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Respingimenti illegali e violenza alle frontiere. Regione balcanica, marzo 2021

Il rapporto di Border Violence Monitoring Network (traduzione integrale)

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Sommario generale

A marzo, il Border Violence Monitoring Network [[BVMN è una rete di organizzazioni di controllo attive in Grecia e nei Balcani occidentali, tra cui No Name Kitchen, Rigardu, Are You Syrious, Mobile InfoTeam, Josoor, [re:]ports Sarajevo, InfoKolpa, Escuela con Alma, Centre for Peace Studies, Mare Liberum, IPSIA, Collective Aid e Fresh Response.]] (BVMN) ha registrato 31 casi di respingimenti, che hanno coinvolto 671 migranti nei Balcani.

Il report esamina la violenza diretta e indiretta che le persone devono affrontare alle frontiere della regione, e il modo in cui la gestione dei confini è stata pensata per massimizzare gli abusi sulle comunità di migranti. Persone sono state uccise alle frontiere e all’interno della regione il mese scorso, a causa della mancanza di un canale di accesso sicuro per l’Unione europea.

Il report esamina il caso della mina che esplodendo ha ucciso un gruppo di migranti che viaggiava a piedi in Croazia, e i molteplici incidenti e respingimenti sulle rotte di autotrasporto lungo le frontiere esterne dell’Unione europea. Per capire perché le persone siano spinte ad affrontare questi percorsi pericolosi si devono analizzare le pratiche di sorveglianza e i violenti respingimenti messi in atto. Sulla base di testimonianze di prima mano raccolte a marzo, il report esamina l’utilizzo di impianti di sicurezza fissi collocati sulla recinzione di confine ungherese e la sorveglianza mobile effettuata tramite droni al confine croato.

Vengono analizzate anche le tendenze degli arresti e dei trasferimenti, mostrando come nei respingimenti si vada oltre la violenza fisica diretta e come ciò modelli le esperienze dei bambini e delle giovani famiglie di migranti. Il report esamina l’esperienza di questi gruppi al confine croato, e riporta anche la sfida legale mossa da parte di un minore contro la guardia costiera ellenica. Sono presentate anche testimonianze multiple di due respingimenti dalla Bulgaria: un pushback a catena in cui un gruppo di migranti è stato spinto prima in Grecia, e poi in Turchia, e uno diretto dalla Bulgaria alla Turchia.

A livello politico, le ultime modifiche legislative in Slovenia hanno ampliato i poteri che possono essere mobilitati contro l’ingresso delle comunità di migranti nel paese. Nel contesto della riduzione degli arrivi in Italia e di un inasprimento delle pratiche di respingimento in Croazia, ciò segna una svolta preoccupante nella gestione della rotta dei Balcani occidentali. In Ungheria, l’estensione del modello “emergenziale” viene analizzata alla luce dell’ultima sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e del panorama mutevole delle organizzazioni internazionali che operano al di fuori di Budapest.

Oltre un anno dopo i primi lockdown in tutta Europa, il peggioramento della situazione covid-19 nei campi in Bosnia-Erzegovina e nelle isole dell’Egeo è un promemoria dell’esperienza differenziata della pandemia. A marzo, da Atene al cantone di Una Sana, sono stati registrati violenti pattugliamenti urbani e vessazioni verso comunità di abusivi e senzatetto. Nel mese in cui BVMN ha pubblicato la sua 1000a testimonianza, è tristemente evidente che le pratiche alle frontiere esterne dell’UE rimangono costantemente aggressive nei confronti dei migranti, sia nell’uso sistematico dei respingimenti che nella violenza all’interno dei confini statali.

Sommario
Generale
Network di segnalazione
Metodologia
Terminologia
Abbreviazioni
Tendenze nella violenza alle frontiere
Respingimenti di famiglie e minori non accompagnati dalla Croazia
Il gioco dell’attesa
Rischi mortali con il “gioco” dei camion
Caratteristiche della recinzione al confine ungherese
L’utilizzo dei droni in Croazia
Respingimenti dalla Bulgaria alla Turchia
Aggiornamenti sulla situazione
Grecia
• Un minore intenta una sfida legale per un pushback
• Brutalità della polizia, mobilitazione delle piazze
Croazia
• La detonazione di una mina causa morti e feriti
Slovenia
• Asilo intaccato da nuove leggi “emergenziali
Bosnia ed Erzegovina
• Lockdown per covid-19 nei campi
• Pattugliamenti urbani a Bihać
• Condizioni e violenza interna a Bosanska Bojna
Ungheria
• Organizzazioni internazionali e il sistema di asilo ungherese

Italia
• Covid-19 e nuovi arrivi
Glossario dei report, marzo 2021
Struttura e contatti del Network

Generale

Network di segnalazione
BVMN è un progetto collaborativo tra più organizzazioni e ONG che lavorano lungo la rotta dei Balcani occidentali e in Grecia, documentando le violenze ai confini contro i migranti. I membri delle organizzazioni utilizzano un database comune come piattaforma per raccogliere le testimonianze di respingimenti illegali ottenute attraverso interviste.

Terminologia
Il termine pushback è una componente chiave della situazione che si è venuta a creare lungo i confini dell’UE (Ungheria e Croazia) con la Serbia nel 2016, dopo la chiusura della rotta balcanica. Pushback descrive l’espulsione informale (senza giusto processo) di un individuo o di un gruppo verso un altro paese. È in contrasto con il termine “deportazione”, che è condotta all’interno di un quadro giuridico. I pushback sono diventati una parte importante, anche se non ufficiale, del regime migratorio dei paesi dell’UE e di altri paesi.

Metodologia
Il processo metodologico delle interviste sfrutta lo stretto contatto sociale che i nostri volontari sul campo hanno con rifugiati e migranti per monitorare i respingimenti ai confini. Quando gli individui tornano con lesioni significative o storie di abusi, uno dei volontari addetti alla segnalazione delle violenze si siede con loro per raccogliere una testimonianza. Anche se la raccolta di testimonianze in sé si rivolge di solito ad un gruppo non più grande di 5 persone, i racconti possono riguardare anche gruppi di 50 persone. Le interviste hanno una struttura standardizzata che unisce la raccolta di dati (date, geo-localizzazioni, descrizioni degli agenti di polizia, foto di lesioni / referti medici, ecc.) a testimonianze delle violenze.

Abbreviazioni
BiH – Bosnia ed Erzegovina
HR – Croazia
SRB – Serbia
SLO – Slovenia
ROM – Romania
HUN – Ungheria
ITA – Italia
MNK – Macedonia del nord
ALB – Albania
GRK – Grecia
TUR – Turchia
EU – Unione Europea

Tendenze nella violenza alle frontiere

Respingimenti di famiglie e minori non accompagnati dalla Croazia
Negli ultimi mesi, le organizzazioni aderenti a BVMN che operano alla frontiera esterna dell’UE in Bosnia ed Erzegovina hanno assistito a un aumento dell’arrivo di famiglie e minori non accompagnati, principalmente dall’Afghanistan. Nella maggior parte dei casi le famiglie, spesso con bambini molto piccoli e neonati, arrivano dai campi in Grecia, spinti dai ritardi nelle procedure di asilo o dalle infinite attese per le loro richieste di ricongiungimento familiare. Tuttavia, nella maggior parte dei casi queste famiglie e i minori non accompagnati si trovano successivamente bloccati nel nord-ovest della Bosnia ed Erzegovina.

