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La CEDU condanna l’Italia a risarcire una minore straniera non accompagnata per le condizioni di accoglienza

ASGI e Intersos avevano promosso il ricorso: una sentenza di estrema attualità

Foto: Claudio Fontana

In data 31 agosto 2023 la Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) ha condannato l’Italia per non aver garantito adeguata accoglienza e tutela ad una ragazza minorenne originaria del Ghana, vittima di precedenti violenze nel paese di origine ed in Libia, violando la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia.

Una sentenza molto importante e di estrema attualità alla luce delle violazioni che subiscono moltissimi minori stranieri non accompagnati che arrivati in Italia sono accolti in strutture totalmente inadeguate per la loro età.

«Risulta inaccettabile che minori e persone vulnerabili debbano subire ulteriori sofferenze in un sistema di accoglienza che non mette al centro la protezione della dignità umana e il superiore interesse dei minori, nonostante vi siano delle normative che da tempo l’Italia ha adottato ed è tenuta ad applicare», hanno dichiarato ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) e l’Ong INTERSOS, organizzazioni che hanno supportato il ricorso della ragazza e raccontato la vicenda:

«Giunta via mare, la minore era successivamente arrivata a Como dove era stata collocata in un centro di accoglienza prefettizio gestito dalla Croce Rossa, non adeguato all’accoglienza di minori vulnerabili. Da qui, presentando un ricorso alla CEDU con procedura d’urgenza, aveva chiesto e ottenuto in via cautelare il trasferimento in una struttura per minori. Merita ricordare che nel periodo 2016 – 2017, la situazione a Como si caratterizzava per un’alta presenza di migranti che tentavano di attraversare il confine italo-svizzero subendo molteplici riammissioni e, per un breve periodo, trasferimenti all’hotspot di Taranto. A partire da settembre 2016 fino a dicembre 2018, i migranti vennero ospitati presso il centro di istituzione prefettizia di Via Teodolinda, gestito dalla Croce Rossa. Minori, donne e persone vulnerabili convivevano, in condizioni di promiscuità, in uno spazio caratterizzato dall’inadeguatezza dei servizi, in condizioni di disagio alleviate dall’intervento delle organizzazioni umanitarie. A partire dal 2016 ASGI è stata presente a Como, attraverso interventi di monitoraggio e di supporto legale in favore di persone vulnerabili e minori, tra cui M.A..»

Le conclusioni della sentenza della CEDU sintetizzano le motivazioni della condanna: ”(…) la permanenza della ricorrente nel centro Osvaldo Cappelletti, che apparentemente non era attrezzato per fornirle un’adeguata assistenza psicologica, insieme alla prolungata inerzia delle autorità nazionali riguardo alla sua situazione e ai suoi bisogni di minore particolarmente vulnerabile, ha costituito una violazione del suo diritto a non essere sottoposta a trattamenti inumani, come tutelato dall’articolo 3 della Convenzione.

La nota di ASGI e Intersos

MSNA privati di adeguata accoglienza e tutela: il caso di M.A.

Ancora minorenne, M.A. era giunta sulle coste italiane nell’ottobre 2016. Pur essendo stata fin da subito identificata come minore straniera non accompagnata, venne ospitata inizialmente presso il Centro “Capitaneria” a Reggio Calabria priva della necessaria assistenza e tutela e in condizioni materiali degradate, in una struttura definita dalla Procura come un luogo non idoneo al suo sviluppo psicofisico, per il sovraffollamento e le pessime condizioni sanitarie.
In questo centro di accoglienza i minori ospitati non beneficiavano di alcun servizio, non percepivano alcun tipo di aiuto né economico né materiale ed erano lasciati privi di tutore.

Trasferita successivamente presso un altro centro per minori, M.A., in ragione del permanere dell’incertezza circa la sua situazione giuridica e dell’assenza di prospettive, decideva volontariamente di uscire dal percorso di accoglienza e di raggiungere il Nord Italia. 

Giunta a Como, la minore fu accolta per otto mesi nel centro di accoglienza prefettizio di Via Teodolinda a Como, vivendo in un container in una situazione di promiscuità con persone adulte di nazionalità diversa senza nessuna effettiva presenza di educatori e/o operatori durante la notte.

A pochi giorni dall’ingresso nella struttura di accoglienza, nel corso della raccolta delle dichiarazioni per la presentazione delle domanda di asilo, la ricorrente affermò la propria condizione di vittima di violenza sessuale. Come riportato nella sentenza una psicologa di Medici senza Frontiere certificò che la ragazza “era stata esposta a molteplici esperienze traumatiche nel corso della sua vita quali abusi, molestie e violenze sessuali“ e che “la permanenza nel Centro, dove i minori non accompagnati venivano accolti insieme agli adulti e dove non esistevano servizi adeguati ai bisogni delle vittime di violenza sessuale, rischiava di aggravare la sua fragile condizione psicologica”. Tanto la procedura di protezione internazionale quanto la richiesta di collocamento in strutture idonee alle vulnerabilità subirono numerosi ritardi a causa della sostanziale inazione dell’originario tutore legale, responsabile della struttura di accoglienza e del successivo tutore nominato a seguito di richiesta al giudice minorile supportata da ASGI ed INTERSOS. Si rese dunque necessario un ulteriore intervento di ASGI per sollecitare, in ben tre occasioni, le istituzioni competenti al trasferimento in una struttura idonea ma, a fronte di mancate risposte M.A. si rivolgeva alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per chiedere l’immediato trasferimento e  la nomina di un nuovo tutore. 

La Corte, in accoglimento parziale delle richieste avanzate, ordinava, il giorno successivo al ricevimento dell’istanza, il trasferimento della minore in una struttura idonea.

Accertata la violazione per trattamenti inumani e degradanti

Accogliendo il ricorso, i giudici di Strasburgo hanno dunque accertato la violazione dell’art. 3 della CEDU ( divieto di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti) condannando l’Italia a un risarcimento dei danni non patrimoniali per quanto sofferto dalla cittadina straniera. 

In particolare, la Corte, richiamando i principi relativi ai minori migranti e ai soggetti vulnerabili e ricordando che “le autorità devono essere particolarmente attente quando hanno a che fare con persone vulnerabili garantendo loro una maggiore protezione, poiché la loro capacità o volontà di presentare un reclamo è spesso compromessa” (par. 38), ha tenuto in considerazione sia le condizioni esistenti nel centro sia  l’inerzia delle autorità a fronte delle molteplici richieste avanzate dalla ricorrente di essere trasferita in un centro per minori nonostante la sua particolare vulnerabilità dovesse ritenersi nota.

Appare utile evidenziare che sia il ricorso d’urgenza che quello ordinario sono stati promossi direttamente dalla ricorrente anche se minorenne e nonostante l’avvenuta nomina di un tutore.
Quanto accaduto a M.A. risulta in contrasto con i diritti e i principi sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che non sono mai derogabili, come  ha già ricordato la Corte nel caso Darboe vs Italia, nemmeno quando il flusso di migranti ai confini esterni dell’Unione Europea diventa particolarmente pressante.

Questa sentenza che riguarda un caso del 2017 evidenzia come la situazione dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati presenti da tempo serie criticità che impediscono di affrontare adeguatamente la tutela di chi arriva in Italia già vittima di abusi e sofferenze causate anche da pericolosi percorsi migratori dove sono stati costretti a vivere in situazioni di vulnerabilità per la mancanza di vie legali.

Risulta inaccettabile che minori e persone vulnerabili debbano subire ulteriori sofferenze in un sistema di accoglienza che non mette al centro la protezione della dignità umana e il superiore interesse dei minori, nonostante vi siano delle normative che da tempo l’Italia ha adottato ed è tenuta ad applicare.