Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
A Claviere - PH: Jacopo Anderlini
/

Dagli spazi di frontiera, costruire contro-saperi radicali

Appunti sul libro «Borderland Italia», curato da Jacopo Anderlini, Davide Filippi e Luca Giliberti

Start

«Borderland Italia. Regime di frontiera e autonomia delle migrazioni», curato da Jacopo Anderlini, Davide Filippi e Luca Giliberti per DeriveApprodi, è una raccolta di etnografie dai principali crocevia delle rotte migratorie che attraversano la penisola. Dalla piazza della stazione di Trieste ai sentieri boscosi e innevati tra l’alta Val di Susa e Briançon, dal molo di Lampedusa alle frontiere di Ventimiglia e della Val Roja, questo libro è un viaggio attraverso i “punti di condensazione” delle mobilità migranti scritto a più mani, che meritano di essere citate per intero: oltre ai curatori, Luca Daminelli, Graziella Marturano, Filippo Torre, Luca Queirolo Palmas, Federico Rahola, Enrico Fravega, Piero Gorza

Mani sapienti legate al Laboratorio di Sociologia visuale dell’Università di Genova, un’oasi dello studio critico della migrazione nel panorama inaridito delle scienze sociali in Italia, troppo spesso depresse del loro potenziale trasformativo, paradossalmente isolate dalla società, relegate all’inesorabile destino dell’accademia-azienda al servizio del Mercato e dello Stato. 

Invero, il lavoro dei ricercatori e delle ricercatrici di Borderland Italia dimostra che è (ancora) possibile fare ricerca in modo altro, un modo tanto radicale nello sguardo quanto radicato nei soggetti reali da una parte, nella teoria sociologica e antropologica dall’altra. Un modo scientifico in quanto autoriflessivo, consapevole, esplicito nelle sue premesse, che costruisce una conoscenza epistemologicamente contraria alle logiche della ricerca sociale neoliberista: quella del moderno ricercatore-burocrate, che oscilla tra il data scientist e il policy advisor, postulando nuove leggi sociali basate su fragili incroci tra variabili statistiche, elaborando soluzioni per “un’efficiente gestione dei flussi migratori” come di qualsiasi altro “policy problem”. 

Al contrario, il sapere che emerge da questi scritti etnografici non fornisce semplicistiche ricette e non è riassumibile numericamente; è un sapere inevitabilmente lento e incerto, non normativo, che nasce dall’esperienza e muove dall’incontro, che apre ai molti mondi celati nei minuti dettagli di una storia. 

È sapere che nasce dal basso, co-costruito non solo e non tanto da questa collettività di studiosə ma soprattutto dalle persone da loro incontrate: è infatti un sapere che già esiste “là fuori”, che il ricercatore deve “solo” connettere in un disegno d’insieme, tracciandone le continuità e le discontinuità, nella delicata dialettica tra immersione e distanziamento dal campo indagato. 

Chi studia le ecologie delle società infatti ha spesso l’impressione di compiere un furto, e vorrebbe allungare la lista dellə autorə, fino a comprendere tuttə quellə che hanno contribuito a sintetizzare – etimologicamente, “mettere assieme” – il testo. Così, leggendo Borderland Italia si ha l’impressione che sia stato scritto anche dalle tante persone in movimento incontrate dallə autorə, dallə solidalə, dai paesaggi attraversati, dalle istantanee scattate e descritte nei diari di campo.

Nelle pagine del libro si solidifica quindi una conoscenza destituente delle grandi narrazioni migratorie occidentali, che provano a governare la complessità riducendola in pull e push factors, che ammantano i respingimenti violenti, le deportazioni, i centri di detenzione dietro le educate parole d’ordine della retorica istituzionale, fatta di “rebuilding trust”, “a new balance between responsibility and solidarity”, “tailor-made and mutually beneficial partnerships with third countries”. 

Una retorica che, in realtà, è pratica necropolitica, che ha fatto diventare il Mediterraneo il cimitero d’Europa, e su cui convergono, in definitiva, tanto i sovranisti alla Meloni e Orbán quanto i “più umani” Gentiloni e Von der Leyen, finti oppositori nel gioco delle parti della politica. 

Ma è anche contro la via “riformista” alla “gestione” delle migrazioni che questo libro, indirettamente, si scaglia: quella delle vie legali in base alle esigenze del nostro mercato del lavoro, quella dei demografi progressisti che “ci servono più immigrati per sostenere il sistema-Italia”. La ricorrente parola “gestione” riconduce all’idea di governare un fenomeno, che Foucault articolava nel concetto di “governamentalità” (1989), lo “strutturare il campo di azione possibile degli altri”: la radice coloniale d’Europa.

Anderlini, Filippi, Giliberti & co, invece, costruiscono una “descrizione spessa” (Geertz 1973) degli snodi di entrata e di uscita dalla “zona di transito”  (Anderlini 2022) italiana, orientando il lettore nella multidimensionalità della “turbolenza migratoria” contemporanea (Papastergiadis 2000), secondo alcune direzioni concettuali e narrative: le molteplici “circolazioni migranti”, che incrociano i dispositivi confinari con la sfera della produzione, le pratiche di attraversamento dei confini, le pratiche di governo della mobilità, la solidarietà come elemento centrale nelle dinamiche di frontiera, l’incontro/scontro con la dimensione turistica, il lavoro e l’abitare migrante nelle piantagioni agricole. 