Con questo cambiamento demografico, c’è stato anche un aumento dei respingimenti di gruppi che includono famiglie o minori non accompagnati (vedi 6.1 e 6.2), e il Danish Refugee Council segnala che tale tendenza è aumentata per tutta la primavera 2021. L’esperienza dei minori varia da un caso all’altro. I bambini molto piccoli sono raramente oggetto di violenza fisica, ma sono però spesso testimoni di atti molto brutali e umilianti perpetrati contro i loro genitori / tutori. In un caso di marzo 2021, un bambino di tre e uno di dieci anni hanno visto un agente di polizia croato tenere un coltello alla gola del padre, minacciando di ucciderlo (vedi 6.12).

Secondo quanto riferito, l’agente ha anche colpito il padre alla testa due volte con il manico del coltello. Quando i bambini hanno iniziato a gridare e piangere uno degli agenti gli ha intimato di “stare zitti“. A causa di questi incidenti, i genitori spesso segnalano che i bambini hanno difficoltà a dormire e, come è stato analizzato nel Rapporto BVMN di novembre, l’impatto duraturo di questi eventi traumatici rappresenta una violenza lenta che va oltre il respingimento stesso.

I minori non accompagnati sono spesso oggetto di una violenza più diretta. Ai sensi del diritto europeo, ai bambini non accompagnati e separati non dovrebbe essere negato l’ingresso in un paese. Tuttavia, in un caso registrato a marzo, cinque minori non accompagnati sono stati respinti, anche se gli agenti croati erano a conoscenza della loro età (vedi. 6.3). Durante il respingimento sono stati obbligati a stare sdraiati a faccia in giù sul pavimento e sono stati picchiati con manganelli, prima di essere spinti nel fiume Korana. In questi casi, i minori vengono intenzionalmente mescolati con gli adulti del gruppo di transito in cui si pratica violenza diffusa, ma l’impatto di questi attacchi per i giovani assume dimensioni maggiori, entrando a far parte della loro esperienza giovanile.

Nel 2020 il Center for Peace Studies ha pubblicato un rapporto che evidenzia come l’esposizione ripetuta a eventi di pushback traumatico durante l’infanzia possa avere effetti avversi sul cervello e sul sistema nervoso. Inoltre, la mancanza di spazi sicuri e il movimento costante esacerbano il trauma e ostacolano il recupero, che ha effetti a catena per individui, gruppi sociali e famiglie. Le esperienze dei minori non accompagnati e delle giovani famiglie fanno parte di un più ampio spettro di traumi che hanno un impatto sulle persone al confine croato. Sebbene nessuno debba essere soggetto ad abusi, per questi gruppi demografici questi possono essere particolarmente dannosi.
Infografica sulle violazioni durante i pushback (Fonte:BVMN)

Il gioco dell’attesa

Molti migranti cercano di aggirare la Croazia durante il loro viaggio, a causa del limitato accesso all’asilo e del rischio di violenza da parte della polizia. Ma recentemente c’è stato un aumento dei respingimenti dall’area di frontiera immediata, dove le famiglie che arrivano dalla Bosnia ed Erzegovina si presentano direttamente alla polizia croata per chiedere asilo.

Questa tendenza del transito e dei respingimenti dipende da molteplici motivi. In primo luogo, la lunga durata del viaggio verso la Slovenia o l’Italia è un enorme ostacolo per i gruppi con bambini piccoli. Altri invece sono stati separati dalla famiglia durante precedenti respingimenti e vogliono tentare di rientrare in Croazia per ricongiungersi con i parenti nei centri di asilo. Ma, anche se la polizia croata ha l’obbligo di ricevere richieste di protezione internazionale, anni di prove raccolte da BVMN hanno dimostrato che i respingimenti illegali sono l’approccio predefinito adottato dalle forze dell’ordine.

Una testimonianza ha riportato l’esperienza di un gruppo di famiglie che hanno camminato di notte per circa 10 chilometri verso l’interno del territorio croato prima di contattare le autorità per chiedere asilo (vedi. 6.2). In questa occasione hanno chiamato la polizia usando un telefono. Quando la polizia è arrivata, la richiesta di asilo è stata ignorata. Gli agenti hanno preso ed esaminato il telefono che era stato utilizzato per contattarli, prima di spingerli indietro di circa 25 o più chilometri da dove erano partiti. Una famiglia afferma di aver cercato di presentare più richieste di asilo, chiamando la polizia o contattando organismi come l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM). Secondo quanto riferito, ai migranti è stata chiesta la loro posizione, e quando la polizia è arrivata sono stati riportati in Bosnia ed Erzegovina.

In un altro incidente, alcuni migranti sono entrati in Croazia e hanno aspettato su una strada principale vicino a Maljevac fino a quando non sono stati trovati dalla polizia (vedi 6.12). L’intervistato ha mostrato agli agenti copie dei documenti della moglie e del figlio che erano già ospitati nel centro di accoglienza di Zagabria. Tuttavia, la polizia croata ha ignorato la sua richiesta e ha respinto violentemente il gruppo in Bosnia ed Erzegovina vicino al campo di Miral.

Se in una certa misura in questi casi il calvario fisico di camminare per centinaia di chilometri viene meno, le persone si scontrano ancora con la violenta negazione dell’asilo. Che si tratti di avvicinarsi o di evitare la polizia croata, la probabilità di espulsione è probabilmente la stessa. Questi respingimenti sono solo una delle strategie di espulsione che vanno contro il diritto internazionale e che, insieme a respingimenti dall’interno del territorio e alla sorveglianza delle rotte di trasporto, rappresentano la crescente impermeabilità delle frontiere esterne dell’UE.

Rischi mortali con il “gioco” dei camion

Se la maggior parte dei respingimenti segnalati da BVMN riguardano l’espulsione delle persone che attraversano le frontiere a piedi, esistono molti altri modi di passare i confini dell’UE. Questi riflettono i crescenti livelli di sorveglianza e violenza della polizia che le persone devono evitare, e le enormi distanze che i migranti devono percorrere per viaggiare inosservati (situazione peggiorata negli ultimi anni a causa dell’estensione dei respingimenti a catena).

Le vie di autotrasporto sono spesso utilizzate per attraversare i confini ed aggirare i paesi in cui l’accesso all’asilo è limitato. Tuttavia, il mese scorso, casi dalla Slovenia, Croazia e Grecia hanno evidenziato i rischi che derivano dal nascondersi, viaggiare clandestinamente ed essere catturati sui camion mentre si cerca di attraversare le frontiere.

