Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
Copertina del rapporto - Foto di Lorenzo Maiolo
//

“Vite abbandonate”: il rapporto della rete solidale triestina

La prima accoglienza delle persone migranti a Trieste resta quasi totalmente in capo al volontariato

Start

L’emergenza degli arrivi è artificiale e serve alle istituzioni per deresponsabilizzarsi.

È stato pubblicato lo scorso giugno il rapporto “Vite abbandonate”, frutto del lavoro congiunto di realtà e associazioni che a Trieste nel corso del 2022 si sono impegnate in interventi di bassa soglia rivolti alle persone migranti della rotta balcanica. Gli autori e le autrici del Rapporto sono volontari e volontarie di una rete nata nel 2021, costituita dalla Comunità di San Martino al Campo, dal Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS), dalla Diaconia Valdese – che su Trieste ha attivato delle risorse in supporto delle persone migranti, dall’associazione socio-sanitaria DonK Humanitarian Medicine, dall’International Rescue Committee Italia (IRC), attiva in varie regioni italiane tra cui il Friuli Venezia Giulia, e dall’organizzazione di volontariato Linea d’Ombra. Il Rapporto raccoglie dati e analisi elaborate mensilmente nel corso del 2022 in relazione agli arrivi delle persone migranti, delle loro nazionalità, della loro età e dei loro percorsi migratori.

Trieste rappresenta la prima città italiana di approdo lungo il percorso di terra delle rotte balcaniche che, a partire dalla Grecia, risalgono in Macedonia, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Croazia e Slovenia. Il primo dato che emerge dal Rapporto è che la maggior parte delle persone migranti che attraversano la frontiera italo-slovena per giungere a Trieste non hanno fatto richiesta di asilo nei paesi balcanici – molti di loro riescono a giungere sui nostri confini di terra eludendo i controlli alle frontiere, e dunque approdano in Italia dove fanno richiesta di asilo per la prima volta. Giunte a Trieste, queste persone hanno un enorme bisogno di supporto, innanzitutto di tipo fisico, tramite cibo e vestiario, poi di tipo sanitario, dal momento che vengono da un viaggio violento e faticoso, e una volta giunti in Italia non hanno ancora un aggancio con la macchina statale e con il sistema sanitario nazionale – “quasi tutti necessitano di riposo, una doccia, un ricambio completo di abiti, un pasto caldo, un ricovero notturno e di un trattamento anti-scabbia”, si legge nel Rapporto; ma anche di supporto giuridico, per poter appieno comprendere cosa possono legittimamente richiedere di fronte alle istituzioni e di avere una conoscenza appropriata dei loro diritti.

Le realtà autrici del Rapporto hanno collaborato tra di loro fornendo un servizio di bassa soglia per coprire il silenzio degli attori istituzionali, che in merito all’accoglienza da troppo tempo si astengono dal fare ciascuno il proprio pezzetto per ciò che gli compete; anzi, l’atteggiamento delle istituzioni in questo frangente, pur in presenza di realtà che monitorano dal basso le loro carenze, si è dimostrato apertamente schierato in favore della non-accoglienza e delle riammissioni dei richiedenti asilo in  Slovenia, pur consapevoli che si tratta di una pratica dichiaratamente illegale. Le realtà autrici del Rapporto hanno seguito un monitoraggio quotidiano della situazione, non solo con cibo e vestiario, con interventi di pronto soccorso e fornendo informazioni di tipo legale, ma anche cercando di mettere insieme le testimonianze di violenza e abusi subiti lungo la rotta per mano di soggetti istituzionali (nella persona dei poliziotti di frontiera) e non istituzionali (passeurs e, più in generale, soggetti coinvolti nella criminalità organizzata che lungo la rotta si nutre dell’irregolarità delle persone migranti).

