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Corte di Giustizia UE: il ricongiungimento familiare non può imporre la comparizione dei richiedenti in una sede diplomatica

Commento alla sentenza della CGUE del 18 aprile 2023

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di avv. Gennaro Santoro e dott.sa Giorgia Giordani *

Con la sentenza del 18 aprile 2023 la Corte di giustizia dell’Unione europea ha affermato il principio generale secondo cui è illegittima una normativa nazionale che impone ai familiari del richiedente il ricongiungimento familiare, rifugiato riconosciuto, di recarsi personalmente presso la sede diplomatica o consolare di uno Stato membro competente per chiedere il visto di ingresso. In particolare, se i familiari del richiedente si trovino in situazioni in cui è impossibile o eccessivamente difficile recarsi di persona presso tali sedi diplomatiche. 

Una sentenza dirompente che può avere effetti importanti più generali sulle prassi illegittime riscontrate anche nelle sedi diplomatiche italiane estere.

Il caso

Il caso riguarda la domanda di ricongiungimento familiare presentata dalla moglie e dai figli minorenni di un signore siriano che aveva ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato in Belgio. L’avvocato che rappresentava la donna e i suoi figli aveva inoltrato per posta elettronica la domanda di ingresso e di soggiorno a titolo del ricongiungimento familiare, rappresentando che i suoi assistiti versavano in «condizioni eccezionali che impediscono loro effettivamente di recarsi presso una sede diplomatica belga al fine di ivi presentare una domanda di ricongiungimento familiare», come invece richiesto dalla legge belga. L’Ufficio stranieri belga aveva rigettato l’istanza sostenendo che non era possibile presentare una domanda di ingresso e di soggiorno per posta elettronica invitando i richiedenti a contattare l’Ambasciata belga competente. E’ stato quindi presentato un ricorso d’urgenza al giudice belga che ha poi rinviato la questione alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

Il giudice belga ha infatti evidenziato che la regione di Afrin, dove si trovavano la moglie ed i figli minorenni del richiedente, si trova sotto il controllo della Turchia e che la sig.ra X e i suoi figli non possono in alcun modo lasciare questa città per recarsi presso una sede diplomatica belga competente al fine di presentare una richiesta di ricongiungimento familiare. Dunque, da una parte, la sig.ra X e i suoi figli non potrebbero recarsi, contrariamente a quanto suggerisce lo Stato belga, presso la sede diplomatica belga di Ankara (Turchia) o di Istanbul (Turchia), in quanto la Turchia non sarebbe sicura per coloro che fuggono dalla Siria e che, inoltre, le frontiere turche sarebbero chiuse a queste persone. D’altra parte, anche una partenza verso il sud della Siria in direzione del Libano o della Giordania sarebbe esclusa, in quanto un tale spostamento implicherebbe il passaggio di una linea di fronte. 

Il giudice del rinvio conclude ritenendo che la normativa belga, non ammettendo eccezioni alla presentazione personale dei beneficiari presso le sedi diplomatiche, nega di fatto il diritto all’unità familiare riconosciuto dalla normativa europea.

La soluzione della Corte

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha ritenuto che gli Stati membri sono tenuti a dimostrare che la propria legge nazionale offra la flessibilità necessaria al fine di permettere la presentazione di una domanda di ricongiungimento familiare “in tempo utile“, consentendo in particolare il ricorso ai mezzi di comunicazione a distanza.

Al contrario l’assenza di flessibilità, l’obbligazione indiscriminata di comparire personalmente al momento della presentazione della domanda non consente di tener conto degli ostacoli che possono impedire un tale adempimento rendendo l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare pressoché impraticabile. In particolare in scenari di guerra e dove la volontà del ricongiungimento familiare provenga da minori l’ostacolo di dover comparire personalmente potrebbe essere insormontabile. L’obbligazione di comparizione personale presso la sede diplomatiche dei familiari beneficiari del ricongiungimento, senza che siano ammesse eccezioni al riguardo per tener conto della situazione concreta in cui versano i familiari del soggiornante, finisce col rendere praticamente impossibile l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare. Una tale regolamentazione lede quindi, ad avviso della Corte, l’obiettivo perseguito dal diritto dell’Unione e priva quest’ultimo del suo effetto utile e, in definitiva, viola il diritto al rispetto dell’unità familiare. Ciò non impedisce però di richiedere tale comparizione personale a uno stato ulteriore dell’iter di trattazione della domanda.

Gli effetti della sentenza in ambito italiano

L’importanza della sentenza in commento non si limita ai benefici che potranno trarne i familiari di titolari della protezione internazionale. Ciò in quanto la Corte afferma un principio generale di più ampia portata e che riguarda l’unità familiare di tutti gli stranieri. 

Indirettamente tale sentenza potrà quindi essere utilizzata anche nei numerosissimi casi in cui l’impedimento all’accesso presso le sedi diplomatiche non è determinato da situazioni di conflitto armato quanto piuttosto da altri fattori.

Si pensi in particolare all’impossibilità sistematica di ottenere, dopo il rilascio del nullaosta al rilascio del visto per  ricongiungimento rilasciato dalle competenti Prefetture, dalle rispettive Ambasciate italiane un appuntamento per la formalizzazione della domanda di visto, a causa della sostanziale inaccessibilità dei relativi uffici. In questo caso l’impossibilità di ottenere l’appuntamento nel tempo utile di validità del nullaosta è spesso determinato dal fatto che gli appuntamenti presso le nostre Ambasciate estere sono gestite in appalto da aziende private e le richieste di di rilascio del visto a mezzo pec non sono considerate valide. Già ci sono stati importanti precedenti di Giudici italiani (vedi ad esempio Tribunale di Roma, ordinanza del 4 e dell’11 gennaio 2023) che hanno affermato che sull’Ambasciata incombe indubbiamente “un dovere di ricezione e formalizzazione della domanda di visto di ingresso da parte di chi abbia un nulla osta in corso di validità”.

Tali decisioni isolate dei Tribunali italiani trovano ora una importante conferma nella sentenza della Corte di Giustizia in commento. E’ dunque importante promuovere contenzioso strategico (sia individuale che collettivo) per porre fine alla sistematica violazione del diritto all’unità familiare degli stranieri e la sentenza della Corte rappresenta un punto di partenza fondamentale.

* Giorgia Giordani è operatrice legale del Servizio Immigrati di Mentana (Rm)