In un caso di marzo, un gruppo che era salito a bordo di un grande camion in Serbia è riuscito a raggiungere una zona industriale vicino a Zagabria, in Croazia. Ma appena usciti dall’area di carico del camion, i migranti sono stati aggrediti da alcuni operai che hanno anche chiamato la polizia. Quando gli agenti sono arrivati, hanno partecipato al pestaggio (vedi 4.1). Il gruppo è stato poi espulso in Serbia, con un crudele respingimento transfrontaliero nei pressi di Batrovci, in cui sono stati rubati i sacchi a pelo, cappotti, lacci e medicine.

Un altro caso in cui le forze dell’ordine sono state allertate dal personale dei trasporti è stato registrato a marzo in Slovenia (vedi. 3.1). Il gruppo di migranti è stato espulso da un camion nei pressi di Kozina, è stato trattato con atteggiamenti islamofobici dal personale e poi è stato sottoposto ad un violento pushback a catena verso la Serbia. Un analogo respingimento a catena è stato portato avanti anche dal valico di frontiera di Obrežje, dove un gruppo è stato sottoposto a un pestaggio da parte della polizia dopo essere stato rilevato da uno scanner per camion (vedi 5.2). Questo tipo di violenza non è riservata alle rotte di autotrasporto terrestri; a marzo BVMN ha condiviso la segnalazione di una persona aggredita dopo essere scesa da un camion sulla linea di traghetti Superfast tra Grecia e Italia. La diffusione dei casi dimostra che nei diversi Stati membri dell’UE i controlli intensivi delle vie di trasporto stanno alimentando violenti respingimenti.

Oltre agli assalti e alle espulsioni forzate illegali, l’utilizzo nei camion comporta anche enormi rischi in termini di soffocamento e incidenti stradali. Molteplici casi provenienti da tutta Europa hanno mostrato che le rotte degli autotrasporti causano vittime, e la morte di sette persone in un container diretto dalla Serbia al Paraguay è solo uno degli ultimi esempi. Il mese scorso in Croazia altre quattro persone sono rimaste uccise quando un camion si è schiantato sull’autostrada e il carico le ha schiacciate. Anche il resto del gruppo di migranti ha riportato gravi ferite mentre veniva scaraventato tra i rottami. Questi morti e feriti ci ricordano tristemente il crudele regime di frontiera che l’Unione europea sostiene.

La proliferazione di queste tragedie attraverso più frontiere dimostra la mancanza di canali di ingresso sicuri e legali per le comunità di migranti. La mancanza di risposta a queste morti indica anche la complicità delle autorità, che mantengono regimi migratori rigidi. In un recente articolo Harshi Walia ha definito la morte di persone in transito “omicidi di confine“, un termine che segnala giustamente la presenza di un autore. Il fatto che le persone continuino a morire o ad essere violentemente espulse non è casuale, è l’intenzione del regime di frontiera dell’Unione europea. Inoltre, il modo in cui i respingimenti si sono diffusi dalle immediate aree di confine verso l’interno e le rotte commerciali (come le rotte di trasporto) mostra come la violenza contro i migranti si sia diffusa dallo Stato verso la sfera pubblica.
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Camion che si è rovesciato in Croazia, uccidendo quattro persone (Fonte: IvicaGalovic/PIXSELL/Picture-alliance)

Caratteristiche della recinzione al confine ungherese

Le testimonianze di BVMN degli ultimi due mesi hanno fornito ulteriori approfondimenti sul funzionamento della recinzione di confine ungherese come strumento di violenza, sorveglianza e deterrenza. Costruita nel 2015, si estende per l’intero confine di 175 chilometri tra Ungheria e Serbia, costituendo un’architettura fisica e simbolica nel contesto della securitizzazione delle frontiere dell’UE. L’attenzione alle varie funzioni di questa installazione fissa di frontiera dimostra che è tutt’altro che “solo una recinzione” e che invece incarna lo sconfinamento della sorveglianza tecnologica nei processi di violenza alle frontiere.

L’installazione è composta da due barriere, è alta quattro metri e con rotoli di filo spinato. È progettata per vietare il transito e, per coloro che provano ad attraversarla, la minaccia di lesioni gravi è sempre presente. In un incidente all’inizio di marzo (vedi 1.1), un intervistato riferisce di essere caduto dalla prima recinzione e di essersi rotto una gamba nell’atterraggio. Tali lesioni, insieme ai tagli del filo spinato, sono esperienze comuni per coloro che non hanno opzioni legali di ingresso in Ungheria dalla Serbia. Come descritto nel report di febbraio, il ricovero in ospedale per queste ferite non è un motivo di sospensione dei respingimenti, e l’intervistato è stato rimosso in Serbia nonostante avesse bisogno di ulteriori cure.

Oltre ad essere uno strumento di deterrenza, la recinzione è anche progettata per rendere più efficienti i pushback illegali. I respingimenti ungheresi sono processi intensivi che vengono condotti da una varietà di divisioni di polizia e personale militare che operano nella zona di confine, insieme a gruppi privati di sicurezza e vigilantes. Una delle funzioni dell’installazione è quella di collegare le unità mobili, che sono distribuite lungo la recinzione in veicoli di pattuglia, torri di avvistamento e stazioni di frontiera. Questo si ottiene con una strada di servizio che si snoda tra le due recinzioni. La strada funge da arteria per il rapido arrivo di agenti e il trasporto di gruppi di transito catturati per il respingimento. Le autorità ungheresi sono avvisate degli attraversamenti da una rete di telecamere e sensori termici, e in recenti testimonianze gli intervistati hanno riferito di aver sentito scattare allarmi quando si trovavano in prossimità della recinzione.

Dopo la cattura, una rete di piccoli cancelli consente agli agenti ungheresi di effettuare espulsioni collettive nei terreni agricoli rurali serbi dall’altra parte del confine. Presso questi cancelli, gli agenti usano spesso telecamere portatili per registrare i respingimenti dei gruppi di migranti, e una recente testimonianza si riferiva anche a sistemi di altoparlanti fissi che riproducono messaggi automatizzati in più lingue (come arabo, pashto e urdu).

Quando ci siamo avvicinati agli speaker, abbiamo sentito: “Non venite, tornate indietro!

Un rapporto Reuters del 2017 conferma che sistemi di altoparlanti sono stati effettivamente installati lungo la recinzione di confine al fine di trasmettere messaggi automatizzati che indirizzino i richiedenti asilo verso le zone di transito. Tuttavia, con le zone di transito chiuse da maggio 2020 e l’accesso all’asilo quasi chiuso in Ungheria, queste trasmissioni aiutano solo a riaffermare la dissonanza tra regimi di frontiera automatizzati ad alta tecnologia e libertà di movimento.

