Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

L’eterno e immobile limbo del Cara di Mineo

di Antonio Mazzeo

È già trascorso un anno e l’emergenza si è fatta quotidianità. Un albergo-prigione trasformato in una trappola di precarietà. Spazio dove tutto è lento. Non luogo eterno. Ieri è oggi, oggi domani. Il Centro di accoglienza richiedenti asilo di Mineo è ancora lì, nella piana di Catania, l’Etna imbiancata lontana, un deserto di arance e relazioni sociali. Cinquemila persone, cinquemila vite, cinquemila storie di dolori, dubbi e speranze ci hanno trascorso interminabili mesi nell’attesa di un imperscrutabile giudizio divino. “Resti!” “Te ne vai!” “Dentro!” “Fuori!”. Mille e seicento ci stanno ancora. E tanti ci resteranno almeno sino alla fine dell’anno. Sì, perché, nell’assenza di un dibattito generale sul diritto d’asilo e su quale accoglienza, lo status emergenziale migranti e richiedenti è stato prorogato d’ufficio al 31 dicembre 2012. Ma le lobby del business migranti Spa sono fameliche e instancabili. Tramano già per il SuperCara 2013 e 2014. Meglio ancora se 2015. Sono il partito unico, coop e aziende di destra e di sinistra a dividersi la torta plurimilionaria della supervigilanza dei corpi-altri, donne, uomini, bambine, bambini. Solo per l’affitto dell’ex villaggio di Mineo, la Pizzarotti Parma – proprietaria – riceverà qualcosa come sei milioni di euro all’anno. I dirigenti della grande società di costruzioni non lo ritengono un rimborso congruo, ma è il “valore di mercato” stimato dall’Ufficio tecnico erariale di Catania. Certo è meno di quanto pagavano i militari americani di Sigonella. Ma a fine 2010 i marines hanno preferito abbandonare la struttura per affittare alloggi più vicini alla grande stazione aeronavale. Comunque è tutto oro colato: senza i rifugiati d’oltre mediterraneo il residence sarebbe andato precipitosamente in rovina, le villette saccheggiate, il mobilio trafugato. Proprio come è accaduto a Comiso dopo lo smantellamento dei missili Cruise a testata nucleare, nel villaggio-fratello realizzato anche allora dagli operai di Pizzarotti, poi smilitarizzato e trasferito integralmente agli enti locali.