di D’Alema nei confronti della Libia, in un momento nel quale la evidenza delle immagini rendeva, meglio di qualunque altra rappresentazione, la tragica farsa nella quale Gheddafi e Berlusconi tentavano di superarsi a vicenda. Una farsa che cha avuto, ed avrà ancora in futuro, come conseguenza, migliaia e migliaia di vittime che solo gli interessi economici di qualcuno possono continuare ad ignorare.
La decisione di Fini, dopo due ore di ritardo ingiustificato, annullava una riunione che costituiva un passaggio cruciale della visita di Gheddafi in Italia, in quanto l’incontro alla Camera era stato preparato da uno schieramento da “larghe intese” costituito dai gruppi che fanno riferimento a D’Alema e a Pisanu. Con questo incontro si voleva dare un segno di continuità rispetto a quella politica estera consociativa che, dopo un viaggio semiclandestino di D’Alema in Libia ( a Pasqua del 2007), aveva portato ai protocolli sottoscritti a Tripoli nel dicembre del 2007 dalla sottosegretaria di Amato, Marcella Lucidi, sotto il governo Prodi, e poi al Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Berlusconi e Gheddafi firmato a Tripoli nell’agosto del 2008 ( che a quei protocolli faceva espresso riferimento per la “lotta all’immigrazione clandestina”), ed ancora, dopo una missione di Maroni in Libia, all’approvazione del Trattato di amicizia da parte del Parlamento nel febbraio del 2009, con il voto favorevole di buona parte del Partito Democratico. Partito democratico che in quella occasione si accontentava di un ordine del giorno condiviso dalla maggioranza, destinato a restare sepolto tra gli impegni traditi di questo governo.
E’ mancata così l’opportunità di assistere all’ennesima parata-confronto degli
amici del colonnello libico in Italia, appartenenti ai due schieramenti politici ( di governo e di opposizione), mentre Berlusconi bruciava tutti sul tempo recandosi in un pellegrinaggio di saluto ( e di ricomposizione) da Gheddafi, per chiedere scusa dell’incidente diplomatico e riproporsi come interlocutore esclusivo e certo più affidabile di altri, che da anni avevano intessuto la tela di un recupero dei rapporti diplomatici con la Libia, senza giungere però a risultati concreti come quelli garantiti dal Trattato di amicizia del 2008.
3. Alla fine, a spiazzare qualunque tentativo di avvicinamento tra D’Alema ed il Partito della libertà sulla politica estera nei confronti della Libia, e forse anche su altre più rilevanti questioni politiche, in caso di future “scosse” di non meglio definita provenienza, ci ha pensato il solito Maroni che, dopo i recenti arresti di alcuni presunti brigatisti, è arrivato ad ipotizzare un collegamento tra i gruppi eversivi e lo stesso D’Alema. Un “elegante” esercizio di dialettica democratica che esprime molto bene la vacuità dei tentativi di una parte dell’attuale opposizione in favore di una politica di “larghe intese” e il modesto coefficiente di affidabilità democratica e di disponibilità al confronto dell’attuale titolare del ministero dell’interno. Evidentemente alla socialdemocrazia italiana non è bastata la sconfitta alle elezioni europee e il crollo registrato alle elezioni amministrative, conseguenza diretta dello smottamento verso le posizioni del centrodestra sui temi del lavoro, della sicurezza e dell’immigrazione. Su questo smottamento e sulla introduzione di una legge elettorale che cancella i diritti di rappresentanza delle minoranze, in modo da favorire i partiti più grandi dei due schieramenti, si è consumata, come in materia di immigrazione, la rottura di ogni ipotesi di collaborazione, anche a livello locale, tra il partito democratico e quello che rimane della sinistra, una rottura, ed una sconfitta, che sarà ancora più pesante dopo i ballottaggi al secondo turno delle amministrative.
Su questa rottura, anche a seguito di un dilagante astensionismo, la maggioranza ed in particolare la Lega ed i suoi ministri, stanno diventando sempre più minacciosi per la democrazia italiana, con la conquista di centinaia di municipi, sulla base di programmi apertamente xenofobi, con la introduzione delle ronde, verdi o nere che siano, e con avvertimenti verso gli avversari politici che assumono sempre di più il carattere di vere e proprie intimidazioni. La rivendicazione della paternità delle ronde da parte di Maroni durante l’ultima sagra della Lega nord a Pontida configura un atto eversivo dell’ordine costituzionale posto in essere da chi dovrebbe avere la responsabilità di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza di tutti i cittadini, e non solo il successo dei progetti più nefandi dei propri compagni di partito.