L’utilizzo dei droni in Croazia

Dalla chiusura del corridoio umanitario, la Croazia ha investito molto in attrezzature di sorveglianza per monitorare gli attraversamenti dalla Bosnia ed Erzegovina e dalla Serbia. A differenza del modello ungherese, che si basa principalmente sulla barriera fisica di confine, la Croazia si è concentrata su apparecchiature di rilevamento mobili. Queste risorse, come elicotteri e sensori portatili di imaging termico, possono essere usate ai confini e all’interno del territorio per trovare gruppi di migranti e dirigere le forze di polizia verso la loro posizione. Il fulcro di questo arsenale è la flotta in continua espansione di droni senza pilota.

Una testimonianza condivisa da BVMN a marzo conferma il recente utilizzo dei droni nelle operazioni di frontiera (vedi 6.7), con l’intervistato che afferma di aver sentito il dispositivo volare sopra la sua testa prima di essere catturato vicino all’autostrada E71 in Croazia. Questo si collega a molti altri resoconti di testimoni che citano la presenza di droni durante la cattura, molti dei quali sono stati messi insieme in un recente contributo di BVMN al rapporto tematico delle Nazioni Unite su Razza, confini e tecnologia digitale. Il ricercatore Jack Sapoch ha monitorato ampiamente lo sviluppo dei droni e il loro ruolo nel rilevamento dei gruppi di migranti in Croazia. Uno degli ultimi acquisti del Ministero dell’Interno croato (MUP) è il drone a lungo raggio 4x eRIS III, costruito da King ICT / Planet IX ed Erickson Nikola Tesla. Come afferma Sapoch:

il 4x eRISIIin individua le persone a 10 km di distanza di giorno e a 3 km di notte, con una velocità massima di volo di 130 km/h. Inoltre, è progettato per inviare un link video diretto al Centro nazionale di coordinamento a Zagreb

L’unione di queste capacità di individuazione con i metodi di polizia tradizionali ha avuto un forte impatto sulla velocità e sulla frequenza con cui le autorità croate riescono ad intercettare i gruppi di migranti. Come evidenziato in un’alta percentuale di segnalazioni registrate da BVMN dalla Croazia, gli avvistamenti di droni sono regolarmente seguiti da livelli estremi di abusi da parte degli agenti in arrivo. Esempi di questo scambio tra sorveglianza e violenza applicata possono essere visti in incidenti in cui i detenuti sono stati quasi soffocati o attaccati con spray CS dalla polizia croata.

Un recente articolo del Guardian di Andrei Popoviciu ha anche fornito una critica all’idea che tecnologia possa condurre ad una diminuzione della violenza ai confini. Considerando la “batteria” di droni e altre apparecchiature di sorveglianza utilizzate in Croazia, Ungheria e Serbia, Popoviciu ha suggerito che gli Stati membri dell’UE stanno usando i dispositivi di rilevamento come armi contro i migranti. Secondo una dichiarazione di gennaio della Commissione Ue, solo negli ultimi 5 anni la Croazia ha ricevuto 109,23 milioni di euro dal Fondo per la sicurezza interna per “proteggere e gestire meglio i confini esterni dell’UE“. Con così tanto denaro incanalato nella sicurezza high tech e il proseguimento di atroci violazioni dei diritti, questi strumenti possono essere visti come un accompagnamento diretto alla violenza della polizia sul campo.

Respingimenti dalla Bulgaria alla Turchia

Questo mese, BVMN ha raccolto cinque testimonianze di respingimenti dalla Bulgaria: due di un pushback a catena del 10 marzo dalla Bulgaria alla Grecia (vedi 10.2), e poi dalla Grecia alla Turchia, e tre di un pushback avvenuto il 15 marzo dalla Bulgaria direttamente alla Turchia (vedi 11.2). In entrambi gli incidenti, gli intervistati riferiscono di aver subito violenze e abusi da parte delle autorità mentre erano detenuti, e durante il respingimento stesso.

Il 10 marzo, 55 persone sono state arrestate in Bulgaria vicino a Valche pole da sei agenti di polizia bulgari che indossavano uniformi blu con la scritta “polizia” sulle spalle e sulla schiena. La polizia ha requisito tutti gli effetti personali di tutti i migranti, che sono stati poi messi nel retro delle auto, presi a calci e colpiti lungo la strada. Il gruppo è stato trasportato per meno di 30 minuti, prima su una strada asfaltata e poi su una strada sterrata, con guida veloce. I migranti hanno avanzato richiesta di asilo, tuttavia, l’intervistato ha riferito che gli agenti:

“Non ci hanno lasciato parlare molto, gli abbiamo detto di portarci al campo ma non hanno accettato, ci hanno portato al confine e ci hanno tolto tutto. Poi hanno iniziato ad urlare “andate! andate! andate!“.

In Grecia, i migranti hanno poi camminato per tre giorni fino a Mikro Dereio, dove sono stati arrestati di notte da tre agenti. Il gruppo è stato poi portato in un luogo di detenzione in un piccolo villaggio, dove già erano detenute più di 100 persone. Il giorno seguente i migranti sono stati condotti più o meno 60 alla volta con un grosso veicolo militare fino a un’area boscosa lungo il fiume Evros-Meriç, dove sono stati “accolti” da 10 agenti armati di pistole che indossavano uniformi verdi militari mimetiche con bandiere greche sopra.

Gli agenti hanno ripetutamente colpito le persone del gruppo con manganelli, li hanno presi a calci e pugni al volto. Un uomo siriano “non poteva respirare perché un agente lo aveva colpito direttamente al petto”. Hanno anche preso il resto degli effetti personali del gruppo, “anche le scarpe“. Circa 18 persone alla volta sono state caricate su una barca verde in stile militare che era di circa 2 metri per 4 e alimentata da un motore.

Il 15 marzo, un gruppo di 16 persone è stato separato in due gruppi più piccoli ed espulso in punti leggermente diversi allo stesso tempo. 16 persone (tutte siriane) stavano camminando in Bulgaria quando sono state arrestate verso le 11 del mattino. Avevano camminato per circa 30 km attraverso la Bulgaria dopo aver attraversato il fiume al confine prima di essere catturati. Gli intervistati dicono di essere stati attaccati dai cani della polizia al momento della cattura, il che è coerente con altre testimonianze di precedenti respingimenti dalla Bulgaria.

Tutti i membri del gruppo sono stati sottoposti a perquisizione corpo a corpo e sono stati sequestrati i loro effetti personali. Sono stati costretti in quelle che vengono descritte come Jeep con un box sul retro, otto persone alla volta. Hanno viaggiato per circa un’ora fino ad arrivare al confine. La guida è stata spericolata e tutti quelli che si trovavano sul retro continuavano a scontrarsi tra loro. Ad aspettarli al confine c’erano altri 4-5 agenti, che indossavano le stesse uniformi dei precedenti. I migranti sono stati colpiti con rami, presi a calci e pugni dagli agenti e sono rimasti a piedi nudi e solo con i pantaloni. La zona dalla quale sono stati respinti è stata descritta non come un valico ‘ufficiale’, ma piuttosto un buco nella recinzione. In questo modo il gruppo di migranti è stato fatto strisciare di nuovo in Turchia.

