di Ilaria Ruggiero
Sostenuta da 302 adesioni di collettivi e associazioni, il 6 febbraio a Ceuta e in altri luoghi d’Europa si è tenuta l’ottava Marcha por la Dignidad – Tarajal No olvidamos che per quest’anno si è deciso infatti di organizzare in forma “diffusa” attraverso piccole iniziative in molte parti del mondo per ricordare le vittime del Tarajal.
Il 5 febbraio si è tenuta una tavola rotonda dal titolo “Di fronte alle politiche di morte, Memoria, Vita e Diritti” alla quale era possibile partecipare online e il giorno successivo una piccola delegazione di attivistə si è recata come ogni anno sulla spiaggia di frontiera.
Era il 6 febbraio 2014 quando sulla spiaggia di Ceuta sono annegate 14 persone nel tentativo di raggiungere l’Europa, a causa degli spari di proiettili di gomma e fumogeni da parte della polizia spagnola.
Nonostante le proteste di varie Ong e delle famiglie delle vittime, il processo è stato archiviato il 27 luglio 2020; l’archiviazione è passata in sordina a causa della pandemia, ma le associazioni e le Ong affermano che continueranno a chiedere giustizia. Sono molti infatti i video che mostrano come i poliziotti abbiano sparato mirando direttamente alle persone inermi che stavano nuotando, di fatto uccidendole. A rendere più difficile la gestione del processo c’è il fatto che nessuno dei parenti delle vittime vive in Spagna.
Ad oggi nessuna delle istituzioni coinvolte ha ammesso le sue responsabilità, nonostante il 6 febbraio del 2014 si sia verificata una palese violazione dei diritti umani.
Davanti a questa situazione le iniziative di quest’anno appaiono ancora più importanti: la pandemia non può cancellare le vittime del Tarajal e ora come non mai è necessario parlare di come i confini europei siano sempre più delle barriere di sangue, protette da violenza sistemica e dal silenzio delle istituzioni.
Gli ultimi anni hanno evidenziato una tendenza delle politiche europee e nazionali improntata sull’aumento delle risorse finanziare impiegate contro la lotta contro l’immigrazione irregolare. Sotto il mandato di Fernando-Grande Marlaska (ministro dell’Interno spagnolo dal 2018 nei governi Sánchez I e II), le voci di bilancio per le guardie costiere e la polizia di frontiera di paesi come il Marocco, la Mauritania o il Senegal, sono triplicate. Questi provvedimenti, lungi dall’essere un deterrente, non hanno fatto che deviare i flussi migratori su rotte ben più pericolose come le isole Canarie: un viaggio più complicato i cui punti d’imbarco (Gambia, Senegal e Mauritania), sono sempre più lontani, esponendo così i migranti a lungo tempo in balìa del mare.
I dati del 2020 sulla “frontera sur” che vengono citati nel manifesto dell’VIII Marcha por la Dignidad sono scioccanti:
“A causa dell’inasprimento dei controlli alle frontiere e delle politiche di morte della Fortezza Europa, sempre più persone perdono la vita cercando di raggiungere il nostro territorio. Secondo i rapporti di Caminando Fronteras, si contano 2.170 morti sulle vie d’accesso allo stato spagnolo, 95% di questi spariti nel nulla; vuol dire che il 95% delle vittime scompare in mare senza che i loro corpi vengano recuperati. Se non siamo stati in grado di salvare le loro vite, dovremmo assumerci la responsabilità della loro morte”.