4. L’attenzione mediatica sulla visita di Gheddafi lasciava in ombra, intanto, l’ennesima condanna internazionale della politica seguita dall’Italia con la Libia.
Il comitato di esperti dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), alla vigilia dell’arrivo di Gheddafi in Italia, nel corso di una audizione formale, chiedeva chiarimenti al governo italiano sul decreto sicurezza e sull’accordo con la Libia, sui quali già l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati aveva sollevato forti critiche. Durante il dibattito alle Nazioni Unite, il direttore del dipartimento immigrazione al ministero del Welfare, Giuseppe Silveri, non ha risposto in merito alle contestazioni basate sulla convenzione Ilo n.143 e ha definito “ingiuste” le osservazioni del comitato di esperti delle Nazioni Unite. Anche in questa occasione è stata la Confindustria a dare un appoggio al governo. La rappresentante di Confindustria, Stefania Rossi, ha subito sottolineato che “le osservazioni del comitato di esperti non tengono conto della realtà delle imprese italiane”, esprimendo totale “apprezzamento per l’azione e l’impegno del governo in materia di immigrazione”.
Evidentemente le imprese italiane che lavorano (e assai di più lavoreranno in futuro) in Libia traggono vantaggio anche dalla condizione di sfruttamento, se non di vera e propria schiavitù, alla quale sono costretti i migranti in quel paese, e probabilmente non guardano con preoccupazione neppure alla presenza di “clandestini” in Italia, se è vero, come è vero, che ad ogni (rara) operazione di polizia nella quale si scoprono in Italia subappalti vietati dalla legge, spunta fuori anche un rilevante numero di immigrati irregolari. Se la Gheddafi espelle gli immigrati centroafricani e del Corno d’Africa rastrellati in territorio libico per incassare i finanziamenti europei, non esita a concludere accordi con i dittatori di tutto il mondo, come il capo del governo dello Sri Lanka, colpevole del genocidio dei Tamil, per fare entrare in Libia centinaia di migliaia di lavoratori stranieri di cui l’economia di quel paese ha bisogno. Insomma se lo schiavismo esiste nei paesi di transito, e rende “economiche” le pratiche di esternalizzazione, o gli investimenti per sfruttare le materie prime di quei paesi, perché scandalizzarsi con il lavoro servile o paraschiavistico che grazie agli immigrati arricchisce la Libia e tiene in piedi la traballante economia italiana? E la stessa selezione etnica a danno dei lavoratori migranti provenienti dall’Africa nera non si sta forse praticando anche in Italia, come in Libia, seppure con modalità apparentemente meno brutali ?
Si è anche appreso che dopo le critiche rivolte all’operato del governo italiano, il ministro Maurizio Sacconi non parteciperà alla conferenza dell’ILO, come previsto in un primo momento. Un altro esempio dello scarso rispetto da parte del governo italiano nei confronti dei trattati e delle agenzie internazionali. Forse anche perché, durante l’audizione all’ILO. il presidente del gruppo internazionale dei sindacati, Luc Cortebeck, ha definito le risposte del governo italiano “insufficienti” e ha ripetuto alcune delle richieste di chiarimento già rivolte dal comitato di esperti. Tra queste, anche quella sull’accordo con la Libia, dato che la convenzione ILO n.143 prevede misure di protezione per le vittime di abusi e traffico di esseri umani. Una “protezione” che in Libia non esiste e che, al di là delle poche strutture rimesse a nuovo e aperte per le visite organizzate per i rappresentanti delle agenzie umanitarie internazionali, si traduce ancora oggi nella pratica dei centri di detenzione clandestini, come quello di Kufra e nell’allontanamento forzato nel deserto libico di migliaia di migranti, senza alcuna garanzia per i minori, per le donne, per i richiedenti asilo.
Entro settembre il ministero del Lavoro italiano dovrà comunque fornire all’Ilo “informazioni sugli sviluppi legislativi che riguardano la protezione dei migranti vittime di abusi e di sfruttamento, così come l’istituzione di una commissione che individui azioni di contrasto alla violenza e allo sfruttamento dei migranti”.
