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Dalla Rotta Balcanica al confine tra Slovacchia e Ucraina

Un reportage di Bozen Solidale

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Troppo spesso, in questi ultimi anni, il dibattito sulla questione migratoria è stato centrato intorno a chi è costretto a scappare dalla guerra e da paesi non sicuri. 

Fino a qualche settimana fa la parola “guerra“, almeno qui in Europa, richiamava a qualcosa di lontano, di impalpabile. La guerra in Siria e le sue implicazioni geopolitiche, o quella in Afghanistan, con il ritorno al potere dei talebani, avevano scosso alcune coscienze, ma erano rimaste nel discorso pubblico confinate come qualcosa di troppo distante. Per non parlare delle tante guerre civili in Africa e in generale dei tanti, tantissimi, “micro” conflitti sparsi per il mondo costantemente invisibilizzati nei media e dalle istituzioni.

Oggi la guerra è piombata ai bordi dell’Europa, così vicina da farci venire un nodo alla gola. Il dramma di chi sta scappando si è spostato lungo altre rotte europee inimmaginabile fino a qualche settimana fa. Almeno per noi, che in questi anni siamo stati lungo la Rotta Balcanica, consapevoli che la maggior parte delle persone in transito in quei territori stava scappando da una qualche guerra e la paura, il dramma e la violenza erano cristallini nei loro sguardi, nei loro occhi. 

I numeri quotidianamente in aumento delle persone in transito ci raccontano quanto importante sia costruire reti di solidarietà e accoglienza attraverso i nostri corpi e la richiesta di una pace che deve necessariamente passare per un immediato disarmo. 

Siamo partiti per il confine slovacco ucraino attrezzati degli stessi valori che ci hanno accompagnato lungo le altre rotte migratorie europee. Il nostro intento, era quello di portare aiuto concreto lasciando in loco medicinali e coperte raccolte prima di partire, portare un messaggio di solidarietà alle persone in fuga, e affermare il nostro profondo dissenso alle logiche autoritarie delle superpotenze economiche mondiali che per l’ennesima volta stanno sconvolgendo la vita di milioni di persone.  

Al nostro arrivo, siamo rimasti sbalorditi dalla quantità di volontari e dalla mole di aiuti che è stata concentrata nei tre luoghi di confine che abbiamo visitato.

Complessivamente, dal confine slovacco ucraino transitano, ogni giorno, circa 12.000 – 15.000 persone, secondo i volontari locali; un passaggio lento ma continuo, che non si ferma nemmeno durante le ore notturne.

Al confine di Veľké Slemence, quello più a sud, il checkpoint sembra l’uscita di un gate di aeroporto. Su questo confine il passaggio è possibile solo a piedi e si stima il transito di poche centinaia di persone al giorno. Non essendo consentito il passaggio alle auto, i volontari forniscono, oltre ad assistenza, viveri e indumenti, carrelli dei supermercati per trasportare bambini e bagagli fino alla strada accessibile agli automezzi.

Il confine montano di Ubľa è più trafficato, con un passaggio di ca. 2.700 persone tra sabato e domenica scorsi. I molti volontari presenti, oltre che offrire beni di prima necessità quali cibo, indumenti e primo soccorso, organizzano il trasporto dei rifugiati ucraini verso le città principali della Slovacchia. 

Vyšné Nemecké è indubbiamente, tra i tre, il passaggio di confine più transitato, si contano circa 8.000-10.000 passaggi al giorno. Gli ultimi chilometri di strada sono occupati da una fila in costante crescita di tir con aiuti umanitari in attesa di entrare in Ucraina; sulla parte sinistra della strada sono parcheggiate moltissime macchine e furgoni di diverse nazionalità in attesa di qualcuno o semplicemente per dare un passaggio e ospitalità a chi ne ha bisogno. 

Il centro allestito di Vyšné Nemecké per la prima accoglienza è il più fornito ed attrezzato: ci sono grandi tende riscaldate dove le persone attendono il passaggio verso altri paesi, cucine da campo di diverse organizzazioni di volontariato che offrono cibo caldo, un ambulatorio mobile con tre medici e diverse infermiere presenti, un tendone per mamme e neonati. Sono disponibili inoltre indumenti, generi alimentari per neonati, passeggini, coperte, giochi per bambini e addirittura un gazebo con cibo e gabbiette/trasportini per animali domestici con cui le persone spesso si spostano e che, in alcuni casi, costituiscono gli unici compagni di viaggio (abbiamo visto anche un coniglio in una gabbia portata da una bambina). 