Aggiornamenti sulla situazione

Grecia
Un minore intenta una sfida legale per un pushback

Human Rights Watch riconosce che gli agenti greci hanno fatto ricorso a livelli senza precedenti di violenza alle frontiere contro i migranti che arrivano nei territori greci. I respingimenti dalle isole dell’Egeo verso la Turchia sono diventati sempre più frequenti e violenti.
Il mese scorso, Global Legal Action Network (GLAN) ha presentato una denuncia alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) per conto di un minore non accompagnato che, tra l’8 e il 9 settembre 2020, è stato prelevato dall’interno del centro di accoglienza e identificazione di Vathy ed è stato soggetto a un respingimento verso la Turchia che ha messo in pericolo la sua vita, insieme a un altro minore“.

“… gli agenti della Guardia costiera hanno trascinato l’imbarcazione in mezzo al Mar Egeo, hanno costretto i due adolescenti a rimanere su un gommone di salvataggio gonfiabile e senza motore e li hanno lasciati alla deriva. I bambini hanno remato con le loro mani fino a quando non sono stati salvati dalla guardia costiera turca”. (GLAN 2021).

Il caso che ha stimolato il deposito di un’istanza alla Corte europea dei diritti dell’uomo riguarda l’espulsione collettiva di 16 richiedenti asilo afghani in Turchia da parte della guardia costiera greca ellenica l’8 settembre 2020, mentre i bambini del suddetto caso, di 15 e 16 anni, sono arrivati con successo al centro di accoglienza e identificazione di Vathy a Samos. La mattina dopo essere arrivati al centro, i due bambini si sono presentati alle autorità per registrarsi come richiedenti asilo. Non solo alla coppia è stato negato il diritto umano fondamentale di chiedere asilo, tutelato dal diritto internazionale e dell’UE (art. 18 della Carta UE nel rispetto della Convenzione di Ginevra del 1951 e art. 78 del TFUE), ma inoltre entrambi sono stati arrestati e portati via dal campo di Vathy da agenti greci con la scusa di essere condotti in quarantena. Invece sono stati messi su un gommone gonfiabile e lasciati alla deriva nel Mar Egeo.

Gli agenti li hanno scortati al porto dove sono stati messi di forza a bordo di un’imbarcazione della Guardia costiera ellenica, ammanettati dopo che i loro telefoni e denaro erano stati confiscati…”. Una volta salvati, “sono stati trattenuti in Turchia per circa 9 giorni, prima di essere rilasciati, indigenti e senza sostegno“. (GLAN 2021)”

Abbandonare dei bambini in mare su gommoni equivale a tortura, il che viola l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino. La denuncia alla CEDU riguarda l’ennesima sfida contro la pratica sistematica greca dei respingimenti illegali ed espulsioni collettive nel Mar Egeo.

Brutalità della polizia, mobilitazione delle piazze

Il mese di marzo ha segnato una svolta cruciale sul tema della brutalità della polizia in Grecia. Nel corso dell’ultimo anno, l’attuale amministrazione di Nuova Democrazia ha usato la pandemia e il blocco come scusa per espandere significativamente il potere della polizia, e la violenza e gli abusi sono rimasti in gran parte incontrollati. I gruppi per i diritti umani e i partiti di opposizione hanno accusato il governo di reprimere le proteste con il pretesto di combattere il virus. All’inizio di marzo, il difensore civico greco Andreas Potakis ha affermato che le notizie sulla violenza della polizia sono aumentate del 75 % nell’ultimo anno. Gran parte di questa violenza ha preso di mira migranti, richiedenti asilo, persone nere, mentre nei quartieri urbani facoltosi la polizia raramente si è vista.

La situazione è leggermente cambiata il 9 marzo, quando è diventato virale un video che mostra la polizia che molesta e picchia una famiglia nel sobborgo ateniese della classe media di New Smyrni. Nel video si vede un uomo a terra che viene picchiato da diversi agenti mentre grida “fa male“. Questo evento ha portato a settimane di proteste contro la brutalità della polizia, molte delle quali sono state violentemente represse dalla polizia stessa. Diversi manifestanti sono stati incarcerati, ed è stato segnalato che almeno una persona è stata torturata durante la detenzione. “La violenza della polizia e l’impunità vengono registrate da tanto tempo in Grecia e in nessun caso possono essere considerati incidenti isolati“, ha dichiarato Gabriel Sakellaridis, direttore esecutivo di Amnesty International in Grecia. “Soprattutto nell’ultimo anno e mezzo, è abbastanza evidente che siamo di fronte ad un aumento di questi incidenti.” (Politico)

Se le criticità della situazione sono chiare (è stato necessario che ci si trovasse di fronte ad un caso di brutalità della polizia in un sobborgo bianco della classe media per attirare l’attenzione e suscitare l’indignazione dell’opinione pubblica verso una forma di violenza di Stato che ha afflitto le comunità minoritarie per almeno un anno), questo episodio ha stimolato importanti discussioni e ha già portato ad alcuni cambiamenti. Sono stati costruiti collegamenti tra migranti, anarchici, femministe e altri movimenti sociali, ed è stata riconosciuta l’interconnessione delle loro lotte contro uno stato sempre più autoritario. Quando l’anarchico francese Errol è stato incarcerato senza un giusto processo dopo una manifestazione antirazzista a fine marzo, gli appelli alla solidarietà si sono concentrati su questioni più ampie di brutalità della polizia, incarcerazione illegale e deportazione di coloro che sono considerati “indesiderabili” in qualche modo dallo Stato. Le manifestazioni di quartiere in tutta la città ogni fine settimana di marzo hanno riunito lotte locali contro il razzismo e la xenofobia, brutalità della polizia, il blocco e l’incarcerazione di massa, mostrando la connessione con la lotta contro il confine e la violenza di Stato interna.

Croazia

La detonazione di una mina causa morti e feriti

26 anni dopo la fine della guerra jugoslava, mine antiuomo sono ancora diffuse in paesi come la Croazia. Questi residuati bellici rappresentano un pericolo permanente, soprattutto per i migranti. Senza canali di accesso sicuri e legali per entrare nell’UE, le persone sono costrette ad intraprendere percorsi rischiosi nei boschi ed evitare strade ufficiali, nonostante la presenza di ordigni inesplosi che si trovano nelle zone rurali e montane più remote.

Il 4 marzo, un gruppo di migranti è finito sopra una mina durante il viaggio dalla Bosnia ed Erzegovina alla Croazia. Il numero di feriti non è ancora chiaro, ma Marko Bičanić, il sindaco di Saborsko (HR), ha confermato che una persona è morta e Are You Syrious ha riferito che quattro sono rimaste ferite, due delle quali sono state ricoverate all’ospedale di Ogulin (HR). Un articolo di Nezavisne cita Davor Vukelja, il direttore dell’ospedale, secondo cui le due persone curate a Ogulin erano pakistane (l’origine degli altri membri del gruppo rimane sconosciuta). Secondo Infomigrants, “la polizia sarebbe arrivata sul posto poco dopo l’esplosione e dopo una ricerca durata un’ora avrebbe prelevato altri 10 migranti che avevano lasciato il luogo dell’incidente“.

