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Trieste – Applausi e colpevoli silenzi

300 richiedenti asilo vivono in strada ma le istituzioni alzano un muro di gomma

Foto di Gian Andrea Franchi

Negli ultimi giorni due notizie che riguardano la città di Trieste e il confine italo-sloveno hanno ricevuto diversa attenzione. Da una parte si è assistito ad una falsa indignazione e generosi applausi per l’operazione della DDA contro il traffico di esseri umani, dall’altra all’ennesimo muro di gomma eretto dalle istituzioni rispetto la protesta pacifica di circa 80 richiedenti asilo non accolti nel sistema di accoglienza e costretti da mesi a vivere in strada e in accampamenti informali 1.

«Una manifestazione autonoma di migranti per ottenere l’abbreviazione dei lunghissimi tempi d’attesa per coloro che pur avendone fatta domanda, non riescono a entrare nel campo di prima accoglienza per mancanza di posti e devono sopravvivere in strada. Si tratta di circa 300 persone», ha scritto Gian Andrea Franchi di Linea D’Ombra ODV, l’associazione triestina che ogni giorno accoglie e supporta in piazza della Libertà le persone migranti in transito e coloro che, ingiustamente, non sono accolte nel sistema di accoglienza. 

I richiedenti asilo martedì scorso hanno manifestato sotto la prefettura di Trieste, esibendo cartelli e chiedendo di essere accolti, alcuni di loro hanno raccontato di vivere in strada da circa 6 mesi, in mezzo alla sporcizia e ai topi. 

«E’ un’emergenza umanitaria creata dalle istituzioni con vari livelli di responsabilità», ha fatto notare una operatrice dell’accoglienza. «Le principali sono in capo al ministero dell’interno e al governo che come in altre città italiane hanno deciso di non gestire la situazione e garantire il diritto all’accoglienza, pianificando la mancata accoglienza in palese violazione delle norme italiane». Su questo punto la normativa è chiara e nemmeno il cosiddetto decreto Cutro ha modificato l’articolo che prevede l’immediata accoglienza per chi è privo di mezzi economici sufficienti e manifesta la volontà o ha presentato domanda di asilo. 

«Al tempo stesso è responsabile di questa situazione il presidente di regione Fedriga e il sindaco Di Piazza che in linea con la politica governativa non garantiscono alcun servizio di bassa soglia per chi in città è solo di passaggio. Una inazione che viene poi usata per gridare al “degrado”, invocare politiche securitarie e spostare l’attenzione verso il confine con Slovenia, dove si vorrebbero rafforzare i controlli e procedere con l’attuazione di “riammissioni” e respingimenti», ha aggiunto l’operatrice.

L’unica “risposta” al presidio, infatti, arriva dall’assessore regionale all’immigrazione Roberti che ai media locali ha affermato: «Il ‘vogliamo’ di chi ha attraversato illegalmente diversi confini pagando organizzazioni criminali è assolutamente inaccettabile. E, anzi, siamo noi a volere che le regole vengano rispettate. Che la Croazia blocchi gli immigrati alla frontiera e che la Slovenia si riaccolga gli immigrati rispetto ai quali vengono proposte le riammissioni». Un chiaro tentativo di non riconoscere giuridicamente le persone come richiedenti asilo e titolari di diritti fondamentali, ma invece di ricollegarli solamente alle reti di trafficanti. 

E proprio sulla vicenda della rete ritenuta responsabile dalla magistratura del reato di associazione a delinquere transnazionale finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina lungo la cosiddetta Rotta Balcanica, è intervenuto con una nota l’ICS – Ufficio Rifugiati Onlus.

L’organizzazione triestina afferma che «è giusto esprimere sdegno per le ignobili condizioni di violenza e vessazione cui sono sottoposti i migranti anche se questa inchiesta non sembra portare nuovi particolari elementi all’analisi di fenomeni ben noti da molti anni».

ICS precisa che lo sdegno, da solo, non basta perché non aiuta a comprendere la realtà e quindi ad agire affinché tali violenze siano realmente contrastate. «Le organizzazioni che gestiscono il traffico di esseri umani sono, per i migranti, i loro aguzzini e i loro salvatori nello stesso tempo. Ai loro “servizi” si devono rivolgere, in assenza di alternative, coloro che fuggono dai loro paesi a causa di persecuzioni e conflitti. 

L’assenza, in Europa e in Italia, di canali di ingresso protetti per i rifugiati è il grande tema rimosso dal dibattito pubblico; al suo posto si è affermata una violenta retorica che ruota attorno all’indistinto slogan del “fermare le partenze”. Fermare le partenze significa di fatto contrastare il “diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni” (Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, art. 14) ed è quindi opzione che va ripudiata dalla coscienza collettiva perché contraria all’ordinamento giuridico di tutela dei diritti fondamentali su cui si fonda la nostra società».

«L’Italia – prosegue il Consorzio Italiano Solidarietà – non ha alcun programma di ingresso protetto dei rifugiati che permetta almeno a parte di loro di non doversi affidare alle organizzazioni criminali per poter fuggire da condizioni di vita che sono percepite, a ragione, come ben più gravi del rischio di violenza e di morte durante i viaggi. Non sono canali di ingresso protetto gli attuali, pur lodevoli, “canali umanitari”, sia per l’assoluta esiguità del loro numero, sia perché si tratta di progetti organizzati da enti umanitari privati. Lo Stato italiano è, in questo campo, totalmente inerte, ed anzi persino contrasta l’operato di coloro che, nei soccorsi in mare, alle nostre frontiere e nel territorio, cercano di fare rispettare il diritto d’asilo».

«Nessun programma di ingresso protetto è stato in particolare attuato nei confronti dei rifugiati dalla rotta balcanica, pur essendo essi in larga parte afgani e siriani, ovvero persone in fuga da contesti di origine di inaudita violenza che non permettono di fare altre scelte che non la fuga. Nessun programma, per nessuno: né famiglie, né minori, né malati. Essi, come tutti i rifugiati, sono costretti dalle attuali violente scelte politiche ad affidarsi agli stessi trafficanti del cui operato ipocritamente ci indigniamo ma che, nei fatti, sosteniamo», conclude ICS.

  1. Per approfondire la situazione è possibile leggere il rapporto “Vite Abbandonate: Rapporto sulla situazione e i bisogni dei migranti in arrivo dalla rotta balcanica a Trieste – anno 2022” presentato il 15 giugno presso il Circolo della Stampa. Il rapporto è redatto dalla Rete solidale che unisce le organizzazioni attive a Trieste sui temi dell’accoglienza, della tutela legale e dell’assistenza umanitaria alle persone migranti

Redazione

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