La prima cosa che i rifugiati trovano, attraversato il checkpoint, è una tenda dove i volontari del punto informazione registrano i dati di chi arriva e danno indicazioni sui mezzi di trasporto locali. La maggior parte delle persone che arrivano hanno parenti o amici in Europa e hanno una destinazione, si fermano al campo quindi un tempo limitato, per mangiare un pasto caldo che viene cucinato senza interruzioni, bere un caffè o un tè. Molti volontari spontaneamente si recano al confine per offrire passaggi verso diverse città europee e in alcuni casi anche ospitalità.  

Gli ucraini in transito sono principalmente donne e bambini, dato che la legge marziale impedisce agli uomini dai 18 ai 60 anni di abbandonare il Paese.

Non abbiamo visto molte persone di altre nazionalità in fuga dall’Ucraina; le poche che abbiamo incontrato, di origine indiana, erano nel paese per motivi di studio e non hanno avuto problemi nel passare la frontiera. Gli stessi volontari slovacchi ci hanno assicurato che lungo i loro confini non vengono fatte discriminazioni garantendo accoglienza a chiunque arrivi.

Senza l’apporto dei numerosi volontari che spontaneamente hanno risposto a questa chiamata di emergenza, la situazione attuale si sarebbe trasformata in una catastrofe umanitaria. Oltre agli slovacchi, che costituiscono la maggior parte dei volontari, abbiamo incontrato e abbiamo saputo della presenza di altri italiani, francesi, spagnoli, cechi, tedeschi e greci. Moltissimi avevano organizzato pullman per il transito dei rifugiati in vari paesi europei oppure offrivano alloggio nei loro paesi di origine. Ognuno cercava di offrire quello che poteva.

Noi potevamo offrire dei passaggi verso l’Italia e non è stato difficile trovare chi ne aveva bisogno. Abbiamo incontrato Olena con la figlia quattordicenne Alicia, provenienti da Mykolaïv (Odessa), dove hanno lasciato il resto della famiglia. Grazie al nostro passaggio sono riuscite ad avvicinarsi a Marsiglia, dove avevano altri parenti. 

Stanislav, un ragazzino diciassettenne, con seri problemi di mobilità, iscritto da qualche mese all’Università di Kiev, è dovuto scappare da solo affrontando un viaggio di 17 ore verso la frontiera slovacca. Doveva recarsi in Sicilia dalla zia e gli abbiamo garantito un passaggio sicuro verso Verona; da qui, in aereo, ha raggiunto Catania.

La grande mobilitazione di solidarietà a cui abbiamo assistito e partecipato, formata da piccole e puntiformi azioni, ha dato prova della potenzialità e delle risorse che abbiamo, consentendo un’efficace azione umanitaria. Al contrario, le istituzioni che spesso adottano politiche poco lungimiranti, rallentate dai loro ingranaggi burocratico-amministrativi, non hanno dimostrato una presenza altrettanto efficace ed impattante nella risposta a questa emergenza. 

L’emergenza non è solo collegabile all’ondata di persone uscite dal paese in questa prima settimana di conflitto (formata principalmente da persone con risorse economiche adeguate e contatti sicuri in Europa, dove possono trovare aiuto da amici e parenti); nelle prossime settimane si prevede l’arrivo di persone meno abbienti, prive di contatti e destinazioni sicure che avranno dunque bisogno di aiuti maggiori. L’attenzione deve rimanere alta così come le azioni di solidarietà perché l’emergenza, molto probabilmente, andrà intensificandosi 1.

Situazioni altrettanto drammatiche non esistono solo lungo i confini ucraini, purtroppo altri paesi, meno vicini geograficamente a noi, hanno subito e subiscono ancora oggi conflitti che causano condizioni precarie di vita e che costringono le persone a migrare alla ricerca di una condizione di vita migliore. Dobbiamo prendere atto che nei confronti di situazioni analoghe non ci siamo comportati allo stesso modo, anzi, in certi casi abbiamo avuto, in particolare a livello istituzionale, atteggiamenti totalmente opposti.

Solo una domanda continua incessantemente a tormentarci… perchè loro sì e altri no?

Perché, per esempio, le persone incontrate lungo la Rotta Balcanica, nonostante siano esseri umani esattamente uguali a tutti noi, vengono brutalmente respinte e lasciate morire ai margini della “Fortezza Europa”? Perché altri che scappano da guerre e distruzioni non hanno il diritto di essere accolti e aiutati?

  1. Qui i dati aggiornati delle persone sfollate: http://data2.unhcr.org/en/situations/ukraine?utm_medium=email&vm=single