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«Basta abusi in divisa»: manifestazione a Verona

Sabato 24 giugno ore 14 con ritrovo in piazza Bra

Verona. Conferenza stampa basta abusi in divisa

L’Italia ha un problema serio di abusi perpetrati dalle forze dell’ordine nei confronti di persone considerate indesiderate o marginalizzate. Dopo la caserma Levante di Piacenza, le violenze e le torture nel carcere di Caserta e le percosse subite a Milano da una donna trans, solo per citare alcune delle vicende più note, questa volta a balzare sulle prime pagine dei giornali nazionali è stata l’inchiesta della Procura di Verona.

Sono, infatti, quasi 30 gli agenti della Questura di Verona indagati per i reati di tortura, maltrattamenti, lesioni e omissione di atti di ufficio ai danni di persone quasi tutte migranti e senza dimora. Cinque di loro sono attualmente agli arresti domiciliari.

La notizia ha fatto abbastanza scalpore, ma per chi conosce bene la città e vive nei suoi quartieri non è stata per nulla una rivelazione inaspettata. Da tempo, molte associazioni e organizzazioni veronesi denunciano e sono a conoscenza delle pratiche violente e discriminatorie delle forze di polizia.

Proprio per questo, venerdì scorso le stesse 1 hanno promosso una conferenza stampa in via lungadige Galtarossa di fronte la Questura sia per prendere parola su quello che è accaduto, e sia per soffermarsi, soprattutto, su quel che troppo rimane sommerso. L’iniziativa ha lanciato la manifestazione di sabato 24 giugno con ritrovo alle ore 14 in piazza Bra per terminare in piazza Santa Toscana. Un corteo che «possa fare luce, attraverso voci e testimonianze differenti, sugli abusi che vengono perpetrati fuori e dentro le istituzioni, passando dalle questure alle carceri, dai centri accoglienza ai CPR, dai fermi di polizia nelle strade alle repressioni verso chi non rimane indifferente ed esprime il proprio dissenso verso pratiche che opprimono e umiliano».

La conferenza stampa in via lungadige Galtarossa

Le organizzazioni hanno spiegato che «le violenze sono emerse casualmente nel corso di un’altra indagine su altri poliziotti, da cui è partita l’indagine di cui oggi vediamo gli esiti. I fatti ci danno tristemente ragione e a fronte del numero di indagati è molto difficile pensare che negli uffici della Questura qualche persona non sapesse cosa stesse avvenendo durante i fermi delle volanti o per le strade della città».

«Sono violenze – hanno precisato – che riguardano tutte e tutti, non solo le persone migranti. A finire nei locali della Questura, sotto tortura, come sembra emergere da alcune testimonianze dei giorni scorsi, è finito anche il figlio di un sottoufficiale della polizia. L’omertà ha vinto anche in quel caso. Ma come spesso accade, sono le persone più indifese a subire le maggiori vessazioni. Lo dicemmo nel gennaio del 2022, protestando contro alcune pratiche razziste, ma fummo denunciati per calunnia. La gravità di questi eventi ci spinge a pretendere un necessario e radicale ripensamento della funzione e delle pratiche delle cosiddette “forze dell’ordine” e dei controlli a cui devono essere sottoposte per garantire il rispetto dei diritti di tutte e tutti».

Le realtà sociali hanno poi puntato il dito anche contro le pratiche di violenza quotidiana più sottile e nascosta:

«La violenza delle forze dell’ordine, infatti, non si manifesta soltanto negli atti brutali ed eclatanti denunciati in queste settimane. L’odissea di chi richiede i documenti necessari per vivere e lavorare regolarmente nel bel Paese, le file interminabili e i tempi di attesa per un appuntamento, i controlli a tappeto, e le foto segnalazioni indiscriminate, nei confronti di migliaia di minorenni davanti alla Gran Guardia per opera della polizia locale, mettono in scena ogni giorno le criticità di un mondo che non ha mele marce, ma un frutteto malato. 

Una violenza strutturale che rimane sempre taciuta. Anche in questi giorni, sui media locali e per voce delle istituzioni, assistiamo a una vittimizzazione vergognosa degli agenti. Arrivano gli psicologi per il personale della Questura; vengono pubblicati i curriculum stellati di alcuni indagati; si punta il dito sui soggetti che avrebbero subito torture indicandoli come “provocatori”. In questa narrazione passa in secondo piano la gravità di quanto sta emergendo dalle indagini, e quanto molte realtà cittadine hanno già denunciato pubblicamente in passato. Si vuole mostrare il volto pulito e democratico delle forze di polizia, che avrebbero svelato esse stesse il marcio al loro interno. Ma com’è possibile accettare che le indagini siano guidate dallo stesso ente che è sotto inchiesta? 

Numeri identificativi e bodycam sono quindi strumenti indispensabili per tutelare i diritti delle persone a non subire vessazioni da parte delle forze dell’ordine. Ma non sono sufficienti a cambiare il quadro in cui si inseriscono queste violenze. Abbiamo bisogno di una commissione esterna e indipendente per raccogliere le denunce di chi vi incorre; abbiamo bisogno di figure di intermediazione all’interno dei processi di accoglienza migranti; ma soprattutto va ripensato il ruolo delle forze dell’ordine nella gestione del territorio, dei suoi margini e di chi li abita. Fin troppo spesso esse colmano la mancanza di politiche e interventi sociali. Si danno risposte autoritarie a situazioni che meriterebbero attenzioni ben diverse, di inclusione, sostegno economico e psicologico». 

«Vogliamo ripensare un modo diverso di intendere il controllo e la sicurezza di una città a partire da chi dichiara di volerla proteggere», hanno concluso.

    • Assemblea 17 dicembre / Verona Città Aperta
    • Circolo Pink LGBTE Verona
    • Infospazio 161
    • ADL Verona
    • Laboratorio Autogestito Paratod@s
    • Rifondazione Comunista Verona
    • Osservatorio Migranti Verona
    • Non Una di Meno Verona

Redazione

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