Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Emanuela Zampa
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«Libia e Tunisia: i due guardiani della Fortezza Europa»

Il report del dibattito da "A Bordo!", il festival di Mediterranea

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Detenzioni arbitrarie, torture, stupri, violenze, omissioni di soccorso, respingimenti e deportazioni. E’ ciò che subiscono le persone migranti che partono dalla Libia e dalla Tunisia, nella scelta esercitare la propria autodeterminazione e la libertà di movimento. I memorandum firmati dai governi italiani e dall’UE con quello libico e tunisino sono venduti come la soluzione alla gestione dei flussi migratori e la riduzione degli arrivi, ma in realtà rappresentano la negazione della libertà di movimento delle persone, e legittimano i governi tunisini e libici a violare in ogni modo diritti fondamentali.

Il dibattito ha riguardato i recenti sviluppi politici in questi due paesi e le conseguenze dei memorandum vissuti sulla pelle delle persone migranti, raccontate da attivistə e testimoni direttə.

Ha aperto il dibattito Beppe Caccia, armatore e capo missione di Mediterranea, che ha sottolineato l’importanza di dare spazio nel dibattito pubblico al punto di vista delle soggettività migranti, di chi ha subito in prima persona gli effetti degli accordi con Libia e Tunisia. Perché, su questa tragedia umanitaria che si perpetra da vent’anni, di punti di vista si tratta. Di decenni di politiche migratorie mortifere, il vero problema non sono solo gli errori commessi, ma le premesse profonde di tali politiche, ossia l’irreparabile origine da un punto di vista coloniale e razzista. Secondo Caccia, le idee di matrice coloniale hanno reso il Mediterraneo, per secoli “frontiera liquida” e luogo di incontri di culture, una barriera di confine. Ciò che l’attivismo contesta è esattamente il razzismo intrinseco delle politiche migratorie attuali, che porta inesorabilmente all’idea che, anche in situazioni disperate in mare, ci siano vite che valgano più di altre. A questo proposito, l’intervento si è concluso citando l’esempio dell’iperattivismo della Guardia Costiera maltese, nota per i numerosi casi di omissioni di soccorso nei confronti di migliaia di persone migranti, nel prodigarsi per organizzare il soccorso di un’imbarcazione con a bordo un cittadino statunitense.

E’ poi intervenuto David Yambio, portavoce del movimento Refugees in Libya e testimone delle proteste tenutesi di fronte alla sede dell’UNHCR a Tripoli. David ha iniziato definendo il Memorandum con la Libia un vero e proprio “atto di terrorismo”, che favorisce la tortura, lo stupro e ogni altra violazione dei diritti delle persone migranti in Libia. Violenze e abusi finanziate dai paesi europei, di cui David e le altre persone migranti si fanno portavoce in prima persona, attraverso il trauma vissuto sui propri corpi.

PH: Emanuela Zampa

Dopo aver mostrato al pubblico un video che documenta le torture che le persone subiscono nei centri di detenzione in Libia, David ha invitato ad una riflessione su come possano i paesi europei definirsi democrazie, pur ignorando ciò che succede subito al di là dei propri confini. In primis l’Italia, incapace di assumersi le responsabilità per gli accordi criminali con Libia dal 2017, e che adesso sta replicando in Tunisia. Infine, David ha citato il massacro avvenuto a Melilla il 21 Giugno 2022, di cui Mohamed Doud è stato testimone oculare.

Mohamed Daoud è arrivato in Italia appena due settimane prima del dibattito, dopo essere stato in Tunisia, dopo il Marocco. Non se la è sentita di tenere un discorso circa la sua personale esperienza, ma ha rinnovato il suo sostegno a favore della libertà di movimento delle persone migranti e ribadito la necessità di mantenere viva la militanza a favore di essa.

PH: Arroi Baraket (Manifestazione a Tunisi, 14.07.23)

E’ poi intervenuta un’attivista tunisina di Alarm Phone, un’iniziativa che si offre come contatto di emergenza in supporto alle operazioni di salvataggio. Hiba sostiene che il memorandum con la Tunisia rappresenta il supporto internazionale in continuità alle violenze che si protraggono in Tunisia da 30 anni, quando è stato imposto l’obbligo di un visto d’ingresso alle persone sub sahariane entranti.

L’attivista ha poi raccontato della grave crisi economica che sta attraversando il paese, dove una porzione della popolazione non ha accesso all’acqua, cibo e ai beni primari. Inoltre, ha parlato di cosa stia accadendo in seguito al discorso del presidente tunisino Kaïs Saïed del 21 febbraio 2023, che ha reso le persone sub-sahariane in Tunisia il capro espiatorio della gravissima crisi economica, la mancanza di lavoro, e di una presunta “sostituzione etnica” nel paese.

Questa campagna governativa ha legittimato azioni violente e detenzioni arbitrarie da parte della polizia. Inoltre, parte della popolazione tunisina ha iniziato a commettere atti di ostilità, come respingere le persone sub-sahariane dai mezzi pubblici, e attaccare in massa le loro case, commettere pestaggi e stupri, che restano del tutto impuniti.

Secondo l’attivista, ciò ha spinto moltissime persone a lasciare il paese e partire per l’Europa, e la Guardia Costiera tunisina che intercetta le imbarcazioni è progressivamente diventata più violenta, arrivando a provocare essa stessa i naufragi creando vortici in acqua con grossi motori, e dando la colpa al mal tempo. Inoltre, spesso chiede alle persone del denaro, minacciandole di non effettuare i salvataggi se non li riceve.

Dopo il memorandum si è infine giunti ad un “nuovo livello” di violenza. Dalle imbarcazioni intercettate, o dalle stesse loro case, le persone vengono prelevate e portate in mezzo al deserto, dove non c’è nulla ed è pericoloso anche per via dei gruppi terroristi. Anche se le persone riescono dal deserto a raggiungere dei villaggi, le autorità li portano al confine con la Libia, che li respinge, creando questo raccapricciante “ping pong”.

Infine, è intervenuta Valentina Zagaria, ricercatrice alla Central European University, che ha portato la testimonianza di alcune pratiche di solidarietà e resistenza al governo tunisino dal basso. Valentina ha raccontato di diverse proteste e mobilitazione avvenute a Zarzis, una città costiera del sud-est della Tunisia, non lontana dal confine con la Libia. Proprio a Zarzis si è svolta una commemorazione organizzata dai parenti delle vittime delle persone scomparse nel Mediterraneo.

La città costiera è diventata in qualche modo il simbolo della resistenza da quando un pescatore della zona, Shamseddine Marzoug, ha iniziato a costruire negli anni un cimitero per le persone ritrovate sulla costa sud-est della Tunisia. Come Shamseddine, ci sono tanti altri attivisti e attiviste a Zarzis che sono testimoni delle violazioni dei diritti umani e cercano di reagire. Insieme, continuano a richiedere giustizia per i morti nel Mediterraneo e nel Sahara, e organizzano azioni di protesta, come l’occupazione dei porti. In occasione della commemorazione i cittadini di Zarzis hanno accolto le famiglie delle vittime, provenienti da Mali, Senegal, Niger, Algeria e Marocco, dando esempio di resistenza alle politiche razziste del governo.

Francesca Reppucci

Laureata nel corso di studi magistrale di Human Rights and Multi-level governance presso l’università di Padova, attualmente lavoro come operatrice sociale in un progetto di accoglienza straordinaria per richiedenti asilo.