Anche l’ordine del giorno votato dal Parlamento il 3 febbraio 2009 prevedeva che il governo libico acconsentisse allo svolgimento da parte dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati di “ un’azione di monitoraggio sulle politiche in materia di immigrazione – con particolare riguardo ai centri di detenzione per gli immigrati – aperta anche alle Organizzazioni non governative più rappresentative sul piano internazionale”. Ma ad oggi non si alcuna notizia dei risultati di questo monitoraggio, mentre sembrano essersi perse nel nulla le tracce delle centinaia di migranti respinti in Libia dalle autorità militari italiane dal 6 maggio scorso, dopo essere stati soccorsi in mare, in acque internazionali, da mezzi della marina e della guardia di finanza.
5. Come effetto “boomerang” della visita di Gheddafi in Italia si può rilevare che, mentre prima dell’arrivo del dittatore libico in Italia il 57 per cento degli italiani era favorevole agli accordi con la Libia, dopo la partenza del leader libico da Roma, questa percentuale è scesa al 42 per cento ( entrambi i sondaggi da Skynews 24). Ma non appare ipotizzabile che i governanti italiani, ed alcuni loro oppositori, traggano spunto da questi sondaggi per rivedere la loro politica in favore di Gheddafi. Più si aggrava la crisi economica italiana più sembra avere successo la politica che addossa sugli immigrati, considerati come i nemici interni, tutte le responsabilità del fallimento del welfare e della sicurezza. Una operazione di “travisamento” dei fatti, di attribuzione agli altri delle proprie responsabilità, che stiamo subendo da tempo, anche per le contraddizioni interne alle forze politiche attualmente all’opposizione.
Solo a settembre, dopo una estate che si preannuncia ancora più difficile di altre per la condizione dei migranti, potrà farsi un primo bilancio di questo anno “nero” per i diritti umani delle persone in Libia. Le prospettive dei potenziali richiedenti asilo, la maggior parte delle persone in fuga dalla Libia, dopo la visita di Gheddafi nel nostro paese, appaiono sempre più negative. Due sono le prospettive ipotizzabili in alternativa, entrambe altamente drammatiche non solo per la sorte dei migranti ma, anche, per il mantenimento dello stato di diritto e della democrazia nel nostro paese.
Potrebbe verificarsi innanzitutto che, dopo la “vetrina” del G 8 all’Aquila, dove è prevista la partecipazione di Gheddafi, la Libia non riesca ad ottenere quei vantaggi economici e politici che si aspetta per il ruolo di gendarme delle frontiere meridionali europee, e tutto ritorni come prima, con un nuovo via libera da parte del colonnello alle autorità di polizia ed alle organizzazioni criminali che in totale collusione tra loro fanno partire dalla Libia verso l’Italia le imbarcazioni cariche di migranti. E che questa collusione esista è stato riconosciuto da Gheddafi nel corso della sua visita, durante la quale ha parlato di numerosi arresti e processi a carico di poliziotti ed agenti istituzionali preposti in Libia ai controlli di frontiera. E del resto che tale collusione vi fosse è confermato, oltre che dai rapporti internazionali e da centinaia di testimonianze di migranti che hanno attraversato l’inferno libico, dal blocco immediato delle partenze a partire dal mese di maggio, non appena la Libia ha incassato le prime tranche dei finanziamenti internazionali. Dopo quattro mesi record nei quali il ricatto libico aveva fatto pesare tutta la forza dei numeri degli arrivi a Lampedusa per dare concretezza, non solo agli accordi assunti dall’Italia, ma agli impegni che Gheddafi attendeva ( ed attende ancora) dall’Europa per il controllo delle “sue” frontiere ( sembrerebbe un miliardo di euro all’anno, mentre per il 2009 ne ha ricevuto appena 22 milioni…).
6. Se la Libia non otterrà quanto è stato promesso dall’Italia, o quanto pretende dall’Europa, che non ha ancora trovato un accordo in questa materia, à facile prevedere che le partenze di migranti da quel paese riprenderanno, e scoppieranno nuove emergenze a Lampedusa, come in altre parti del territorio italiano, anche perché la collaborazione di Malta nei controlli in acque internazionali non appare affatto scontata. In questo caso il prolungamento a sei mesi della detenzione nei CIE e la introduzione del reato di immigrazione clandestina renderebbero esplosiva la situazione in tutti i centri di detenzione italiani, e non solo nelle regioni meridionali più esposte agli sbarchi.
