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Ph: Vanna D'Ambrosio
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Chi sono i rifugiati?

Una lettura del libro «Antropologia delle migrazioni. L’età dei rifugiati» di Barbara Sorgoni

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Per un’antropologa, leggere questo libro è un po’ come sfogliare una “guida” per orientarsi all’interno di quel puzzle complesso che chiamiamo i fenomeni contemporanei di mobilità umana – le migrazioni. Dopo anni di studi ed esperienze sul campo, nelle pagine di «Antropologia delle migrazioni. L’età dei rifugiati» ho ripercorso il file rouge che permette di contestualizzare gli spostamenti di persone dentro e oltre i confini nazionali e internazionali nella società globale contemporanea, sempre più diffidente e incline al sospetto nonché ad applicare categorie escludenti alle persone migranti che lasciano il loro paese verso il Nord Globale (Global North).

La forza dell’autrice Barbara Sorgoni sta nell’invitare le lettrici a navigare insieme gli studi di antropologhe e antropologi proponendo una prospettiva storica, per poter così analizzare con sguardo critico le pluralità e intersezioni interne alla disciplina che a partire dal secondo dopoguerra si è confrontata con le migrazioni.

Il libro offre un contributo prezioso all’antropologia delle migrazioni, grazie alla scelta di dare spazio alle voci femminili di antropologhe le quali ricerche e riflessioni sono presentate come pioneristiche nel campo. Altro sforzo apprezzabile è l’attenzione dedicata alle ricerche etnografiche (e non solo) condotte in Italia da tante studiose, in quella che rappresenta l’intenzione dell’autrice di posizionare il suo contributo nella località (Italia) intrecciata a fenomeni di mobilità globali.

È proprio grazie ad un’analisi critica – elemento intrinseco alla disciplina – che vengono presentati nel libro i vari approcci e conseguenti limiti che l’antropologia ha sviluppato nello studio delle migrazioni, mettendo in luce le implicazioni di linguaggi e categorie utilizzate da antropologhe e antropologi, i quali hanno influenzato dibattiti politici e pubblici sul tema.

Seguendo il percorso delineato dall’autrice tra i vari posizionamenti, tematiche e definizioni proposte, emerge una forte disomogeneità interna alla disciplina nello sforzo di comprendere un fenomeno complesso a partire dai primi studi sulle migrazioni forzate e i rifugiati.

Se in un primo momento l’antropologia si era dedicata all’analisi di contesti locali e alla comparazione di fenomeni di mobilità e sfollamento interni, la crescente preoccupazione politica del Nord di stabilire una distinzione giuridica e categoriale tra migrazioni economiche e migrazioni politiche – in particolare nei confronti dei flussi provenienti dal Sud Globale – ha spinto studiose e studiosi a misurarsi con dinamiche migratorie su scala globale.

Un altro aspetto interessante è l’analisi che Sorgoni presenta sui tre principali paradigmi teorici dell’antropologia delle migrazioni come strettamente connessi ai cambiamenti storico-politici nell’affrontare questioni legate alla mobilità umana in un contesto internazionale. In questa prospettiva, gli studi sul mondo umanitario, sulle esperienze di sofferenza e trauma, e sui confini hanno in certa misura contributo a rinforzare – anche all’interno della disciplina – la dicotomia tra “migranti economici” e “rifugiati”. Di fatto, i campi di studio delineati da antropologhe e antropologi hanno rispecchiato – e in parte continuano a rispecchiare – la preoccupazione dei governi europei che si spostava dai “campi nel Sud” verso un numero crescente di persone che raggiungevano il Nord – “la fortezza Europa” – incontrando politiche sempre più restrittive e securitarie, delle quali è oggi emblematica l’intensa opera di esternalizzazione delle frontiere.

Gli spunti di riflessione più pungenti arrivano alla fine, dulcis in fundo, della mappa tracciata dall’autrice: quali sono le implicazioni etiche, ma soprattutto politiche del lavoro sul campo svolto nell’ambito dell’antropologia delle migrazioni? Dovremmo (noi antropologhe) non impegnarci, nella falsa pretesa di mantenere l’apoliticità della disciplina? Oppure proprio in virtù della natura stessa dell’antropologia – storicamente intrecciata alle politiche coloniali e imperialiste – è arrivato il momento di accettare l’impegno politico e riflettere piuttosto sull’etica di un’antropologia applicata alle migrazioni?

Con queste riflessioni dense di significato e nodi difficili da sciogliere, l’autrice lascia sospese alcune delle questioni che sono senza dubbio centrali ai dibattiti tra le addette al mestiere, le quali si trovano in tante – perché la maggioranza sono in effetti donne – a lavorare in vari settori a contatto con persone in mobilità umana da antropologhe consapevolmente situate e in ascolto del proprio ruolo e posizionalità.

Consiglierei quindi questa lettura a qualunque antropologa e antropologo che studia, fa ricerca o lavora nel campo delle migrazioni. È un libro che si divora, scritto con una semplicità capace però di veicolare messaggi complessi, e di ampliare lo sguardo della lettrice stimolando una conoscenza e consapevolezza della complessità che si vive nell’ “età dei rifugiati”.


Barbara Sorgoni insegna Antropologia delle migrazioni all’Università degli Studi di Torino. Si occupa di storia dell’antropologia e razzismo nelle colonie italiane, e di procedure di accoglienza e asilo in Italia. Su questi temi ha scritto, tra l’altro: Parole e corpi. Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interrazziali nella colonia Eritrea (Liguori, 1998) ed Etnografia dell’accoglienza. Rifugiati e richiedenti asilo a Ravenna (CISU, 2011).

Rossella Fadda

Sono antropologa con esperienza in contesti di emergenza migratoria nel supporto psico-sociale GBV, assistenza legale, mediazione interculturale, attività di sensibilizzazione e formazione. Mi sono specializzata in MHPSS, Asilo e Migrazione in Europa e America del Sud.