Dal rapporto emerge un aumento degli arrivi delle persone migranti tra l’ultimo trimestre del 2021 e l’ultimo trimestre del 2022 (683 del 2021 contro i 5.940 del 2022). È tuttavia da rilevare che, nonostante l’assidua presenza degli operatori, i dati raccolti dalle organizzazioni riguardo al numero di arrivi sono fortemente sottostimati, dal momento che non possono tenere conto di quelle persone “in transito” che non si sono fermate nelle zone sottoposte a monitoraggio quotidiano dalle organizzazioni, ossia fra la stazione di Trieste Centrale e il centro diurno di via Udine della Comunità di San Martino al campo. Al netto di questo fatto, attraverso un’analisi dei dati suddivisi per trimestri, le associazioni concordano sul trend del numero degli arrivi a Trieste, registrando un complessivo aumento degli arrivi nel 2022. L’82% di questi arrivi sono uomini singoli e adulti, ma il Rapporto rileva anche un’importante presenza di minori stranieri non accompagnati, l’11% delle persone incontrate; soltanto l’1% è costituito da donne singole o da madri sole. Quasi l’80% dei migranti vengono dall’Afghanistan e dal Pakistan.

Quanto al progetto migratorio, circa un terzo delle persone incontrate dichiara di voler presentare domanda di asilo in Italia; la restante parte intende raggiungere altri Paesi, per ragioni di ricongiungimento familiare o per una generale sfiducia nel welfare italiano. Il Rapporto mette in evidenza come questo dato sia molto fragile, dal momento che il progetto migratorio delle persone è spesso suscettibile di variazioni, e non è stato raro che le organizzazioni abbiano assistito alla scelta da parte dei migranti di dirottare il proprio percorso migratorio una volta informati e orientati in maniera opportuna sui loro diritti e sulle opportunità a disposizione in Italia. Questo tema è tanto più delicato in quanto le scelte di percorso delle persone migranti non sono mai determinate soltanto da ragioni affettive o lavorative, ma sono legate a doppio filo alle disponibilità economiche e alla rete di organizzazioni che dietro compenso programmano gli attraversamenti delle persone migranti lungo la rotta: la rete solidale evidenzia che un orientamento e un’informativa precisi e competenti non sono sufficienti a sradicare convinzioni talvolta errate sulle opportunità a cui le persone migranti possono sperare di accedere nel nostro e in altri Paesi dell’Unione. In questo contesto occorrerebbe creare un contesto di fiducia, nel quale possano emergere anche le testimonianze di abusi, violenze e profili di vulnerabilità da proteggere e prendere in carico.

Accesso all’asilo

Sebbene la normativa europea in materia di asilo disponga che i richiedenti asilo privi di mezzi di sostentamento vengano indirizzati verso luoghi di accoglienza nel momento in cui manifestano la volontà di chiedere protezione internazionale, a partire da giugno 2022 a Trieste i due centri di prima accoglienza (l’Ostello di Campo Sacro e Casa Malala) si sono saturati rapidamente a causa di un rallentamento delle procedure di trasferimento e ricollocazione dei richiedenti asilo in altre regioni italiane. Tutto questo ha portato all’assurda situazione di avere richiedenti asilo abbandonati in strada, che nei periodi di maggiore saturazione hanno passato all’addiaccio dalle 30 alle 70 notti prima di essere assorbiti all’interno del sistema di accoglienza.

E le istituzioni?

Mediante il Consorzio Italiano di Solidarietà, tra luglio e dicembre 2022 le organizzazioni della Rete hanno inoltrato 14 segnalazioni formali alla Prefettura di Trieste, segnalando un totale di 1.535 persone richiedenti asilo in stato di indigenza che non hanno ricevuto tempestivamente le misure di accoglienza secondo quanto previsto dalle normative vigenti (Direttiva 2013/33/UE, art.1 comma 2); una falla di sistema che ha portato le persone abbandonate a bivaccare in ogni spazio disponibile della città, dalle aiuole alle pensiline degli autobus.

