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Ballads – Volti e storie dalla frontiera Sud

Dalle Canarie alla Grecia, da Ancona all’Afganistan. Questa mostra fotografica inanella volti e immagini, spazi e vuoti percorsi in un lungo reportage giornalistico che ha attraversato tutta la frontiera sud dell’Europa, quel bastione contro il quale si scontrano i flussi migratori che provengono dall’Africa e dall’Asia, diretti nel vecchio continente.

Gli scatti esposti provengono da città e luoghi che sono i punti di snodo fondamentale dell’immigrazione contemporanea. Frontiere di approdo, zone di entrata, o no man’s land dove spesso finiscono imbottigliati i migranti durante il loro viaggio. Spazi dentro cui si rimane bloccati dalle leggi degli Stati europei che fermano gli irregolari con il giogo della burocrazia e dei controlli, appena varcata la porta della frontiera sud.

I migranti restano così immobilizzati nei centri di detenzione temporanea o in tendopoli. Oppure sono fermati e respinti dalle polizie di frontiera e ricacciati in zone di attesa da dove riprovare l’entrata clandestina in Europa. La frontiera sud assume così il profilo di un limbo. Di un luogo di attesa dove non si va né di qua né di là e dentro cui si aspetta un cambiamento che tarda ad arrivare. Oltre quindi che della tragedia migratoria che si consuma alle porte d’Europa, il limbo della frontiera sud diventa anche un simbolo della nostra contemporaneità, che troppe volte dà l’idea di essere avvitata su se stessa e spogliata di prospettive.

Le foto esposte sono state realizzate alle Canarie, a Tangeri, Ceuta e Melilla, Oujda, Cipro, Malta, in Grecia, a Samos, Atene, Patrasso e Ancona nei mesi fra gennaio e luglio 2010.

Con il contributo di:
Comune di Ancona / Provincia di Ancona

Con il Patrocinio di:
Comune di Ancona – I Circoscrizione

In collaborazione con:
Anpi Istituto Storia Marche

Sponsor tecnico:
Eidos / Allestimenti Grafici


La frontiera da lontano sembra semplicemente un segno astratto che divide, una linea da attraversare, sembra un limite da difendere o un ostacolo da oltrepassare. Dentro o fuori istantaneo. Mentre invece si costituisce come spazio, si espande, si solidifica e si concretizza: prende la consistenza di luogo, di soglia, si estende prolungandosi lungo le traiettorie che la intersecano; si estende nel tempo, impregna quello che la precede e investe quello che seguirà, al di là di essa. La frontiera come presente abitato, a ridosso del quale si increspano e si incagliano, si organizzano e sostano esistenze. Dove prolificano dispositivi di controllo e strategie di sopravvivenza, dove il diritto rimane in bilico, dove paradossalmente si radicalizzano differenze mentre si articolano forme di condivisione e di alleanza, strategie e convivenze temporanee ed estreme, dove le solitudini si moltiplicano e si compattano.

La frontiera come luogo di incontro e di tensione, dove spazio e tempo si comprimono e si dilatano, accelerando e rallentando con il movimento dei corpi, al ritmo delle relazioni umane che la abitano. Fretta, corsa, fuga. Oppure lentezza, attesa, immobilità. Passaggio, arresto, ritorno. La frontiera come velocità, rapporto tra lo spazio e il tempo oggettivati delle istituzioni, dei controlli ritualizzati, della semplificazione lineare tra esterno ed interno. Rapporto tra lo spazio ed il tempo soggettivi e personali, individuali, molecolari. Non bianco vs nero, ma sfumature di grigio, sprazzi di luce e buio.

Orizzonti diversi, aperti e fragili nella loro apertura, o marcati e delimitati da segni che sono indizi di una terra, di una lingua. Orizzonti di terra incolta, di mare, di cielo, oppure spazi antropizzati, abitati, occupati, che portano tracce di odori, di voci, di sguardi.

Luoghi addomesticati, segnati da presenze o assenze, sottili o ingombranti. Luoghi recuperati alla vita sottratti ritrovati, che contengono e riparano gesti e tempo quasi familiari, che testimoniano di un quotidiano riprodotto, ricreato, e protetto con cura. O luoghi neutralizzati, svuotati di vita, contenitori vuoti, habitat possibili, angoli dimenticati. Luoghi resi inospitali dall’uomo per l’uomo, nemmeno pause, solo desolanti limiti, griglie muri reti ostacoli che ricacciano indietro la vita, che dicono dove l’uomo ha deciso l’assenza dell’uomo.

Visi, corpi, sguardi dettagli che raccontano storie, che spalancano verso un passato inciso sulla pelle e negli occhi, nella memoria. Corpi in primo piano, presenti, o sullo sfondo, sfumati, in movimento o in quiete apparente. Portano addosso il disegno del tragitto della traiettoria del viaggio.

La frontiera, lo strappo il limite che spezza l’immagine, la prospettiva, il mondo, la frontiera occupa violentemente l’orizzonte, squarcia l’equilibrio, rompe la luce stende ombre. Più o meno invadente, sempre presente e aggressiva incide lo spazio e lo investe, lo contamina lo determina. La frontiera si espande, dentro e fuori il segno, dilaga assorbe e addormenta tutto lo sguardo possibile. Entra e invade i luoghi disabitati, si insinua negli spazi vitali, concretamente o come traccia, come richiamo, ogni linea rigida che taglia il piano, che inquadra e rinchiude i corpi stessi.

Resta ai corpi agli sguardi di divincolarsi, si riprendere spazio attorno, attraverso, di mantenere aperto il varco, il passaggio possibile, la linea di fuga, tratteggiata come passi verso un altrove immaginato. Nei volti nei visi nei gesti questa forza di liberazione persiste e abita lo spazio, lo riconquista, lo tiene, lo nutre di intimità. I corpi plastici, mobili, vivi attraversano le linee, spezzano la frontiera, la abitano resistendo alla sua desertificazione.

Filippo Furri