Alcuni giorni fa un articolo del Giornale, prontamente ripreso dall’Ufficio Stampa e comunicazione del Ministero dell’interno, riproponeva un grossolano attacco ai magistrati che stanno indagando sui respingimenti collettivi verso la Libia, accusando espressamente il procuratore capo di Siracusa di indagare i militari della Guardia di finanza, soltanto “per aver fatto il proprio dovere”,” riaccompagnando” verso un porto libico un barcone carico di “migranti” ( anche noi usiamo un linguaggio da Caritas, come viene definito questo termine nello stesso articolo), un mezzo in procinto di affondare che era stato intercettato e bloccato lo scorso agosto nelle acque internazionali del Canale di Sicilia.
Nel tentativo di screditare l’indagine della Procura di Siracusa che indaga sulle modalità con le quali i militari italiani avrebbero effettuato il trasferimento dei migranti in un porto libico, si giunge ad affermare che i magistrati starebbero effettuando una indagine ipotizzando il reato di violenza, aggravata dalla circostanza di essere stata commessa da un pubblico ufficiale, solo perché i militari imbarcati a bordo della motovedetta “Denaro” avrebbero applicato la legge e dato esecuzione agli accordi esistenti con la Libia.
Secondo l’articolista del Giornale, “la riconsegna, come tecnicamente si chiama è avvenuta tra il 30 ed il 31 agosto del 2008”. E qui sta il primo grossolano errore perché nessun accordo tra Italia e Libia, almeno quelli noti ed approvati dal Parlamento, fa riferimento alla “riconsegna” di migranti da parte dei militari italiani alle autorità libiche, a meno che il giornalista non sia a conoscenza di accordi segreti negoziati a Tripoli dal ministro Maroni lo scorso febbraio, proprio all’indomani dell’approvazione da parte del Parlamento del Trattato di amicizia italo-libico sottoscritto nell’agosto del 2008 da Berlusconi con Gheddafi. Lo stesso termine “riconsegna” ricorda le “extraordinary renditions” con le quali molti sospetti terroristi sono stati condotti a Guantanamo o in altri luoghi di tortura. Oggi le riconsegne “ordinarie” si utilizzano per respingere collettivamente i migranti in fuga dalla Libia, anche quando si tratta di richiedenti asilo, di donne, di minori. Ma anche se gli accordi segreti conclusi da Maroni con i libici arrivassero a prevedere tale “riconsegna”, questa resterebbe comunque priva di basi giuridiche, sia alla luce del diritto interno, che alla stregua del diritto internazionale e comunitario.
In realtà la procura di Siracusa sta indagando su presunte violazioni alle norme di diritto interno in merito al respingimento di un barcone con 75 migranti che, dopo essere stati intercettati, con modalità ancora non del tutto chiare, sarebbero state ricondotti in un porto libico. Secondo quanto riportato dal procuratore capo di Siracusa, Ugo Rossi, al Tg1, risultano iscritti nel registro degli indagati «il comandante e tutte le persone che hanno avuto un ruolo e una responsabilità nella vicenda fino ai funzionari responsabili del ministero degli interni». I capi d’accusa sarebbero violenza privata e violazione delle norme italiane sull’immigrazione. E ad Agrigento dovrebbe essere ancora aperta una indagine per omissione di soccorso dopo l’arrivo dei naufraghi eritrei che ad agosto avevano dichiarato di essere rimasti per giorni alla deriva, nonostante avessero lanciato diversi messaggi di soccorso. In questo caso sarebbero sotto accusa le autorità maltesi, ma numerose circostanze di quella vicenda sono ancora da chiarire. Nel tempo trascorso tra l’indifferenza generale, e quindi dopo il consueto rimpallo di responsabilità, decine di migranti abbandonati per giorni sul gommone alla deriva morivano di inedia e i loro cadaveri venivano gettati a mare.
Una vicenda che dovrà essere chiarita dalla magistratura che ha già cominciato ad ascoltare i parenti delle vittime. Di quelle vittime di cui all’inizio nessuno sembrava voler sapere qualcosa. Nei giorni successivi all’arrivo dei cinque superstiti il ministro Maroni giungeva a mettere in dubbio la ricostruzione dei fatti da loro fornita, affermando che il gommone non poteva contenere un numero così elevato di persone. Un’affermazione, quella del ministro dell’interno, in contrasto con le rilevazioni fotografiche, oltre che con la comune esperienza, un’autentica menzogna adesso definitivamente smentita dai familiari delle vittime che con una lettera accorata si sono rivolte al Consiglio d’Europa per avere giustizia ( vedi la loro lettera in www.fortresseurope.blogspot.com).
