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Prassi europee illegali: espulsioni informali e molteplici pratiche violente lungo i confini

L'analisi del rapporto su 6 paesi della rotta balcanica curato da PRAB - Protecting Rights At Borders

Photo credit: Danish Refugee Council

È stato da poco pubblicato il primo report curato da Protecting Rights at Borders (Prab), un’iniziativa che riunisce diverse organizzazioni di Italia, Grecia, Ungheria, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia e Belgio, dedite alla tutela legale e sociale dei diritti umani in ambito migratorio. Dai soli primi tre mesi di ricerca sul campo emerge un quadro allarmante: chi, migrante, si ritrova ad attraversare le frontiere europee, rischia la morte e l’annullamento dei propri diritti fondamentali in quanto persone, diritti sanciti dopo anni e anni di Convenzioni e leggi internazionali.

Oltre duemila testimonianze delineano pratiche diffuse di violenza condivisa da parte della polizia di frontiera di stati europei. Come afferma il documento: “Pushbacks are illegal and violate EU law, irrespective of whether they are implemented by law enforcement personnel of an EU member state or by an EU agency, such as Frontex (the European Border and Coast Guard)1. / “I respingimenti sono illegali e violano il diritto dell’UE, indipendentemente dal fatto che lo siano attuato dal personale delle forze dell’ordine di uno Stato membro dell’UE o da un’agenzia dell’UE, come Frontex (la guardia frontiera e costiera europea)”.

La pratica del respingimento forzato da un confine di uno stato verso un altro, o, ancora, verso una serie di confini statali (il cosiddetto respingimento a catena), è in corso da tempo e ciò è reso possibile solo attraverso una cooperazione tra stati europei (anche questa, evidentemente, presente da tempo). Tale pratica va fuori dalle norme internazionali; pertanto, Prab invita alla creazione di un meccanismo di monitoraggio indipendente, in modo tale da garantire a chiunque si ritrovi lungo le strade di confine un trattamento dignitoso e legale.

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Espulsioni forzate e diritti umani negati. Chi parte, da dove parte e cosa trova

Situati lungo la frontiera tra diversi stati, i luoghi dove avvengono pratiche vietate dalle leggi internazionali, sono solitamente stazioni di polizia o aree militari, tutte zone dove entrare per documentare, per monitorare il rispetto dei diritti essenziali delle persone, è reso impossibile. Inoltre, sono luoghi posizionati ben lontano da centri urbani e, dunque, da facile visibilità cittadina. Dal documento risulta che per lo più viaggiano uomini (1709), seguiti da donne (177), minori accompagnati (107), minori non accompagnati (82), minorenni accompagnate (76) e minorenni non accompagnate (11).

I principali paesi da cui partono sono: l’Afghanistan, il Pakistan, la Siria, il Mali, ma anche l’Algeria, la Libia, l’Egitto, il Sudan, l’Angola, lo Yemen, il Congo, la Somalia, la Cina e l’India. Quello che trovano sono diversi tipi di violenza, come il primo report spiega dettagliatamente.

Lungo i confini labili e netti tracciati da una certa parte di Unione Europea

Lungo il confine tra Francia e Italia le voci di chi ha avuto il coraggio di raccontare quello che ha vissuto in prima persona denunciano prassi dove la polizia francese li detiene una notte, prima di rispedirli in territorio italiano, durante la quale non è loro concesso di fare richiesta di asilo o tanto meno di avere un interprete o un medico. Inoltre, l’acqua, le coperte e il cibo non risultano umanamente insufficienti. Si registra poi l’assenza di spazi safe per persone vulnerabili che anzi vengono poste tutte in spazi angusti e plurali, dunque insicuri a loro volta. Ancora, dal report emerge che: “(…) at least 300 underage migrants that have been falsely identified as adults, at times even when presenting valid ID cards, pushed back and therefore not referred to local protection systems.” / “(…) almeno 300 migranti minorenni che sono stati falsamente identificati come adulti, a volte anche quando presentando carte d’identità valide, respinte e quindi non riferite a sistemi di protezione locali”. (p.05)
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Nel confine tra Italia e Slovenia le cose non vanno meglio. Persone migranti vengono registrate in Italia quando non si dovrebbe oppure direttamente arrestate e spedite verso la Slovenia. Il documento si chiede: “Both types of returns are not officially reported by the authorities. It remains unclear whether the authorities officially register the unlawful returns, and if official registries are existing, as information collected by the government on the return practices is not publicly accessible. Regardless of the (lack of) formal procedures applied, pushbacks are reportedly coordinated between Italian and Slovenian border police, as interviewees report being “handed over” from the Italian to the Slovenian border police in the border areas, which then proceeds to push them back to Croatia, where they are finally transferred to Bosnia and Herzegovina, outside the EU.
/ “Entrambi i respingimenti non sono ufficialmente riportati dalle autorità. Non è chiaro se le autorità registrino ufficialmente le espulsioni illecite e, se esistono registri ufficiali, come informazioni raccolte dal governo sulle pratiche di rimpatrio non sono accessibili al pubblico. Indipendentemente dalla (mancanza di) procedure formali applicate, i respingimenti sarebbero coordinati tra la polizia di frontiera italiana e slovena, come riferiscono gli intervistati “consegnato” dalla polizia di frontiera italiana a quella slovena nelle zone di confine, che poi procede a respingerli in Croazia, dove vengono infine trasferiti in Bosnia ed Erzegovina, al di fuori dell’UE.” (p. 06)