Il Sindaco di Trieste ha inizialmente risposto al problema comminando multe per bivacco fino a 100 euro alle persone indigenti lasciate fuori dai circuiti dell’accoglienza. Queste soluzioni di tipo securitario non risolvono in alcun modo la questione (semmai la esasperano e la portano al paradosso), ma sono state messe in atto con il chiaro obiettivo di tranquillizzare un’opinione pubblica spaventata mediante un provvedimenti che dessero l’illusione di ripristinare l’ordine nelle strade individuando e punendo i colpevoli. Soltanto a inizio agosto il Centro Diurno di via Udine è stato riaperto, mettendo a disposizione 20 posti letto per l’accoglienza notturna; il Centro è stato riaperto su disposizione del Comune, ma quasi tutti i costi di gestione sono rimasti in capo alla Comunità di San Martino al campo, di ICS e delle altre organizzazioni della Rete. Nonostante la situazione di emergenza perduri, le istituzioni non sono intervenute mai in maniera risolutiva. I 20 posti sono stati ampliati a 55 in gennaio 2023, ma questi numeri restano insufficienti a soddisfare il fabbisogno reale della città, specie in inverno, quando le condizioni climatiche espongono le persone al rischio concreto di morire di freddo. Quello che emerge in maniera chiara è l’incidenza delle persone richiedenti asilo sul sistema di bassa soglia, dal momento che questi costituiscono l’82% di coloro che usufruiscono del sistema dei dormitori – ma queste non sono strutture pensate per i richiedenti asilo. Si tratta di dormitori riservati in teoria a senza fissa dimora e persone in stato di vulnerabilità, dormitori che lo scorso inverno, a causa della saturazione delle strutture ordinarie sul territorio, sono stati riconvertiti in strutture di accoglienza di bassa soglia per richiedenti asilo.

La prima assistenza alle persone migranti

Le associazioni della Rete solidale hanno cercato di fare ciascuna il proprio pezzetto nella prima assistenza delle persone migranti che in gran numero si sono raccolte tra Piazza Libertà (la piazza antistante la Stazione ferroviaria di Trieste) e il Centro Diurno di via Udine, indipendentemente dalla loro condizione giuridica. Il Centro Diurno è rimasto aperto 365 giorni l’anno; i medici e gli infermieri del DonK si sono messi a disposizione per approfondire le problematiche mediche non facilmente trattabili in strada; gli operatori e le operatrici di ICS hanno continuato a presidiare la piazza per offrire assistenza legale soprattutto a chi non ha espresso la chiara intenzione di fare richiesta di asilo ma che non avevano una conoscenza davvero profonda delle condizioni e dei rischi di partire o restare; gli attivisti e le attiviste di Linea d’Ombra hanno supportato ogni giorno le persone incontrate in Piazza Libertà con cure infermieristiche di base, tramite cui è stato possibile un monitoraggio e una forma di assistenza immediata di persone fragili spesso soltanto di passaggio da Trieste, che restavano in Piazza per il tempo strettamente necessario a ricevere piccole cure prima di rimettersi in viaggio. Con questo lavoro, Linea d’Ombra ha fatto e continua a fare anche da “primo filtro” nel tamponare le situazioni meno gravi e al contempo nel demandare al DonK quelle che invece meritano visite più approfondite – infezioni cutanee, malattie respiratorie infettive, patologie odontoiatriche di lunga data; in tal caso, le persone vengono assistite al Centro Diurno dal DonK, per il cui lavoro il supporto volontario di studenti di medicina si è rivelato fondamentale. Ma nel trattamento di situazioni mediche come la scabbia e altre malattie infettive, soltanto un ambiente pulito, caldo e riparato potrebbe permettere una reale guarigione: condizioni impossibili da creare per persone che intendo proseguire il loro viaggio sostando a Trieste solo per una o due notti.