Anche nel caso dei migranti respinti in Libia alla fine di agosto dalla Guardia di Finanza, in gran parte potenziali richiedenti asilo perché somali ed eritrei, la magistratura vuole vederci chiaro, perché le imbarcazioni italiane, quando intervengono nelle acque internazionali, costituiscono un luogo del nostro territorio nel quale è possibile chiedere asilo, e sono comunque tenute ad applicare le normative internazionale che impongono di condurre i naufraghi verso un “place of safety”, un porto sicuro, non necessariamente quello più vicino, dove possano essere accolti in sicurezza non solo con riguardo alla loro salvezza fisica, ma anche tenendo conto del diritto alla protezione internazionale e della loro condizione legale.
La Libia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra che protegge i rifugiati, non riconosce il diritto di asilo, pratica trattamenti inumani e degradanti ai danni dei migranti irregolari, consente abusi sistematici sulle donne, ed è luogo dove comandano forze di polizia corrotte e violente, adesso sembrerebbe con il supporto operativo dei nostri ufficiali di collegamento, incaricati, in base agli accordi, di compiti di formazione e di raccordo operativo. Non si tratta di posizioni ideologiche o di semplici illazioni giornalistiche, ma questi dati emergono dai risultati di documentate indagini condotte tra mille difficoltà da diverse agenzie che tutelano i diritti umani come Human Rights Watch, che nel suo ultimo rapporto del 2009 sulla Libia ha descritto un quadro allucinante di violenze e di collusioni.
I protocolli allegati alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ed adesso anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea vietano peraltro i respingimenti collettivi, come quelli realizzati sistematicamente la scorsa estate dai mezzi della Marina e della Guardia di finanza. Recentemente la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha chiesto chiarimenti al’Italia sui respingimenti collettivi effettuati dalla nostra Marina militare verso la Libia il 7 maggio di quest’anno, per i quali è pendente un ricorso, e dopo un esposto dell’ASGI e di altre associazioni, anche la Commissione Europea sta valutando il comportamento delle forze di polizia impegnate nel pattugliamento congiunto ( in collaborazione con le autorità maltesi e libiche) del Canale di Sicilia. Una misura che, se ha ridotto drasticamente gli arrivi a Lampedusa e nel resto della Sicilia, ha avuto come conseguenza un consistente aumento in termini percentuali delle vittime a mare, il dilagare delle detenzioni arbitrarie in Libia, ed un ulteriore incremento delle deportazioni che la Libia, con i finanziamenti europei e comunitari, ha potuto eseguire verso i paesi di origine nei quali molti migranti hanno trovato altro carcere ed altre torture. E si trattava, nella maggior parte dei casi, di persone che se fossero giunte in territorio italiano avrebbero potuto presentare una istanza di asilo o di protezione internazionale.
Le pratiche di respingimento sommario da parte della polizia, al di là della ambigua formulazione dell’art. 10 del T.U. sull’immigrazione del 1998, che pure ammette l’ingresso nel territorio nazionale per ragioni di soccorso, violano diverse disposizioni della Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia del 1989, delle Direttive comunitarie in materia di accoglienza (2003/9/CE), di qualifiche (2004/83/CE) e di procedure di asilo( 2005/85/CE) relative ai richiedenti protezione internazionale, il Regolamento delle frontiere Schengen del 2006, oltre che le disposizioni interne di attuazione. In tutti questi atti assume rilievo centrale la tutela dei diritti fondamentali delle persone ed il riconoscimento del diritto di chiedere asilo o altra forma di protezione internazionale.
Appare quindi inattaccabile la valutazione del procuratore capo di Siracusa secondo il quale «il comandante doveva riportare gli immigrati in un porto italiano dove c’è la apposita commissione che valuta chi ha diritto e chi ha diritto a chiedere asilo». Eppure nel governo non si ritiene necessario applicare la normativa comunitaria in materia di asilo e di controllo delle frontiere esterne, e anche le Convenzioni internazionali vengono valutate come un grimaldello per scardinare la normativa interna in materia di contrasto dell’immigrazione irregolare, al punto che il sottosegretario all’interno Mantovano rincara la dose affermando che: “c’è una parte della magistratura che interpreta il suo ruolo come alternativo rispetto alla politica del governo in materia d’immigrazione: siamo all’attivo boicottaggio di una legge votata dal Parlamento”. Peccato che il Parlamento abbia approvato solo quello che il governo ha imposto con i maxiemendamenti e con i voti di fiducia, ed è stato tenuto all’oscuro della esatta portata degli accordi di respingimento stipulati con la Libia, negoziati soltanto a livello di ministero dell’interno, quando nel febbraio scorso ha approvato “ a scatola chiusa” il “Trattato di amicizia italo-libico”.