Mi dispiace per queste persone, spero che il problema dei migranti sia risolto presto, perché, per quanto ci si lamenti che per noi gestire la situazione non è facile, è molto più difficile per loro“, ha affermato Marko Bičanić.

La retorica del sindaco di Saborsko non è condivisa dalle autorità nazionali, e la priorità del governo croato e dell’Unione europea non è la sicurezza della popolazione migrante. Piuttosto, l’attenzione rimane rivolta alla militarizzazione del confine, violando le leggi internazionali sulla protezione a favore dei respingimenti e di pratiche di controllo delle frontiere che usano la violenza e la tortura. L’esplosione di questa mina rientra in un elenco di altre incidenti mortali, come annegamenti e incidenti stradali, che rappresentano al massimo la violenza alle frontiere.

Slovenia

Asilo intaccato da nuove leggi “emergenziali”

A marzo 2021 il parlamento sloveno ha approvato gli emendamenti alla legge sulla protezione internazionale e alla legge sugli stranieri, causando un ulteriore deterioramento dei diritti dei migranti e dei rifugiati in Slovenia.

Il governo sloveno ha nuovamente introdotto emendamenti alla legge sugli stranieri che potrebbero effettivamente sospendere il diritto di asilo in Slovenia. La sospensione del diritto d’asilo negli articoli 10a e 10b della legge sugli stranieri era già stata introdotta nel 2017, ma è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale. Questa volta il governo introduce un nuovo termine legale dubbio chiamato “crisi migratoria complessa” nei famigerati articoli 10a e 10b della legge sugli stranieri. Con questi emendamenti in vigore, il ministero dell’Interno ha il compito di monitorare la situazione migratoria in Slovenia e può suggerire al governo di presentare un voto sulla “complessa crisi migratoria” nel paese. La legge non ha stabilito condizioni o indicazioni chiare che definiscano quando si verificherebbe una crisi del genere. Le condizioni dichiarate sono vaghe e descrivono uno stato generale di crisi, nel quale ad esempio “l’efficace funzionamento dello Stato legale e assistenziale è in pericolo“, o “il mantenimento dell’ordine pubblico e della pace è in pericolo“, o “il funzionamento efficace dell’economia è minacciato“.

Il riconoscimento della “complessa crisi migratoria” è di esclusiva responsabilità del ministero dell’Interno e può essere approvato con un voto di maggioranza assoluta in parlamento. Se questo accadesse, la Slovenia chiuderebbe di fatto le sue frontiere a coloro che cercano protezione internazionale. Alla polizia sarà concessa l’autorità di condurre una persona che è entrata irregolarmente nel paese alla frontiera e di indirizzarla nel paese da cui è entrata in Slovenia senza alcuna garanzia procedurale.

Se una persona avanza richiesta di asilo, la polizia potrà respingere la richiesta come ingiustificata e indirizzare il richiedente nel paese dal quale ha fatto ingresso in Slovenia. In teoria, ciò potrà essere fatto se non vi sono carenze sistemiche riconosciute del sistema di asilo in detto paese e se la persona non dovrà affrontare il pericolo di torture o maltrattamenti al ritorno.

Il problema è che attualmente, nonostante numerose segnalazioni, testimonianze, indagini civili e persino sentenze giudiziarie, la brutale violenza condotta dalla polizia croata contro i migranti non è riconosciuta in Slovenia come tortura o maltrattamenti, e infatti dal 2018 sono state eseguite con successo più di 25.000 riammissioni in Croazia. La Slovenia è stata riconosciuta due volte dai tribunali italiani di Genova e Roma come paese con carenze sistemiche nel suo sistema di asilo.

Inoltre, violazioni del diritto di accesso all’asilo, il divieto di espulsioni collettive e il divieto di tortura sono stati riconosciuti dal Tribunale amministrativo sloveno nel dicembre 2020, e la decisione finale è ora pendente presso la Corte Suprema.

Numerose testimonianze e indagini dimostrano anche che la polizia slovena nega sistematicamente il diritto di asilo ignorando le richieste di asilo e utilizzando procedure di riammissione nei respingimenti a catena verso la Croazia. La recente modifica della legge sugli stranieri è quindi l’ultimo tentativo di una manovra legale che l’obiettivo di legittimare le violazioni dei diritti umani che vanno avanti nella pratica senza sanzioni da molti anni. Finora non sono stati compiuti passi per contestare gli emendamenti alla Corte costituzionale, sebbene l’emendamento sia in diretta contraddizione con il parere del difensore civico e con la decisione della Corte costituzionale.

Bosnia ed Erzegovina

Lockdown per covid-19 nei campi

Il drammatico aumento dei casi di Covid-19 in Bosnia ed Erzegovina nell’ultimo mese ha colpito drasticamente la comunità di migranti nel cantone di Una Sana (USC), in particolare con le restrizioni sproporzionate imposte al loro movimento. Il 5 marzo sono stati registrati i primi casi di Covid-19 presso il centro di accoglienza temporaneo (TRC) di Borici, che ospita famiglie e minori non accompagnati. Sono state riscontrate infezioni sia tra i beneficiari che tra i dipendenti delle ONG che lavorano all’interno, e il campo è stato successivamente messo in isolamento. Alla fine di marzo, anche il TRC di Sedra (un altro campo per famiglie in USC) è stato messo in lockdown dopo la scoperta di 11 casi positivi tra i beneficiari. Di conseguenza, è stato imposto un divieto di ingresso e di uscita a tutti i residenti.

A Lipa non è chiaro quanti positivi ci siano, anche se il campo è stato messo in isolamento per diversi giorni e le autorità hanno parlato di almeno 120 infezioni registrate. Durante questo breve blocco, circa 150 persone sono state collocate all’interno dell’area ristorante, che è diventata una zona di quarantena temporanea (anche se non è stata preparata in alcun modo per questo scopo).

Casi confermati di Covid-19 sono stati segnalati anche nei TRC di Blažuj e Ušivak, nelle vicinanze di Sarajevo. Tuttavia, lo scenario più drammatico è stato segnalato al TRC di Miral, a Velika Kladusa, dove sono stati effettuati test PCR su tutti i beneficiari del campo (circa 700) e 137 sono risultati positivi.

L’escalation del numero di casi positivi all’interno della comunità di migranti non solo ha portato alla chiusura totale dei campi, violando la libertà di movimento delle persone e impedendo la registrazione di nuovi arrivi, ma ha anche portato a una serie di misure adottate deliberatamente per ridurre, se non eliminare, la presenza di migranti nel centro della città.