Le associazioni e ong che lavorano lungo l’Ungheria, la Romania e la Serbia, hanno raccolto testimonianze cruenti da chi è sopravvissuto da pratiche illegali e violente come i morsi dei cani della polizia, respingimenti informali verso la Serbia e, ancora: “Interviewees further report slapping, kicking, beatings with police batons, being punched on their backs, hands and legs. The majority of refugees and migrants interviewed reported that they were ordered to sit on the ground, to kneel despite rain or snow, that they were searched, and that their mobile phones were smashed on the ground and not returned. When a person asked about asylum, the response was often that “it is not possible in Romania””.
/ “Gli intervistati riferiscono regolarmente alle squadre dell’HCIT che le pattuglie/polizia di frontiera rumene tendono ad arrestarli subito dopo essere stato identificato camminando dalla direzione della cintura di confine. Ulteriore rapporto degli intervistati schiaffi, calci, percosse con i manganelli della polizia, pugni sulla schiena, sulle mani e sulle gambe. La maggioranza di rifugiati e migranti intervistati hanno riferito che è stato loro ordinato di sedersi per terra, di inginocchiarsi nonostante pioggia o neve, che sono stati perquisiti e che i loro telefoni cellulari sono stati rotti a terra e non and restituito. Quando una persona chiedeva asilo, spesso la risposta era che “non è possibile in Romania“”. (pp. 06-07)

Lungo la Croazia e la Bosnia – Erzegovina invece, il paesaggio emerso è questo: “(…) every third person reporting physical abuse (459 persons – 36% of interviewees), while as many as 62% reported theft, extortion or destruction of their personal belongings (777 interviewees). Denial of access to asylum was reported by 23% of interviewees (293 persons).”
/ “(…) una persona su tre che ha denunciato abusi fisici (459 persone – 36% di intervistati), mentre ben il 62% ha denunciato furto, estorsioni o distruzione dei propri effetti personali (777 intervistati). La negazione dell’accesso all’asilo è stata segnalata dal 23% degli intervistati (293 persone)”. (p. 07)

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Ancora, lungo il confine tra lo stato macedone e greco, le testimonianze raccolte affermano un aumento della militarizzazione sul territorio, un reiterato uso dei respingimenti illegali dopo la registrazione. “Physical violence is the most common reported violation, followed by cases of theft and destruction of property. Cases of abusive and degrading treatment and destruction of personal documents are also commonly recorded. There were testimonies where a group of migrants from Morocco were beaten and forced to enter to the river of Maritsa (Evros).
/ “La violenza fisica è la violazione più comune segnalata, seguita da casi di furto e distruzione di proprietà. Casi di abuso e anche il trattamento degradante e la distruzione di documenti personali sono comunemente registrati. C’erano testimonianze dove un gruppo di migranti dal Marocco è stato picchiato e costretto ad entrare nel fiume di Maritsa (Evros)”. (p. 07)

Infine, lungo il confine tra Grecia e Turchia, le violenze sono visibili e sempre più presenti, sistematiche ormai, tanto che documenti, video sono già nelle mani delle Nazioni Unite.

Il lavoro di Prab vuole non solo di denunciare abusi lungo le frontiere europee, ma anche far conoscere le leggi in materia di migrazione di ciascun stato. Inoltre, propone scelte politiche umane, piccoli passi possibili. Non è facile addentrarsi in questi luoghi vietati, né tanto meno incontrare persone disposte a parlare di violenze subite, ricordando così alla mente, per esempio, pestaggi, morsi di cane, distruzione di case o assenza di coperta. È per questo, per ciò che raccoglie, che il documento di Prab risulta particolarmente prezioso: dentro ci troviamo le voci di chi non è seduto in sedi politiche, ma di fatto, ne vive la prassi e a testa alta continua a camminare verso qualcosa di migliore.

  1. https://drc.ngo/media/mnglzsro/prab-report-january-may-2021-_final_10052021.pdf

Mara Degiorgi

Per dire qualcosa, bisogna essere qualcosa/qualcuno? E cos’è che fa di te quel qualcuno/qualcosa? Scrivo, leggo, penso. Sono un’antropologa, una geografa, altro. Nata a Lausanne nei primi anni Novanta da un padre salentino e da una madre limeña. Cresciuta tra San Francisco, Torre Vado, Lima.