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Rotta balcanica, prove e testimonianze confermano le riammissioni a catena. Condanna al risarcimento del danno per il Ministero

Tribunale di Roma, ordinanza del 9 maggio 2023

Graffito a Velika Kladusa. Ph: No Name Kitchen

Un importante risultato ottenuto dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla dell’ASGI grazie ad un lavoro di rete che ha coinvolto l’associazione slovena PIC e le associazioni della rete di RiVolti ai Balcani: il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso per il risarcimento del danno patito da un ragazzo pakistano riammesso a catena dall’Italia alla Slovenia fino alla Croazia, per poi essere respinto in Bosnia, riconoscendogli un risarcimento di 18.200 euro (ndr.).


L’illegittimità insita nella riammissione informale operata dalle autorità di polizia italiana alla frontiera tra Italia e Slovenia, i trattamenti inumani e degradanti relativi alla riammissione a catena verso la Bosnia ed Erzegovina e il contestuale mancato accesso alla procedura di asilo politico determinano un diritto al risarcimento del danno in capo al destinatario di tale procedura.

Con la recente ordinanza del 9 maggio 2023, il Tribunale di Roma ha ribadito i principi già affermati con l’ordinanza del Tribunale di Roma del 18 gennaio 2021, accogliendo il ricorso di un cittadino pakistano il quale, nonostante l’ingresso in Italia avvenuto il 17 ottobre del 2020 e la contestuale manifestazione di volontà di domandare protezione internazionale, era stato riammesso in Slovenia e successivamente in Croazia e poi respinto in Bosnia ed Erzegovina, secondo il meccanismo della riammissioni informali particolarmente implementato in quel periodo.

Con tale decisione il Tribunale ha ribadito l’illegittimità della procedura di riammissione attuata al confine orientale italiano sulla base di un accordo siglato tra Italia e Slovenia nel 1996, mai ratificato dal Parlamento italiano. Procedura che il Governo italiano, dopo averla sospesa a seguito della decisione del gennaio 2021, ha deciso di ripristinare a partire da novembre del 2022 seppur non, formalmente, nei confronti di coloro che chiedono protezione internazionale.

Tale  procedura, ha osservato il Tribunale, “deve in primo luogo qualificarsi come antigiuridica e dunque illegittima per contrasto col diritto interno, anche di rango costituzionale, e internazionale, con valore di fonte sovraordinata ai sensi dell’art 117 CostTale condotta è stata inoltre posta in essere nonostante le autorità responsabili conoscessero, o almeno avrebbero potuto (e dovuto) conoscere, le conseguenze della riammissione stessa, alla luce dei numerosi rapporti citati già allora esistenti”.

In particolare la condotta, in palese violazione delle norme internazionali, europee e interne che regolano l’accesso alla procedura di asilo, è illegittima perché  eseguita senza la consegna agli interessati di alcun provvedimento e senza alcun esame delle situazioni individuali, dunque con chiara lesione del diritto di difesa e del diritto alla presentazione di un ricorso effettivo.

Inoltre essa è realizzata mediante un trattenimento di fatto esperito senza alcun ordine dell’autorità giudiziaria e, non da ultimo, essa è in palese contrasto con l’obbligo di non refoulement. 

L’ordinanza riconosce altresì la compiuta dimostrazione dei fatti essendo stata provata in giudizio grazie alla collaborazione con PIC (Pravni center za varstvo človekovih pravic in okolja – Legal Centre for the Protection of Human Rights and the Environment) la catena immediata di riammissioni subite dal ricorrente dall’Italia alla Slovenia e dalla Slovenia alla Croazia e poi la presenza del medesimo in Bosnia. La solidità delle prove documentali che nell’ambito di questo giudizio è stato possibile produrre segna un importante passo in avanti nella ricostruzione delle modalità di esecuzione delle riammissioni e conferma di fatto quanto già posto all’attenzione del Tribunale di Roma nel procedimento deciso il 18 gennaio 2021 relativo ad un altro caso di riammissione che risultava tuttavia più debole dal punto di vista probatorio.

Inoltre, grazie  all’intervento in giudizio dei testimoni, Elisa Oddone e Diego Saccora, l’ordinanza ha valutato raggiunta una rigorosa prova del danno, consistente nelle condizioni degradanti in cui il ricorrente si è trovato respinto in Bosnia rischiando per la propria incolumità.  

Il Tribunale ha dunque concluso riconoscendo che “la descritta condotta illegittima non incolpevole dell’Amministrazione abbia arrecato un danno ingiusto al ricorrente, esponendolo a serie e molteplici violazioni dei suoi diritti fondamentali”.

La decisione, ottenuta dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla dell’ASGI, è stata il frutto di un lavoro di rete che ha visto coinvolti diversi soggetti attivi nel contrasto alle violenze verso le persone in movimento attivi lungo la rotta balcanica, tra i quali la rete RiVolti ai Balcani (in particolare Gianfranco Schiavone e Agostino Zanotti), la giornalista Elisa Oddone, l’Associazione “Lungo la rotta balcanica”, l’associazione PIC (in particolare Ursa Regvar), il progetto Medea dell’ASGI, ICS Ufficio Rifugiati, Linea d’ombra, il Centro per la Pace di Zagabria, Anela Dedic e tutti gli attivisti e attiviste che agiscono per la tutela per i diritti umani in Bosnia ed Erzegovina e lungo le rotte percorse dalla persone in transito.

ASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione

Nata dall'intenzione di condividere la normativa nascente in tema d’immigrazione da un gruppo di avvocati, giuristi e studiosi, l’ASGI ha, nel tempo, contribuito con suoi documenti all'elaborazione dei testi normativi statali e comunitari in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza, promuovendo nel dibattito politico-parlamentare e nell’operato dei pubblici poteri la tutela dei diritti nei confronti degli stranieri ( continua » )