All’inizio di marzo, i membri del Gruppo Operativo per il Coordinamento delle Attività e la Supervisione della Situazione dei Migranti e dei Rifugiati nel Cantone di Una Sana hanno confermato un rinnovato movimento della comunità di migranti nell’area. Si sostiene che circa 2.000 migranti si trovano in USC al di fuori del sistema di accoglienza e sono costretti a vivere per strada e negli edifici abbandonati. Il governo cantonale ha dichiarato che solo nelle prime due settimane di marzo sono stati registrati nel Cantone quasi 1.000 nuovi arrivi, la maggior parte dei quali provenienti dai TRC di Blažuj e Ušivak, o respinti dalla Croazia.

Nella stessa riunione della Task Force per la gestione delle migrazioni, è stata sottolineata la necessità di aprire urgentemente nuovi campi in altre parti della Bosnia ed Erzegovina a causa dell’aumento degli arrivi, soprattutto con l’arrivo del bel tempo. A questa dichiarazione ha fatto eco anche il ministro degli Interni dell’USC, Nermin Kljajić, che ha chiesto l’evacuazione di tutti gli alloggi non ufficiali e il trasferimento dei migranti al di fuori del Cantone.

Le misure restrittive adottate nei confronti della comunità in transito, definita come un “grave problema epidemiologico di sicurezza e salute e un rischio per la popolazione locale”, hanno portato a un maggiore controllo da parte della polizia nelle strade e negli edifici abbandonati. Ciò ha diffuso non solo paura tra i migranti presi di mira da queste politiche di esclusione, ma ha anche portato a un aumento degli episodi di criminalizzazione della solidarietà nei confronti di volontari e attivisti che sostengono questi gruppi.
Illustrazione del campo di Lipa (Fonte: Brush&Bow)

Pattugliamenti urbani a Bihać

I migranti continuano a dirigersi a Bihać dalla Serbia e dalle parti meridionali della Bosnia-Erzegovina, in particolare Sarajevo, e con il miglioramento del tempo, ci sono stati cambiamenti nelle azioni di pattugliamento urbano. Se ci sono stati un po’ meno sfratti dai grandi insediamenti informali in città, coloro che vivono al di fuori dell’area centrale vengono bloccati dagli agenti di polizia che impediscono l’ingresso a Bihać. Se tentano di entrare, rischiano di essere portati con la forza dalla polizia al campo di Lipa, a circa 25 chilometri a sud della città.

Un giovane ha recentemente riferito di esser dovuto tornare indietro dal campo di Lipa tre volte nell’ultimo mese. Questi trasferimenti limitano l’accesso ai servizi essenziali, compresa la possibilità di acquistare cibo, acqua e mantenere i contatti con la famiglia (con ostacoli all’accesso ai dati e alla ricarica dei dispositivi mobili).
In rari casi ci sono state segnalazioni di violenti trasferimenti verso il campo di Lipa.

In particolare, le persone che vivono al di fuori di un campo di Bihać riferiscono di essere state violentemente rimosse dalla polizia più volte. Una persona ha descritto un trasferimento coordinato dal Servizio per gli Affari Esteri (SFA). Due agenti vestiti con uniformi grigie, accompagnati da un altro in uniforme blu, lo hanno raggiunto nel luogo in cui dormiva e lo hanno aggredito fisicamente e verbalmente. Durante il raid, diversi altri alloggi abusivi sono stati sgomberati, cinque minori sono stati inviati in un campo per famiglie, e tre giovani adulti sono stati portati al campo di Lipa.

I migranti parlano anche di un’applicazione più rigorosa del coprifuoco rispetto alla popolazione generale. Alcuni individui sono stati fermati e gli è stato detto di tornare al loro alloggio già alle 20:00 (il coprifuoco è alle 21:00). Anche questo limita l’accesso ai servizi, compreso il sostegno delle organizzazioni di solidarietà. Inoltre la polizia ha cominciato a sfrattare più frequentemente i migranti da aree pubbliche come il centro città e i parchi pubblici (anche se questa era già una pratica esistente). Le misure covid-19 si combinano con tattiche regolari di sgombero per creare una situazione sempre più ostile per le comunità migranti intorno a Bihać.

Condizioni e violenza interna a Bosanska Bojna

Nell’area di Bojna circa 200-300 migranti continuano a vivere vicino al confine bosniaco-croato. La maggior parte di loro sono famiglie con bambini piccoli, come documentato in un recente articolo del Guardian. Tale vicinanza al confine permette attraversamenti più frequenti (sebbene ciò significhi spesso infrastrutture insufficienti sia per le esigenze quotidiane che per il recupero da violenti respingimenti, come riportato nel Report BVMN di novembre).

Procurarsi prodotti alimentari e igienici richiede ore di cammino, e per raggiungere un ospedale o effettuare un trasferimento di denaro si deve andare ancora più lontano. Ciò significa che i migranti spesso hanno bisogno di supporto dall’esterno. Tuttavia, per settimane gli aiuti umanitari e il sostegno medico, anche da parte di organismi come l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), sono stati vietati dalla polizia. Le strade di accesso all’alloggio non ufficiale al confine sono bloccate dalla polizia e solo le persone del posto possono entrare. I gruppi di solidarietà continuano a cercare di sostenere le persone con beni essenziali, ma ottenere cibo, vestiti, prodotti per l’igiene e telefoni per la comunità in transito a Bojna è diventato estremamente difficile.

Nel frattempo, appena oltre confine, i gruppi di migranti continuano a subire violenze e furti regolari per mano delle forze di polizia croate. Sono regolarmente costretti a spogliarsi nudi e a vedersi sottrarre telefoni e powerbank. Questi dispositivi sono gli strumenti più importanti per raggiungere l’UE e vengono sistematicamente distrutti. La polizia croata ruba i loro soldi, sacchi a pelo, cappotti e scarpe. Insieme alla violenza fisica, questo prosciugamento delle risorse delle famiglie nella zona di Bojna è anche una forma ciclica di violenza progettata per rallentare i futuri attraversamenti di frontiera.

Insieme a questa violenza ricorrente, a Bosanska Bojna ci sono stati recenti episodi di intimidazione e violenza da parte di un gruppo di abitanti del posto. Il 30 marzo due giornalisti stavano intervistando un gruppo di famiglie che vivono in una casa in rovina a 100 metri dal confine, ma sono state aggrediti da residenti arrabbiati, che li hanno insultati e hanno minacciato di danneggiare la loro auto. I giornalisti hanno riferito che i due uomini erano estremamente aggressivi e hanno messo in dubbio il loro diritto di filmare sul posto.

