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dal Corriere del Veneto del 30 settembre 2011

Veneto – Profughi, quasi la metà a rischio espulsione

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Non è nato in un paese devastato dalla guerra, non è un perseguitato politico e non rischia alcuna condanna a morte. Non ha insomma nessun requisito per chiedere l’asilo politico in Italia, anche se ha lavorato in Libia per anni e l’unica via di fuga dalla rivoluzione nordafricana era scappare in Italia. È questo il profilo di molti tra i profughi ospitati nelle comunità sparse per il Veneto, attualmente in attesa di una risposta da parte delle commissioni territoriali di Gorizia e Verona per il riconoscimento della protezione internazionale. Ed è naturalmente questo il problema: nei prossimi mesi, quasi la metà (ottocento) dei circa milleottocento rifugiati nella nostra regione si vedrà respingere la domanda di asilo politico, diventando a tutti gli effetti clandestini a rischio di espulsione. «Temo che a conti fatti i respingimenti saranno molti di più – puntualizza il presidente della commissione di Gorizia a cui fa capo anche Verona, il viceprefetto Adolfo Valente -, noi ci basiamo sulla convenzione di Ginevra e sulle regole rigide della protezione internazionale. Molti non hanno le carte in regola per chiedere la protezione e quindi noi dobbiamo respingerli». Comprensibile, dunque, che nelle comunità stia crescendo la tensione e che stia aumentando anche la preoccupazione dei sindaci che ospitano i profughi. Dopo i primi respingimenti arrivati a settembre sulle domande di maggio, dalle comunità dell’Agordino, in provincia di Belluno, sono scappati almeno tre profughi facendo perdere le loro tracce, mentre a Belluno c’è stata un vera e propria protesta con tanto di sit-in che rischiava di sfociare in scontri ben più gravi. «Mi rendo conto quanto possa essere drammatico vedersi respingere la domanda – continua il viceprefetto Valente – perché molti si sono presentati ai colloqui dimostrando buona volontà e voglia di fare.

Questi elementi però non sono determinanti per la concessione dell’asilo o della protezione umanitaria, quindi se non ci sono i requisiti necessari dobbiamo negare la protezione ». A sentire i tecnici delle politiche sociali di Venezia, l’errore sarebbe stato fatto all’inizio dell’emergenza, quando fu suggerito ai profughi di presentare una domanda di asilo politico o umanitario per calmare le tensioni delle folle di gente che sbarcava a Lampedusa dalla Libia. La maggior parte delle persone ospitate dalla Caritas e dalle diocesi venete, infatti, vivevano e lavoravano in Libia ma provenivano da zone dell’Africa dove non ci sono emergenze umanitarie in corso e solo una piccola minoranza viene dall’Eritrea, dal sud del Sudan (Darfur), dalla Somalia e dalla Libia, Paesi dove le tensioni sono tali da garantire quasi automaticamente il diritto all’asilo politico o la protezione umanitaria. La maggior parte invece viene da Niger, Mali, Costa d’Avorio, Chad e Togo: costoro hanno minori probabilità di essere accolti. La situazione è ancora più complessa per i quasi ottocento profughi che che vengono dalla Nigeria, dal Camerun, dal Marocco o dall’Egitto perché, salvo particolari situazioni personali, la domanda verrà probabilmente respinta e anche le speranze di un ricorso saranno basse.

«Questo è un problema grave – conferma il direttore della Caritas veneziana don Dino Pistolato – sarebbe bene che il governo italiano iniziasse a confrontarsi con gli altri governi per pensare a una sanatoria a livello europeo. Se i respingimenti dovessero essere tanti il comportamento dei rifugiati diventerà imprevedibile ». E non è escluso che già ai primi di ottobre ci siano forti tensioni, visto che tra pochi giorni scadrà il permesso di soggiorno temporaneo per la maggior parte dei profughi tunisini, ai quali erano stati concessi sei mesi di tempo prima di tornare in patria. A meno di una settimana dalla scadenza dei permessi, infatti, il governo non ha ancora presentato una legge per prorogare i tempi e quindi il centinaio di tunisini ospiti delle comunità venete diventeranno clandestini nel giro di pochi giorni. «A questo si aggiunge il fatto che il loro permesso di soggiorno temporaneo non permetteva di lavorare – conclude un operatore delle politiche sociali di Mestre – dunque molti tenteranno la fuga dalle comunità senza un soldo in tasca e si mescoleranno agli altri immigrati irregolari presenti sul territorio».

Alessio Antonini