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La Corte Suprema del Regno Unito giudica illegale l’accordo con il Ruanda

Il Ruanda non è un paese sicuro dove trasferire i richiedenti asilo

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Mercoledì 15 novembre la più alta Corte del Regno Unito ha bloccato almeno per un periodo la volontà politica del governo di deportare i richiedenti asilo in paesi dell’Africa o in paesi extra Ue che non possono garantire per diversi motivi le tutele previste dal diritto internazionale.

La Corte ha infatti stabilito che il Ruanda non è un Paese terzo sicuro in cui inviare i richiedenti asilo. Secondo tutte le organizzazioni che si battono per i diritti dei rifugiati e per i diritti fondamentali si tratta di un’enorme vittoria, un risultato ottenuto anche per merito della mobilitazione diffusa e che proteggerà i diritti di innumerevoli persone giunte nel Regno Unito in cerca di sicurezza e accoglienza.

L’accordo tra Regno Unito e Ruanda era stato fortemente voluto nell’aprile del 2022 dall’allora primo ministro Boris Johnson (dimessosi poi il 9 giugno 2023 per aver mentito alla Camera dei Comuni in relazione ai festini a Downing street nel corso del lockdown). Nella pomposa conferenza stampa del 14 aprile 2022 l’ex premier disse: «Tutti coloro che raggiungono illegalmente il Regno Unito, così come coloro che sono arrivati illegalmente dal primo gennaio, possono essere trasferiti in Ruanda. […] Ciò significa che i migranti economici che approfittano del sistema d’asilo non potranno rimanere nel Regno Unito, mentre quelli che ne hanno veramente bisogno avranno […] l’opportunità di costruirsi una nuova vita in un paese dinamico».

Quel giorno il Segretario di Stato per gli Affari Interni e il Ministro Ruandese per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale illustrarono l’accordo di cooperazione in materia di sviluppo economico e migrazioni, utilizzando la solita retorica – tanto cara anche al governo italiano – del contrasto all’immigrazione illegale, della necessità di controllare le frontiere e di reprimere le organizzazioni di trafficanti.

Tuttavia, solo due mesi dopo, il 16 giugno 2022, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) bloccò, insieme alla proteste di diverse organizzazioni, il volo che avrebbe dovuto deportare i primi sette richiedenti asilo verso il paese africano.

Le motivazioni alla base di quella decisione solo le stesse riprese mercoledì dalla Corte Suprema e prima ancora dalla Corte di Appello: ci sono motivi sostanziali per ritenere che i richiedenti asilo deportati in Ruanda corrano il rischio reale di essere rimpatriati nel loro Paese d’origine dove potrebbero subire trattamenti inumani e degradanti. Ciò porterebbe il Regno Unito a violare gli obblighi di non respingimento (non-refoulement) previsti dal diritto internazionale e nazionale.

Emilie McDonnell di Human Rights Watch spiega che «la Corte Suprema ha richiamato l’attenzione sulla pessima situazione del Ruanda in materia di diritti umani, tra cui le minacce ai ruandesi che vivono nel Regno Unito, oltre alle esecuzioni extragiudiziali, alle morti in custodia, alle sparizioni forzate, alla tortura e alle restrizioni ai media e alle libertà politiche».

L’esperta di diritti umani e diritto internazionale ricorda che nel 2022 Human Rights Watch scrisse al Ministro degli Interni del Regno Unito, chiarendo che il Ruanda non poteva essere considerato un Paese terzo sicuro, date le continue violazioni dei diritti umani. «L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha fornito prove schiaccianti dei problemi sistemici del sistema di asilo ruandese, della potenziale mancanza di indipendenza della magistratura e degli avvocati e del tasso di rifiuto del 100% per le persone provenienti da zone di conflitto, in particolare Afghanistan, Siria e Yemen, probabili Paesi di origine dei richiedenti asilo trasferiti dal Regno Unito. L’UNHCR ha inoltre presentato almeno 100 accuse di respingimento, una pratica che è continuata anche dopo la conclusione dell’accordo con il Regno Unito».

La linea del governo inglese è stata bocciata in tutto e per tutto dalla Corte Suprema, anche nella parte relativa al monitoraggio dell’accordo: il tribunale ha dichiarato che “le intenzioni e le aspirazioni non corrispondono necessariamente alla realtà“.

«La Corte ha ritenuto che il Ruanda non abbia la capacità pratica di determinare correttamente le richieste di asilo e di proteggere le persone dal respingimento», aggiunge Emilie McDonnell. «Questo dovrebbe essere un monito per gli altri governi che stanno pensando di esternalizzare e spostare le proprie responsabilità in materia di asilo su altri Paesi».

Di sicuro questa sentenza metterà in difficoltà anche il governo austriaco che sta pensando di stringere un accordo simile con il Ruanda, ma anche lo stesso governo italiano che circa 10 giorni fa ha stipulato un protocollo illegale e disumano con l’Albania.

Redazione

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