Se invece la Libia riuscisse ad ottenere, soprattutto dal prossimo vertice G 8 dell’Aquila, il riconoscimento politico ed economico del suo ruolo di “gendarme” delle rotte dell’immigrazione clandestina, allora si potrebbe verificare veramente una sostanziale riduzione ( mai comunque un blocco totale) delle partenze da quel paese, con una ridefinizione delle rotte dell’immigrazione irregolare probabilmente più ad oriente. In questo caso il problema più drammatico che si porrà riguarderà la sorte degli immigrati, confinati in Libia dopo esservi arrivati per lavorare, ma anche in parte minore, per tentare di raggiungere l’Europa. La questione della violazione dei diritti umani diventerà ancora più grave, perché per assolvere al suo ruolo di “gendarme” la Libia potrà applicare nei confronti dei migranti in transito misure repressive ancora più violente e definitive di quelle applicate oggi, a quel punto con il consenso della comunità internazionale, e questo proprio grazie al ruolo di mediazione svolto dall’Italia, un ruolo di rappresentanza degli interessi libici da parte dell’Italia, che Gheddafi ha richiesto più volte alle autorità italiane nel corso del suo ultimo viaggio a Roma.
Soprattutto in questo ultimo caso la questione dell’asilo extraterritoriale, la concreta possibilità di chiedere asilo in un paese di transito, per poi raggiungere legalmente l’Europa, rischia di diventare una (falsa) moneta di scambio che potrebbe travolgere la credibilità delle agenzie umanitarie interessate, senza migliorare in maniera significativa la condizione dei migranti irregolari, e di quanti vedranno respinta una istanza di protezione internazionale. E del resto dovrebbe essere a tutti noto che, se la Libia non aderisce ancora oggi alla Convenzione di Ginevra, una eventuale adesione alla stessa Convenzione da parte di Gheddafi non migliorerebbe affatto la situazione dei potenziali richiedenti protezione internazionale, atteso che in Italia solo il cinque per cento dei richiedenti asilo ottiene il riconoscimento dello status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra, mentre il restante 45 per cento consegue lo status di protezione internazionale previsto dalle direttive comunitarie, normative che non potrebbero trovare alcuna applicazione in paesi di transito ubicati al di fuori delle frontiere Schengen come la Libia. Come appare assai poco probabile che una trattativa tra l’Unione Europea, l’ACNUR, la Libia e l’Italia possa imporre ai militari libici il rispetto effettivo delle garanzie procedurali e sostanziali previste in favore dei migranti richiedenti asilo e dei minori dalle direttive comunitarie.
La disposizione dell’art. 10, comma 3, della Costituzione italiana prevede espressamente il solo asilo territoriale in senso stretto, ma non contempla in alcun modo l’asilo extraterritoriale come quello che potrebbe essere riconosciuto nella sede di missioni diplomatiche, nei consolati, a bordo di navi da guerra o comunque in qualunque luogo di esercizio di una potestà pubblica di imperio da parte dello stato italiano.
L’asilo extraterritoriale tuttavia, non contemplato dalla disposizione specifica dell’art. 10 che prevede l’asilo costituzionale, potrebbe trovare giustificazione costituzionale nella dichiarazione dell’art. 2 della Costituzione, secondo cui «la Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo». Tale norma, che impone ad ogni autorità italiana in Italia o all’estero di agire nei confronti di cittadini e stranieri conformemente alla solenne garanzia dei diritti inviolabili della persona, contiene solo un generico invito a dare rifugio a chi sia perseguitato o minacciato nel godimento dei diritti inviolabili dell’uomo. Questo possibile richiamo dell’asilo extraterritoriale, fondato sull’art. 2 della Costituzione, può trovare rilevanti limiti in altre disposizioni costituzionali.