Lə autorə non si muovono in linea retta da A a B, non propongono un percorso lineare, come lineari non sono le biografie migranti. È un ritornare negli stessi luoghi, attraverso i capitoli, da angolature differenti, un ritornare su concetti connessi ma diversi. 

Come filo rosso, il conflitto per la libertà di movimento, esacerbato dalle politiche pandemiche: da una parte il regime delle frontiere, che seleziona, gerarchizza e governa le vite, dall’altro le persone migranti, che si sottraggono al destino segnato contestando i confini con il proprio corpo, disobbedendo all’ordine di non passare, autodeterminandosi. 

Ritornare al soggetto” – l’invito espresso nella postfazione da Piero Gorza – è anche questo: riconoscere la strenua lotta delle persone in cammino, la sua irriducibile forza creatrice, la sua eccedenza rispetto alle leggi del capitale e all’operazione di “frontierizzazione” del mondo da parte degli stati. 

Ritornare al soggetto”, assumendo la prospettiva di ricerca radicata nella teoria dell’autonomia delle migrazioni (Mezzadra 2010), significa partire dagli spazi di confine per espandersi da un lato verso l’io-confine (Khosravi 2019) – il confine che si attacca alle ossa, al pensiero del soggetto -, dall’altro verso la moltiplicazione dei confini sociali in tutti i territori, dettata dall’alleanza intrinseca tra economia di mercato e razzismo istituzionale. 

Per questo, tra i crocevia di frontiera analizzati nel libro troviamo anche alcuni luoghi – le “frontiere agricole” di Cassibile e Borgo Mezzanone, ma anche il crocevia metropolitano di Roma – che non si trovano ai confini geografici della penisola, ma che sono tappe (troppo lunghe) delle rotte europee, segnate dalle stesse dinamiche di bordering e di autonomia.

Ritornare al soggetto”, partire dai confini, non significa invece rinunciare ad una prospettiva di analisi globale, non significa relegarsi al “micro”, lasciando agli altri pontificare il “macro”.

Anzi. Significa porre le persone incontrate, i luoghi conosciuti, le esperienze vissute, in continuo dialogo con l’economia-mondo del capitalismo dell’oggi, con la divisione del lavoro e le catene del valore globali. Borderland Italia lo fa magistralmente: ancorandosi al terreno, ma al contempo facendo emergere e comprendere abduttivamente la crucialità economica dell’industria-confine e dei processi confinari. Guardando attraverso la serratura del confine, si può capire il mondo.

Per chi – come noi di Melting Pot – prova ogni giorno a costruire dal basso una contro-narrazione delle migrazioni, a partire dalla voci che – dalle frontiere esternalizzate fino alle grandi città europee – attraversano le lotte per la libertà di movimento e per una vita degna, questo libro è uno strumento essenziale proprio per connettere le molteplici dimensioni – in particolare quelle di “razza” e di classe – di un regime, quello delle frontiere, che spesso fatichiamo a leggere come sistema. È un libro che ha profondità analitica e il coraggio di prendere parte, la nostra: quella delle persone in transito e con background migratorio, quella delle solidalə. 

Abbiamo bisogno di contributi come questo non solo per decostruire l’ideologia dominante che unisce riformisti e nazionalisti, ma anche per costruire, collettivamente, un punto di vista autonomo, radicale, fondato nelle persone, nelle pratiche, nell’autonomia. Di fronte, abbiamo un’area mediterranea sempre più borderland, l’affermarsi di uno “spazio razzializzato”. 

Rimane aperta la sfida, grande, di socializzare e tradurre questo sapere, per farlo diventare un’arma politica, di coscientizzazione e lotta. Perché non rimanga riservato ai soliti noti, perché attraversi le soggettività che quel sapere lo incarnano: disobbedendo, semplicemente vivendo. 

Bibliografia:

Anderlini, J. (2022). Fitful circulations: Unauthorized movements in the Sicilian transit zone. International Migration.

Foucault, M. (1989). Perché studiare il potere: la questione del soggetto. H. Dreyfus, P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault. Analitica della verità e storia del presente, Firenze: Ponte alle grazie.

Geertz, C. (1973). The interpretation of cultures (Vol. 5043). Basic books.

Khosravi, S. (2019). Io sono confine. Milano: Elèuthera.

Mezzadra, S. (2010). The gaze of autonomy: Capitalism, migration and social struggles. In The contested politics of mobility (pp. 141-162). Routledge.

Papastergiadis, N. (2000). The turbulence of migration: globalization, deterritorialization, hybridity. Cambridge: Polity Press. 

Giovanni Marenda

Studente magistrale di Sociologia e Ricerca Sociale all'Università di Trento. Ho trascorso la maggior parte del 2020 ad Atene, in Grecia, impegnato nel lavoro di solidarietà. Sono un attivista del Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino, che promuove la libertà di movimento e supporta le persone migranti lungo le rotte balcaniche e sui confini italiani.