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Tratto da Il Manifesto del 27 novembre 2014

Europa e Africa, accordo sui migranti

di Carlo Lania

Tra oggi e domani si tiene a Roma la Conferenza ministeriale euro-africana su migrazioni esviluppo, presieduta dai Ministri Paolo Gentiloni e Angelino Alfano. Scopo annunciato dell’iniziativa sarebbe la promozione di “progetti concreti per una più efficace gestione dei flussi migratori” nei Paesi del Corno d’Africa e nei maggiori Paesi mediterranei di transito (Libia, Egitto e Tunisia). Oltre ai 28 stati membri UE, partecipano al processo Khartoum anche Libia, Egitto, Sudan, Sud Sudan, Etiopia, Eritrea, Gibuti, Somalia, Kenya, Tunisia, Stati con una evidente tensione democratica e pro-rifugiati, basta pensare che il Coordinamento Eritrea Democratica ha organizzato un presidio di contestazione al meeting per ripudiare la presenza del Presidente eritreo Isaias Afewerki, invitato a partecipare al vertice. Diritti umani e diritto di asilo affrontati con la ricetta di nuovi campi profughi in cui esaminare le domande di asilo verso l’Europa, con quote di ingresso stabilite dai paesi europei, nonché misure di controllo dei confini a carico dei paesi del Corno d’Africa.

Pubblichiamo di seguito un articolo di Carlo Lania tratto da Il Manifesto

Le spe­ranze sono molte, almeno quante sono le pre­oc­cu­pa­zioni che da diverse set­ti­mane cir­con­dano l’iniziativa. Dopo Tri­ton, la mis­sione euro­pea che ha il com­pito di con­trol­lare le fron­tiere marit­time del con­ti­nente, l’Unione euro­pea si pre­para ora a lan­ciare un nuovo piano — bat­tez­zato Pro­cesso di Khar­toum — desti­nato a con­tra­stare il traf­fico di esseri umani ma anche al con­trollo dei flussi migra­tori pro­ve­nienti dal Corno d’Africa. Un pro­getto messo a punto nei mesi scorso in accordo con l’Unione afri­cana e che verrà pre­sen­tato domani al ter­mine della IV Con­fe­renza mini­ste­riale euro-africana su migra­zioni e svi­luppo in corso a Roma. Per l’occasione sono pre­senti i mini­stri degli Esteri e degli Interni dei 28 Paesi mem­bri dell’Unione, più quelli di Eri­trea, Egitto, Etio­pia, Gibuti, Kenya, Libia, Soma­lia, Sudan, Sud Sudan e Tuni­sia, ovvero i paesi da cui parte o in cui tran­sita la mag­gior parte dei migranti che — attra­ver­sano viaggi estre­ma­mente peri­coli che spesso durano molti mesi — cer­cano di arri­vare in Europa.

L’iniziativa prende avvio a pochi giorni di distanza dallo stop impo­sto dal governo ita­liano all’operazione Mare nostrum che in un anno ha sal­vato 160 mila migranti, e pro­prio come Tri­ton punta sì al con­tra­sto dei traf­fi­canti di uomini, ma anche a una ridu­zione degli arrivi lungo le nostre coste.
I dubbi sulla nuova ope­ra­zione nascono pro­prio sui metodi scelti per rag­giun­gere que­sti due obiet­tivi. Anche se finora non c’è nulla di uffi­ciale al cen­tro del Pro­cesso di Khar­toum c’è la rea­liz­za­zione di campi pro­fu­ghi nei Paesi che si tro­vano a Sud della Libia, in par­ti­co­lare Etio­pia, Sudan, Sud Sudan e Niger, attra­ver­sati oggi con mille peri­coli dai migranti prima di arri­vare nel Paese nor­da­fri­cano dove poi si imbar­cano diretti verso le coste ita­liane. I campi dovrebbe essere gestiti dall’Alto com­mis­sa­riato dell’Onu per i rifu­giati (Unhcr) e dall’Organizzazione inter­na­zio­nale per le migra­zioni (Oim), e dovreb­bero offrire un rifu­gio pro­tetto ai migranti con­sen­tendo anche di sta­bi­lire quanti di loro hanno diritto alla pro­te­zione inter­na­zio­nale.

Da parte sua l’Europa si impe­gna ad acco­gliere, divi­den­doli nei vari Paesi mem­bri, i rifu­giati la cui richie­sta di asilo è stata accolta. «In que­sto modo — spie­gano al Vimi­nale — riu­sciamo a togliere i pro­fu­ghi dalle mani dei traf­fi­canti, dal momento che non dovreb­bero più affi­darsi a loro per attra­ver­sare il Medi­ter­ra­neo».
Del Pro­cesso di Khar­toum si è par­lato ieri a Bru­xel­les nella sede del nuovo com­mis­sa­rio euro­peo per l’immigrazione, il greco Dimi­tris Avra­mo­pou­los, men­tre a dicem­bre a Gine­vra si terrà la con­fe­renza dei Paesi dell’Ue per sta­bi­lire le quote di acco­glienza e i finan­zia­menti da desti­nare all’operazione. Soldi che dovranno ser­vire anche per l’addestramento delle varie poli­zie di fron­tiera afri­cane e per avviare cam­pa­gne di infor­ma­zione nei Paesi di ori­gine dei migranti. Pro­ba­bile, come già avviene in alcuni Paesi afri­cani, che l’obiettivo sia quello di dis­sua­dere quanti fug­gono dall’intraprendere il viag­gio, ponendo l’accento sui rischi che que­sto com­porta.

Fin qui il pro­getto, che però al di là delle buone inten­zioni non è privo di zone gri­gie. A par­tire dalla scelta fatta dall’Europa, e in par­ti­co­lare dall’Italia, di avviare rap­porti di col­la­bo­ra­zione con dit­ta­ture come quelle pre­senti in Sudan e Eri­trea. Come spiega don Mus­sie Zerai, pre­si­dente dell’Agenzia Habe­shia che da anni denun­cia le vio­lenze del regime di Asmara. «Che garan­zie offrono que­sti paesi per­ché l’Italia possa dia­lo­gare con loro?», chiede il sacer­dote. «L’Onu ha avviato una com­mis­sione d’inchiesta pro­prio per accer­tare le vio­la­zione dei diritti umani in Eri­trea, e adesso l’Italia legit­tima quel paese che è privo per­fino di una Costi­tu­zione». Dubbi che si esten­dono anche alla rea­liz­za­zione dei campi, che secondo don Zerai l’Europa potrebbe usare per rac­co­gliere i migranti lascian­doli poi lì. «Campi così esi­stono già nel nord dell’Etiopia, dove sono sti­pati 80 mila pro­fu­ghi, e in Sudan dove migliaia e migliaia di per­sone aspet­tano mesi e mesi che qual­cuno esa­mini le loro domande di asilo».
C’è poi, e non è certo secon­da­rio, il pro­blema su chi garan­ti­sce la sicu­rezza dei campi. L’idea sarebbe di affi­darla alla poli­zia dei locale che però, come ricorda don Zerai, è spesso cor­rotta e col­lusa con i traf­fi­canti. «La mia paura — con­clude il sacer­dote — è che in realtà l’Europa voglia aprire quest campi per trat­te­nere i pro­fu­ghi, impe­den­do­gli così di arri­vare fino a noi».