L’art. 10, comma 2, rimettendo alle leggi di disciplinare la condizione dello straniero in conformità ai trattati internazionali, consente infatti che, proprio in esecuzione di tali trattati, sia formalmente limitata o negata la possibilità di asilo extraterritoriale, pur tendenzialmente degno di riconoscimento secondo l’art. 2 della stessa Costituzione. Ben diversamente di quanto si afferma rispetto all’asilo territoriale, in materia di asilo extraterritoriale si ritiene generalmente che i poteri della legge siano delimitati oltre che dalla Costituzione, dai trattati e dagli accordi tra gli Stati (come potrebbe affermarsi nel caso del Trattato di amicizia o degli accordi attuativi con la Libia). E non è facilmente sostenibile la efficacia diretta di precetti costituzionali italiani in stati sovrani, come non sembra che, sotto questo profilo, le ambasciate italiane o gli uffici consolari possano essere considerati come porzioni del territorio nazionale. Dunque, gli accordi internazionali bilaterali potrebbero sancire modalità di attuazione dell’accordo Italia – Libia che, pur riconoscendo su base convenzionale alcuni casi di asilo extraterritoriale, continuerebbero a negare il diritto di fare valere gli istituti della protezione internazionale previsti dalla legislazione comunitaria ed i diritti fondamentali di tutti i migranti, soprattutto quando sono soggetti vulnerabili, come le donne ed i minori, oppure sono vittime di tratta e di traffico, come la maggior parte dei migranti presenti in Libia.
Si potrebbe sostenere, al contrario, che Trattati ed accordi internazionali che neghino il diritto di asilo extraterritoriale finirebbero per risultare in contrasto con la Costituzione italiana, proprio a partire dall’art. 2, o dal richiamo costituzionale delle Convenzioni internazionali che tutelano i richiedenti asilo, le donne, i minori, norme di rango sicuramente superiore rispetto agli accordi internazionali di carattere bilaterale. Questi accordi bilaterali, come quello stipulato lo scorso anno tra Italia e Libia, dunque non dovrebbero essere ratificati dal Parlamento nazionale, ma il comportamento omissivo della quasi totalità dello stesso parlamento in occasione della ratifica del Trattato di amicizia tra Italia e Libia nel febbraio di quest’anno, non dà adito, almeno per questa legislatura, a previsioni di un controllo tanto incisivo da parte delle Camere sulla politica estera italiana. Per queste ragioni, che si dovranno comunque approfondire in futuro, qualunque riferimento all’asilo extraterritoriale, in assenza di un riconoscimento sostanziale dei diritti della persona nei paesi di transito rischia di tradursi in una operazione strumentale che tende esclusivamente a negare il diritto di asilo, o di protezione internazionale ( e di accesso al territorio ed alla procedura) in Europa.
7. Le esperienze non esaltanti, per il bassissimo numero delle istanze di asilo accolte ( alcune centinaia) e per la sorte dei richiedenti asilo denegati in altri paesi di transito del nord-africa, come il Marocco e l’Egitto, non autorizzano grandi speranze in un miglioramento sostanziale della condizione dei migranti in Libia qualora si verificasse l’eventuale adesione di questo paese alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Anche se si dovesse riconoscere una maggior libertà di “movimento” e di “monitoraggio” ad organizzazioni intergovernative come l’IOM, ad associazioni convenzionate con i governi come il CIR, o all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, non sembra che la situazione dei migranti in transito possa migliorare in maniera significativa, anche se non si deve escludere a priori che alcuni casi singoli ( anche in caso di rimpatrio assistito) potrebbero essere trattati con risultati positivi. Sono gli stati e non certo queste organizzazioni, come ha osservato in un recente comunicato l’ACNUR, che possono garantire nei paesi di transito una effettiva implementazione del diritto di asilo e di protezione internazionale. Ma non sembra che l’impegno di Gheddafi e del suo fido alleato europeo Berlusconi, vadano nella direzione di un riconoscimento sostanziale dei diritti della persona migrante e dei potenziali richiedenti asilo in Libia o tantomeno in acque internazionali. In questo senso il Governo italiano ha già violato quanto previsto dall’Ordine del giorno approvato dal Parlamento italiano il 3 febbraio del 2009, che impegnava lo stesso governo “ad adoperarsi, anche in sede di definizione delle future intese bilaterali di cui all’art. 19 del Trattato, per l’ottenimento di adeguate garanzie da parte del Governo libico in particolare per quanto riguarda i diritti umani dei migranti e il rispetto delle norme di diritto internazionale relative alla protezione dei rifugiati”.