L’articolo del Giornale, redatto evidentemente sulla base di informazioni provenienti dall’interno delle forze di polizia perché contiene notizie tradotte in un linguaggio che tradisce la fonte, come l’uso di un “termine tecnico” , “riconsegna”, conferma, ha preparato lo spunto per un ulteriore attacco alla procura di Siracusa. Quella procura sarebbe colpevole di fornire istruzioni ai giudici di pace, su “foglietti” nei quali verrebbero riassunte le numerose eccezioni di incostituzionalità che sono state sollevate dopo la introduzione delle norme del pacchetto sicurezza, in particolare dopo la introduzione del reato di immigrazione clandestina e dopo il prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa. Un tipo di accuse già assai diffuso in Italia dopo che diverse procure hanno sollevato gravi dubbi di costituzionalità che i tribunali hanno ritenuto meritevoli di un rinvio alla Corte Costituzionale, sulla base di argomentazioni giuridiche assai rigorose e non certo per la lettura pedissequa di generici “foglietti”. Semmai sono proprio una parte dei giudici di pace, della cui indipendenza tanto si preoccupa “Il Giornale”, che soprattutto nei provvedimenti di convalida delle dei respingimenti, delle espulsioni e dei trattenimenti nei CIE, utilizzano fotocopie e bianchetto per adeguarsi alle richieste di Questori e Prefetti.
Il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano torna ad attaccare i magistrati e approfitta dell’inchiesta aperta della Procura di Siracusa sui militari che hanno respinto i barconi dei clandestini, per denunciare una “parte della magistratura colpevole di applicare un vero e proprio boicottaggio della legge sull’immigrazione. E’ già successo contro la Bossi-Fini”, ha affermato Mantovano, secondo il quale sono state sollevate “ottocento ordinanze in pochi mesi alla Corte costituzionale. Per le dimensioni di questo vero e proprio atto di boicottaggio della legge – continua Mantovano – ci vorrebbe una discussione in Parlamento. C’è un’anomalia del sistema”.
Certo, oggi richiamare la Costituzione o il diritto internazionale rischia di essere considerato “una anomalia del sistema”.
La vera anomalia del sistema e quella di un governo che in tema di immigrazione, come in altri settori, impone al Parlamento con l’espediente dei maxiemendamenti e dei voti di fiducia, provvedimenti palesemente incostituzionali, oltre che in contrasto con le normative comunitarie e con il diritto internazionale. Ed altrettanto anomalo è lo spazio di discrezionalità riservato agli accordi internazionali di polizia, sottratto a qualsiasi controllo democratico da parte del Parlamento.
Da soprattutto fastidio a questo governo, ed ai suoi giornalisti supporter, che una parte dei giudici non seguano le ricostruzioni contenute nelle informative di polizia, e osino addirittura mettere sotto inchiesta i comportamenti seguiti dalle stesse forze di polizia nelle attività di contrasto dell’immigrazione irregolare. Sono invece bene accetti i giudici che si limitano a svolgere in modo burocratico la loro attività, limitandosi a trascrivere nelle loro decisioni quanto proposto nei verbali di polizia, magari senza neppure garantire che i destinatari dei provvedimenti ricevano regolari notifiche ed abbiano garantito il diritto alla comprensione linguistica.
Dall’articolo del Giornale e dall’intervento censorio del sottosegretario all’interno Mantovano nei confronti della procura di Siracusa, “rea” di indagare sulla Guardia di finanza e sulla catena di comando responsabili dei respingimenti collettivi in Libia, si può ricavare il degrado della democrazia nel nostro paese, e lo strappo dei principi di separazione dei poteri e di parità di tutte le persone ( cittadini e non) davanti alla legge che sono marchio indelebile della nostra Costituzione.
Le intimidazioni alla magistratura diventano anche una sorta di preavviso di attività ispettive. Le denunce per calunnia o per diffamazione, con il taglio dei finanziamenti, stanno mettendo a tacere la stampa e l’opinione pubblica, e il governo si avvale dei giornali di “famiglia” quando vuole attaccare qualche avversario che dà fastidio. Le associazioni ed i parenti delle vittime dell’immigrazione clandestina resisteranno comunque ai depistaggi ed ai tentativi di mistificazione e non si faranno intimidire continuando a credere che l’operato della magistratura possa rendere giustizia, sia a livello interno, che sul piano internazionale, dei gravi abusi di cui l’Italia si è macchiata per condurre la sua “guerra” all’immigrazione illegale, una guerra che si è abbattuta solo sui più deboli, sui richiedenti asilo, sulle donne, sui minori non accompagnati. Senza risolvere il problema delle centinaia di migliaia di immigrati che hanno fatto comunque ingresso irregolare nel nostro territorio, o che sono condannati a vita ad una condizione di irregolarità per effetto di una legislazione ingiusta ed inefficace, alla mercè di prassi amministrative sempre più discrezionali che violano quotidianamente i diritti fondamentali della persona umana. Al di là di chi strumentalizza le questioni dell’immigrazione e dell’asilo per trarre vantaggio elettorale ed alimentare spinte xenofobe, nessuno, neppure chi si preoccupa soltanto della propria sicurezza, trarrà vantaggio da questa situazione.
– Scarica la lettera del Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg