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Bloccata la Mare Jonio appena tornata nel Mediterraneo

Sanzionata dal decreto Piantedosi per non aver consegnato le persone soccorse ai libici

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Venerdì scorso, il 13 ottobre, la nave Mare Jonio è salpata dal porto di Trapani dirigendosi verso il Mediterraneo centrale per la quattordicesima missione di monitoraggio e osservazione in mare. La nave di Mediterranea Saving Humans è l’unica della Flotta Civile battente bandiera italiana. Attiva dall’ottobre 2018, è ritornata in mare dopo l’ennesimo decreto legge varato del governo Meloni che calpesta i diritti delle e dei migranti, ma anche in un momento in cui si assiste a uno stillicidio di naufragi invisibili, decine di ‘piccole’ Cutro e Pylos.

In questo clima «il Governo ha cercato di creare ogni tipo di cavillo burocratico per impedire alla Mare Jonio di tornare in mare – ha dichiarato il giorno della partenza Laura Marmorale, presidente di Mediterranea. In realtà, la volontà politica di fermare l’unica nave della Flotta Civile battente bandiera italiana è chiara nel quadro della propaganda governativa che criminalizza le persone migranti e chi è solidale con loro. E cerca di togliere dal mare testimoni scomodi della collaborazione con Libia e Tunisia. Ma noi non ci siamo arresi ed ora eccoci qui, di nuovo nel Mediterraneo, dove dobbiamo stare». 

Infatti, nonostante settimane di controlli continui da parte delle Autorità italiane (l’ultima ispezione a bordo è avvenuta due ore prima della partenza) e nonostante siano state minacciate conseguenze penali fino all’arresto nel caso in cui non fossero state scaricate tutte “le attrezzature e gli equipaggiamenti di soccorso” dalla nave, la Mare Jonio è riuscita finalmente a prendere il largo.

«Siamo felici di poter tornare a operare in mare. In questi mesi, le navi della Flotta Civile sono riuscite a salvare migliaia persone in pericolo, decine di migliaia sono state soccorse dalla Guardia Costiera italiana o riuscite ad arrivare in autonomia, ma purtroppo da inizio anno oltre 2.300 hanno perso la vita nel Mediterraneo. Nelle prossime ore saremo finalmente di nuovo là dove bisogna stare. Perché anche solo una nave in più fa la differenza tra la vita e la morte in mare», ha aggiunto Sheila Melosu, capomissione a bordo.

La prima operazione SAR

Già il giorno successivo la Mare Jonio ha soccorso 47 persone grazie al lavoro coordinato con Alarm Phone e l’aereo Seabird di Sea-Watch. «Abbiamo ricevuto da loro diverse segnalazioni di imbarcazioni in pericolo nella zona SAR attribuita alla Libia – ha raccontato la capomissione -. Stavamo appunto facendo rotta verso sud in direzione delle ultime posizioni conosciute di questi casi quando, durante i nostri turni di osservazione coi binocoli, a circa 40 miglia nautiche da Lampedusa, abbiamo individuato questa imbarcazione in ferro stracarica di persone. Quando ci siamo avvicinati abbiamo verificato che stava già imbarcando acqua e rischiava di capovolgersi. Abbiamo immediatamente contattato il nostro Centro di coordinamento dei soccorsi l’MRCC di Roma e le Autorità maltesi competenti per l’area, chiedendo loro istruzioni. Di fronte al silenzio di Malta e al concreto rischio che la barca affondasse, abbiamo dovuto procedere al salvataggio di tutte le persone a bordo della Mare Jonio, dove abbiamo potuto prestare le prime cure. A tarda sera MRCC di Roma ci ha comunicato l’assegnazione del porto di Lampedusa come POS per lo sbarco. Le operazioni sul molo dell’isola si sono tranquillamente concluse alle 3 di notte».

Le persone soccorse, tra cui 7 donne, una bambina di sette anni e 16 minori non accompagnati, ha spiegato MSH, «avevano preso il mare da Sfax, in Tunisia, in fuga dalle violente campagne razziste e dalle conseguenti difficili condizioni di vita provocate dal regime autoritario di Kaïs Saïed verso le persone provenienti dall’Africa subsahariana. Le nazionalità delle persone soccorse sono infatti: Burkina Faso, Camerun, Costa d’Avorio, Gambia, Mali, Senegal, Sudan e Sud Sudan». Nonostante un caso di ipotermia, ferite causate dalle lamiere della barca in ferro su cui si trovavano e ustioni provocate dal contatto con la benzina, i naufraghi sono in buone condizioni di salute.

La presidente di Mediterranea ha messo in luce come alla nave Geo Barents di MSF, che ha soccorso 63 persone in pericolo più a sud della Mare Jonio, sia stato assegnato il porto di Genova invece che un più vicino porto siciliano, come avvenuto giustamente nel loro caso con l’assegnazione del porto di Lampedusa. Ha quindi chiesto che finisca l’atteggiamento punitivo del Governo nei confronti delle navi non governative: «Non si possono costringere i naufraghi a ulteriori sofferenze con inutili giorni di navigazione prima dello sbarco. Tutte le navi che soccorrono, siano esse della Guardia Costiera e militari mercantili o della flotta civile, devono poter sbarcare nel più vicino porto utile».

Il secondo intervento SAR

Lunedì 16 ottobre la Mare Jonio è immediatamente ripartita per il Mediterraneo Centrale. Dopo poche ore è stato avvistato dall’aereo Seabird un gommone sovraffollato che rischiava di affondare. L’intervento in serata della nave ha scongiurato un altro naufragio e sono state messe in salvo 69 persone tra cui un’intera famiglia con tre bambini di 7, 5 e due mesi di vita. L’MRCC di Roma ha assegnato il porto di sbarco a Trapani raggiunto dalle Mare Jonio ieri mattina dopo diverse ore di navigazione.

Al termine delle operazioni di sbarco il Comandante e armatore di Mediterranea sono stati convocati in Capitaneria di Porto dove, con Guardia di Finanza e Questura di Trapani, è stato notificato il doppio provvedimento per aver violato il Decreto Legge “Piantedosi” del 2 gennaio 2023: una sanzione fino a 10mila euro e fermo amministrativo immediato della nave per 20 giorni.

Mediterranea ha spiegato che alla Mare Jonio vengono contestati due fatti: «Innanzitutto di non aver ottemperato alle istruzioni dell’MRCC di Roma che, dopo la prima segnalazione dell’imbarcazione in pericolo, ci aveva indicato di contattare e metterci agli ordini del cosiddetto “centro di coordinamento del soccorso marittimo libico“». In secondo luogo, ha sottolineato, «di non aver richiesto alle stesse Autorità Libiche l’assegnazione di un porto di sbarco».

In pratica, viene pesantemente sanzionata per essersi rifiutata di consegnare 69 tra donne, uomini e bambini, appena strappati al rischio della morte per annegamento in mare, a quelle milizie che li avrebbero riportati nei campi di detenzione da cui fuggivano.

Photo: Mediterranea

«Sosteniamo con convinzione la scelta del nostro Comandante e della nostra Capomissione – ha spiegato Alessandro Metz, armatore sociale della nave. La cosiddetta guardia costiera libica è sotto inchiesta davanti alla Corta Penale Internazionale, responsabile anche recentemente di violenti comportamenti che hanno messo in pericolo la vita delle persone in mare, diversi suoi ufficiali sono considerati trafficanti o loro complici e la Libia è ritenuta dalle Nazioni Unite e dalla Commissione Europea un porto e un Paese ‘non sicuro’, proprio per le innumerevoli violazioni dei diritti umani di cui le sue autorità si rendono quotidianamente responsabili».

«Non saremo mai complici di crimini contro l’umanità – ha aggiunto la presidente Laura Marmorale -. Oggi festeggiamo la vita, il migliore futuro possibile in Europa per le persone che abbiamo soccorso e sbarcato al sicuro, festeggiamo il sorriso di speranza delle bambine e dei bambini a bordo. È questo ciò che conta e affrontiamo perciò a testa alta le conseguenze di ciò che abbiamo fatto. Siccome non è altro che il rigoroso rispetto del diritto marittimo e internazionale, oltre che della nostra etica di donne e uomini liberi, ricorreremo a ogni livello contro questi ingiusti provvedimenti di blocco della nostra nave».

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