Certo, Gheddafi è un “cliente un po’ originale” come lo ha definito Berlusconi, un cliente originale ma che ha tanti soldi da spendere in Italia, ed è meglio tacere durante gli incontri con un simile “cliente” su questi argomenti tanto scomodi. Malgrado le posizioni critiche emerse negli ultimi sondaggi, dopo le sceneggiate del viaggio di Gheddafi in Italia, per molti italiani i soldi libici non sanno ancora abbastanza del sangue e delle lacrime dei migranti trattenuti nel lager a cielo aperto denominato Libia. E questo evidentemente Berlusconi e Maroni lo mettono in conto fin troppo bene. E così continueranno a ripetere che in Libia il diritto di asilo può essere garantito e che sui barconi in partenza da quel paese “solo uno su cento dei migranti in fuga da quel paese ha diritto a richiedere asilo”. E gli italiani ossessionati dalla paura e dalla questione sicurezza troveranno conveniente (ed utile) digerire anche questa ennesima fandonia. Fino a quando?
Di fronte alle connivenze ed alle divisioni sui rapporti con la Libia presenti tra le forze di opposizione in Italia, occorre insistere ancora sulla denuncia degli abusi subiti dai migranti e dai dissidenti, proponendo istanze davanti agli organismi della giustizia internazionale, come la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, l’Organizzazione internazionale per il lavoro (ILO) ed i diversi Comitati delle Nazioni unite per la difesa dei diritti umani, come il Comitato contro la tortura (CAT). Vanno svelati i rapporti politici ed economici tra Gheddafi ed i dittatori di mezzo mondo, con i quali condivide lo sprezzo più assoluto per i diritti umani, il diritto di asilo ed il Tribunale penale internazionale.
Aspettiamo di vedere come Berlusconi tratterà questi temi durante il prossimo G 8 all’Aquila, nel quale le questioni della sicurezza e dell’immigrazione avranno ancora un rilievo centrale. Anche l’accoglienza in Italia dei “presunti terroristi”, in realtà prigionieri liberati da Guantanamo senza che si potesse accertare la loro colpevolezza, rischia di diventare un terreno di ulteriore arretramento del diritto di asilo in Italia. Ed è noto come l’Italia abbia deportato nei paesi di origine, come la Tunisia, altri presunti terroristi, malgrado la decisione contraria della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Dopo la esternalizzazione delle frontiere su scala mondiale si sta affermando la esternalizzazione della tortura. La stessa sorte, di ulteriore deportazione e di altre torture, rischia adesso di toccare ai prigionieri trasferiti da Guantanamo in Italia, che saranno certamente utilizzati dal governo per rilanciare l’allarme terrorismo e distogliere l’opinione pubblica dai fallimenti del governo. Anche questi “presunti terroristi” potrebbero diventare merce di scambio con le dittature dei paesi nord-africani, come già sperimentato con i migranti in transito dalla Libia.
Di fronte alle ricorrenti divisioni del fronte di opposizione, non si può stare ancora ad attendere gli ennesimi fallimenti della politica italiana. Come non rimane molto da attendersi da una Unione Europea dove è cresciuta l’influenza delle destre xenofobe e razziste.Va costruita una rete sempre più fitta di relazioni tra le società civili che, seppure a fatica vanno crescendo, malgrado una repressione violenta, nei paesi di transito, offrendo opportunità di comunicazione e occasioni di incontro per rafforzare la possibilità di una difesa legale ( e non solo) dei diritti violati, contro ogni genere di abusi in Libia, ma anche in Tunisia, in Algeria, in Marocco non meno che in Egitto. Un compito assai difficile, che va ben oltre la mera testimonianza o la denuncia politica, un compito ineludibile che costituisce oggi l’unica via percorribile da parte delle associazioni umanitarie, dei giornalisti, dei giuristi e dei docenti universitari democratici, contro quel coacervo di torbidi interessi e di disinformazione che si sono intrecciati durante il viaggio di Gheddafi in Italia e che, già in queste prime settimane di “blocco” delle frontiere, stanno mietendo migliaia di vittime. Vittime che resteranno per sempre “senza identità”, esattamente come affermato da Gheddafi in una conferenza stampa al fianco di Berlusconi, come rimarranno “senza identità” i migranti che annegheranno ancora in mare o che saranno dispersi nei deserti libici.