Un episodio simile si è verificato di nuovo in un’altra casa abbandonata; anche qui un abitate del posto è diventato aggressivo, e ha cominciato a pretendere che le famiglie lasciassero il loro alloggio. Alcune delle famiglie della zona hanno condiviso che le aggressioni sono frequenti, e che gli abitanti del villaggio hanno spesso invitato un uomo del quartiere a intimidirli, a volte con un’arma da fuoco. A fine marzo, questa persona è stata vista perseguitare le persone fuori dagli alloggi, mentre la polizia locale assisteva senza fare niente. Diversi abitanti del posto sono stati in seguito portati alla stazione di polizia di Velika Kladuša e tenuti lì per essere interrogati, ma sono stati rilasciati poco dopo.
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Bosanska Bojna al confine tra Bosnia ed Erzegovina e Croazia (Fonte: Alessio Mamo/Guardian)

Ungheria

Organizzazioni internazionali e il sistema di asilo ungherese

Il 2 marzo la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha emesso il suo verdetto nel caso di una famiglia afghano-iraniana detenuta nella “zona di transito” ungherese Röszke. La famiglia, rappresentata dal comitato ungherese di Helsinki, è stata trattenuta per tutta la durata della procedura di asilo, a volte non ha avuto accesso al cibo e non è stato fornito loro un traduttore.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la famiglia è stata detenuta illegalmente. Questa decisione è significativa in quanto giunge a una conclusione diversa rispetto alla controversa sentenza CEDU della Grande Camera del novembre 2019, in cui la Corte aveva constatato che la detenzione nelle zone di transito non costituiva una privazione illegale della libertà. Tuttavia, questa inversione di rotta arriva quasi un anno dopo che l’Ungheria ha chiuso le zone di transito a causa di una sentenza della Corte di giustizia discussa in precedenti relazioni.

Un’altra serie di organizzazioni internazionali ha fatto notizia in Ungheria nell’ultimo mese. L’UNHCR ha condannato il mantenimento del sistema giuridico su cui si fondano i respingimenti dell’Ungheria. In particolare, l’Ungheria ha nuovamente esteso la “situazione emergenziale a causa dell’immigrazione di massa”, nonostante la diminuzione del numero di arrivi nell’UE. In base a questo stato di crisi, i respingimenti sono legalizzati a livello nazionale, anche se la Corte di giustizia ha chiarito che violano il diritto internazionale. In netto contrasto con questa condanna, l’UNHCR sta espandendo la propria presenza in Ungheria. Durante una cerimonia di taglio del nastro per inaugurare nuovi uffici dell’UNHCR e dell’Ufficio delle Nazioni Unite antiterrorismo, il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó ha fatto affermazioni razziste che collegano migrazione e terrorismo. In tale contesto, Lorenzo Pasquali, capo dell’UNHCR Ungheria, ha ringraziato il governo ungherese per il suo costante sostegno.

Entrambi questi esempi dimostrano il ruolo ambivalente svolto dalle organizzazioni internazionali nella repressione e nella militarizzazione delle frontiere dell’UE. Da un lato, le controversie strategiche e le dichiarazioni ufficiali possono esercitare pressioni sui governi affinché migliorino il loro operato. D’altro canto, le organizzazioni internazionali dipendono in ultima analisi dai governi nazionali e possono diventare attori repressivi fornendo sostegno giuridico e narrativo all’esternalizzazione e alla securitizzazione.

Italia

Covid-19 e nuovi arrivi

Durante il mese di marzo i gruppi di migranti hanno ricominciato lentamente a raggiungere Trieste, in Italia, dopo mesi di arrivi ridotti. La maggior parte delle volte le persone sono giunte in Piazza Libertà (dove Linea d’Ombra e Strada Si.Cura operano quotidianamente) in piccoli gruppi da 3 a 5 individui. Alla fine del mese, circa 100 persone sono passate attraverso la piazza in cerca di sostegno. Un certo aumento è stato registrato anche nelle strutture di quarantena Covid-19.

Anche se Trieste e la regione circostante sono considerate zona rossa per il covid-19 in Italia (insieme alla maggior parte del paese), le persone sembrano essere in grado di attraversare e continuare il loro viaggio, diversamente da quanto accadeva nel 2020 quando la zona rossa ha causato il blocco dei trasporti e il divieto di lasciare la città.

L’Hotel Alabarda, un centro guidato dalla Caritas che offre sistemazioni invernali, sembra essere attualmente fuori servizio. Oltre a ciò, non ci sono servizi di informazione o di sostentamento per le persone che raggiungono Trieste, e ciò peggiora ulteriormente la questione dei senzatetto di strada. Però in termini di sfratti illegali c’è stata una leggera tregua. Nelle ultime settimane non ci sono state segnalazioni di respingimenti da Trieste. La recente decisione del Tribunale di Roma può essere stato un fattore di influenza, facendo pressione sulle autorità italiane affinché sospendessero l’attività.

Nel mese di marzo è andata avanti l’inchiesta su Gian Andrea Franchi (vicepresidente di Linea d’Ombra). Gli sono stati restituiti i suoi effetti personali dalla polizia e con un crowdfunding è stato possibile raccogliere donazioni per le spese legali. Tuttavia, il mese si è concluso con un fatto inaccettabile e inquietante: una svastica è stata incisa sulla porta dell’ascensore del piano dove ha sede Linea d’Ombra (che è anche l’abitazione di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir). Con ogni probabilità si tratta di intimidazioni da parte dei gruppi di estrema destra triestini nei confronti di coloro che sostengono i migranti.
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Guardando dall’alto la città di Trieste (Fonte: Brush&Bow)

Glossario dei report, marzo 2021

BVMN ha registrato 31 casi di pushback a marzo, che hanno coinvolto 677 migranti. Le persone coinvolte sono uomini, donne, bambini con tutori o minori non accompagnati e provengono dal Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Palestina, Iraq, Siria, Iran, Kuwait, Kurdistan, Pakistan, Bangladesh e Afghanistan:
• 4 respingimenti verso la Serbia (1 a catena dalla Slovenia, 1 dalla Croazia, 1 dall’Ungheria e 1 dalla Romania)
• 15 respingimenti verso la Bosnia ed Erzegovina (3 a catena dalla Slovenia e 12 dalla Croazia)
• 4 respingimenti verso la Grecia (1 dall’Italia, 2 dall’Albania e 1 dalla Macedonia del Nord)
• 8 respingimenti verso la Turchia (2 a catena dalla Bulgaria, 2 diretti dalla Bulgaria, 4 dalla Grecia)
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Struttura e contatti della rete

BVMN è un organismo volontario, che agisce come un’alleanza di organizzazioni nei Balcani occidentali e Grecia. BVMN si basa sugli sforzi dei partecipanti e di organizzazioni che operano nel campo della documentazione, dei media e della difesa legale. Finanziamo il lavoro attraverso sovvenzioni e fondazioni caritatevoli, e non riceviamo fondi da alcuna organizzazione politica. Le spese riguardano i trasporti per i volontari sul campo e quattro posizioni retribuite.

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Border Violence Monitoring Network (BVMN)

Border Violence Monitoring Network (BVMN) è una rete indipendente di ONG e associazioni con sede nella regione dei Balcani e in Grecia. BVMN monitora le violazioni dei diritti umani ai confini esterni dell'UE e si impegna per mettere fine ai respingimenti e alle pratiche illegali. Il network utilizza un database condiviso per raccogliere le testimonianze delle violenze subite da chi transita sulla rotta dei Balcani.
In questa pagina trovate le traduzioni integrali dei rapporti mensili curati da BVMN.