Accanto all’assistenza di tipo medico, la Rete ha distribuito quotidianamente cibo e vestiario, acquistati dalle associazioni tramite donazioni di cittadini solidali, con una media di circa 50 pasti al giorno in Piazza Libertà.

Le raccomandazioni della rete

La Rete invita le istituzioni a implementare degli interventi finalizzati ad assicurare una forma di assistenza umanitaria (in primis tramite screening medico e ricovero temporaneo in condizioni di sicurezza) e l’accesso immediato al sistema di prima accoglienza a tutte le persone straniere che presentano domanda di asilo a Trieste. Questo diventerebbe possibile se il Comune di Trieste iniziasse a sostenere economicamente il Centro Diurno di via Udine, e se mettesse in campo delle risorse umane ed economiche per rafforzare quanto già costruito dalla Rete solidale, tuttora quasi totalmente a carico delle associazioni di volontariato (costi degli interventi e del personale, mediazione linguistica, strumentazione); inoltre, la Rete ritiene necessario un aumento dei posti di accoglienza notturna, per raggiungere almeno 100 posti letto giornalieri da destinarsi a qualunque persona in condizioni di bisogno, senza distinzioni, e chiede di predisporre uno spazio di almeno 300 posti dedicato specificamente all’accoglienza dei richiedenti asilo. Inoltre, la Rete chiede alla Prefettura di Trieste di rendere sistematiche le procedure di trasferimento e ricollocazione dei richiedenti asilo che hanno presentato la loro domanda a Trieste, di modo da non appesantire gli spazi nati per sostenere altre categorie di persone in stato di bisogno, quali i locali senza fissa dimora. Quanto alle formule di accoglienza possibili, la Rete chiede alla Prefettura competente di evitare la creazione di grandi hotspot, luoghi di accoglienza concentrazionaria dalla definizione ambigua, strutture di detenzione di fatto, e di rafforzare invece il sistema CAS secondo un modello di accoglienza diffusa (peraltro già consolidato a Trieste); infine, la Rete chiede al Comune di Trieste di ampliare le strutture SAI, progetti che, essendo in capo alle amministrazioni comunali, metterebbero le persone accolte nelle condizione di rapportarsi davvero con il territorio e di giungere a una reale integrazione.

Conclusioni

Gianfranco Schiavone, co-autore del Rapporto e presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà, ha definito l’aumento degli arrivi delle persone migranti a Trieste “un’emergenza artificiale”. Se si guardano i dati relativi all’intero 2022 e ai primi mesi del 2023, si riscontra ogni giorno una media di una dozzina di richiedenti asilo e di una quarantina di migranti “in transito”, ovvero intenzionati richiedere asilo nei paesi del nord Europa: si tratta di numeri assolutamente gestibili. È invece nell’interesse della classe politica innescare nell’opinione pubblica la percezione di un’ondata inarginabile, a Trieste come in Italia.

Fabbricare a tavolino la “straordinarietà” del fenomeno consente alle istituzioni di evitare una presa in carico sistematica degli arrivi e di demandare a organi meramente esecutivi la gestione del fenomeno migratorio. In questo modo, quando va bene la gestione del fenomeno viene ridotta al mero espletamento di pratiche giuridiche nelle Questure, e le persone migranti spariscono dietro la burocrazia statale; quando va male, le persone vengono illegittimamente caricate su furgoni e riconsegnati alla Slovenia. Nell’intera regione del Friuli Venezia Giulia viene sempre meno il modello dell’accoglienza diffusa, perché implica un radicamento nel territorio e una precisa volontà di integrazione, dalla quale la politica si solleva in favore dei centri di accoglienza straordinaria.

Rossella Marvulli

Ho conseguito un master in comunicazione della scienza. Sono stata a lungo attivista e operatrice nelle realtà migratorie triestine. Su Melting Pot scrivo soprattutto di tecnologie biometriche di controllo delle migrazioni sui confini europei.