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CPR: quando mancano i controllori, tutto è permesso

Nulla è casuale nella vicenda del CPR di Palazzo San Gervasio

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Questo articolo si lega indissolubilmente a quanto già scritto il 22 febbraio sulle vicende del CPR di Palazzo San Gervasio. Dopo aver intagliato la cornice, iniziamo a dipingere con pennellate decise e nette il nostro quadro sul Cpr di Palazzo San Gervasio.

Abbiamo detto quanto sia difficile parlare di CPR e di quello di Palazzo San Gervasio in modo particolare. Abbiamo detto di quanto poco interesse nella politica e nella società lucana generi questo argomento.

Il tema è di quelli che danno fastidio all’opinione pubblica abituata a credere che certe cose accadono sempre altrove.

Invece il CPR di Palazzo San Gervasio rappresenta il più drammatico esempio di quanto sia semplice in Basilicata perpetrare crimini ai danni di essere umani nella convinzione di essere al di sopra della legge e di non dover rispondere a nessuno per quanto fatto. Il sistema Basilicata, fatto di commistioni tra poteri diversi, tra controllanti e controllati, tra politica e imprenditoria, consente di vedere nel CPR di Palazzo San Gervasio semplicemente una grande macchina in cui interessi economici e politici si confondono e vengono portati avanti sulla pelle di uomini colpevoli di non essere italiani. Un sistema che coinvolge tanti che, con ruoli differenti, partecipano delle disgrazie che si abbattono sugli stranieri trattenuti nel CPR. Funzionari della Questura, giudici, avvocati, operatori della cooperativa che gestisce la struttura, consapevolmente o inconsapevolmente, sono, a vario titolo, autori delle gravi ingiustizie perpetrate in quel Centro.

L’esperienza sul campo mi porta a ritenere che nulla è casuale nella vicenda del CPR di Palazzo San Gervasio. La sua collocazione, la sua strutturazione, le persone chiamate ad operare al suo interno, la gestione della (in)giustizia, i mancati controlli e l’assenza di controllori, sono tutti tasselli ben precisi che si collocano all’interno di un puzzle terrificane ma reale. Nulla è lasciato al caso. Tutto è ben studiato e predefinito per rendere il CPR di Palazzo San Gervasio il buco nero peggiore d’Italia.

Partiamo allora proprio con l’affrontare il tema dell’assenza di controllori, col guardare più da vicino il problema delle tutele, della vigilanza, dei controlli rispetto all’intero sistema CPR. La Basilicata è una delle pochissime regioni italiane a non aver nominato ancora il Garante regionale delle persone private della libertà personale. È una semplice coincidenza? Se è vero quanto detto prima, non è una semplice coincidenza. È piuttosto l’ennesimo segno di una disattenzione delle istituzioni rispetto ad un mondo che si preferisce non vedere, ma anche una precisa volontà di un sistema di rimanere libero di poter agire senza avere troppi occhi puntati addosso. Il Garante è una figura importante per i poteri che ha e per quel che rappresenta. La sua assenza in una regione come la Basilicata dove esiste un CPR così discusso e criticato è un favore che viene fatto a chi non vuole che venga fatta chiarezza.

L’articolo 7 del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, ha istituito il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e gli ha attribuito il compito di vigilare affinché la custodia delle persone sottoposte alla limitazione della libertà personale sia attuata in conformità alle norme nazionali e alle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall’Italia. Ai sensi degli artt. 19-21 del protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002, il garante ha accesso a tutti i luoghi in cui delle persone sono o possono essere private della libertà.

Oltre al Garante nazionale esiste una rete territoriale che si articola a livello regionale. Infatti, “il Meccanismo preventivo nazionale (NPM) dell’Italia è costituito dal Garante nazionale, che può delegare, temporaneamente, specifici compiti ai Garanti territoriali. La comunità reticolare di figure di Garanzia territoriali costituisce uno strumento utile sia alla costruzione di un sistema coerente nelle diverse realtà locali sia al rafforzamento dell’ampio mandato attribuito al Garante nazionale, che, anche attraverso la collaborazione con i Garanti, ricopre in modo efficace tutte le aree previste dal Protocollo Opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura (OPCAT)” 1 Questa ha però dei buchi e uno di questi buchi si chiama appunto Basilicata.

Ma attenzione. L’anomalia lucana non è data solamente dalla mancata designazione, ormai da diversi anni, della figura del Garante regionale, con tutto ciò che tale mancanza comporta. Vi è un’altra anomalia rappresentata da un intervento legislativo regionale su cui poco si è riflettuto. Nel mese di gennaio del 2021, infatti, viene approvato dal Consiglio Regionale di Basilicata e sbandierata come una grande vittoria da parte dei promotori, la legge regionale n. 5 del 2021 che comprime, in un’unica figura, compiti e mansioni che in precedenza appartenevano a soggetti diversi creando una figura ibrida che si occupa di tutto e di niente 2. Con tale legge, infatti, è istituito il Garante regionale dei diritti della persona che svolge i compiti inerenti l’ufficio del Difensore civico, “in conformità con quanto previsto dall’art. 23 dello Statuto regionale”, l’ufficio del Garante per l’infanzia e l’adolescenza, l’ufficio del Garante dei diritti dei detenuti e vittime di reato, l’ufficio del Garante delle vittime di reato e l’ufficio del Garante regionale del diritto alla salute e delle persone con disabilità” (art. 1 L.R. n. 5/2021). Un minestrone di compiti e funzioni riconosciuti in capo ad un unico soggetto che non si comprende bene a quale logica risponda se non a quella perversa di depotenziare le diverse figure previste in precedenza dalla normativa regionale rendendo più arduo lo svolgimento delle diverse funzioni anche alla persona più volenterosa di questo mondo. Ecco, questo nuovo Super-Garante dovrebbe occuparsi anche del CPR di Palazzo San Gervasio, oltre che di tutte le strutture in cui sono ristrette persone la cui libertà personale è limitata per legge, oltre che di tutti gli altri compiti che la nuova legge gli assegna.

E’ veramente difficile trovare il senso di questa norma, a meno che non si voglia pensar male e non si ritenga corretta l’impostazione di partenza secondo la quale quanto accade in Basilicata non è mai frutto del caso. Un efficiente sistema di mala gestio per poter funzionare a dovere non deve avere controllori orizzontali e verticali, non deve avere occhi indiscreti, deve poter fare quello che fa, senza che vi siano terze persone a documentarlo. Depotenziare la figura del Garante regionale, riempirlo di compiti altri, distrarlo, è un buon espediente per ottenere il risultato sperato dal sistema senza dover continuare a lungo a forza la mano.

Come vedremo nei prossimi appuntamenti, questa storia del Garante è solamente uno dei tanti tasselli della particolarità del CPR di Palazzo San Gervasio che, in molti casi, lo rende simili agli altri centri per la detenzione amministrativa presenti in Italia, ma che, invece, in altri casi, rappresentano peculiarità del “sistema lucano”.

  1. La rete dei Garanti e il National Preventive Mechanism italiano
  2. http://atticonsiglio.consiglio.basilicata.it/AD_Elenco_Leggi

Avv. Arturo Raffaele Covella

Foro di Potenza.
Sono impegnato da anni nell’ambito della tematica del diritto dell’immigrazione, con particolare attenzione alla protezione internazionale e alla tutela dei lavoratori stranieri. Collaboro con diverse associazioni locali che si occupano di migrazioni. Scrivo per diverse riviste.