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Omessa valutazione da parte della Commissione della protezione speciale: per il tribunale va riconosciuta sulla base di ben quattro criteri

Tribunale di Lecce, decreto dell'8 novembre 2023

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La decisione del Tribunale di Lecce, sezione specializzata, resa su un ricorso presentato in favore di un cittadino albanese che aveva chiesto la protezione internazionale. Il cittadino albanese vive Italia dal 2009 unitamente alla famiglia, costituita dalla moglie e dai tre figli, tutti iscritti alla scuola dell’infanzia. In Italia vive anche il fratello sposato con cittadina italiana e padre di una bambina cittadina italiana.

In data 12/10/2021, si recava presso la Questura di Rieti per avanzare richiesta di protezione internazionale, all’uopo depositava la dichiarazione del 30/09/2021 di ospitalità del fratello presso la propria abitazione in un comune delle provincia di Rieti, quale luogo di dimora sul territorio.

Nell’occasione la Questura di Rieti, espletati i rilievi foto dattiloscopici, verificava l’esistenza di un decreto di espulsione con divieto di reingresso, pertanto adottava nei suoi confronti un decreto di trattenimento presso il CPR di Brindisi sul “presunto” ma non giustificato presupposto di un pericolo di fuga, in realtà adottava un vero e proprio provvedimento di trattenimento pre-espulsivo.

In data 21.10.2021 si teneva l’audizione personale del ricorrente innanzi alla Commissione Territoriale di Lecce, la quale decideva di non riconoscere alcuna forma di protezione, sebbene, la moglie ed i figli, uno dei quali è nato a Rieti, vivano da diversi anni in Italia, il nucleo fosse perfettamente inserito nel contesto cittadino, i bambini fossero iscritti alla scuola elementare e alla scuola primaria dell’infanzia, e la sussistenza di una promessa attività lavorativa a tempo indeterminato, presso all’azienda del fratello, titolare di un’impresa boschiva, non essendoci a suo carico alcun precedente penale o alcun pregiudizio di polizia.

Avverso il diniego veniva proposto ricorso rilevando in particolare l’omessa valutazione da parte della commissione del riconoscimento della protezione speciale.

Il Tribunale all’esito di una meticolosa istruttoria ed alla audizione personale è giunto alla conclusione del riconoscimento della natura residuale ed atipica di una forma di protezione: “Secondo il diritto vivente, la protezione umanitaria ha natura residuale e atipica nell’ambito del sistema pluralistico della protezione internazionale di derivazione europea” (cfr. n.8571/2020, n.21123/2019; 13079/2019, n.13088/2019; n.13079/2019) sottolineando come proprio “l’apertura e la residualità” di tale misura di protezione non risultino compatibili con “tipizzazioni” di alcun genere (cfr. Cass., n.13079/2019, n.13096/2019). Ed è stato, altresì, affermato il rilievo centrale che assume il c.d. giudizio di comparazione, ossia la valutazione comparativa tra il grado di integrazione sociale effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente nel Paese di origine (…)

Non altra lettura può esser data infatti alla esplicita codificazione in quest’ultima norma del “diritto al rispetto della propria vita privata e familiare” del richiedente ed alla valutazione dei fondati motivi, al vertice dei quali è posta “la violazione sistematica e grave di diritti umani” con l’indicazione specifica dei quattro criteri di valutazione ai quali deve attenersi l’interprete:

  1. natura ed effettività dei vincoli familiari dell’interessato;
  2. il suo effettivo inserimento sociale;
  3. la durata del suo soggiorno sul territorio nazionale;
  4. l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine”.

A giudizio del tribunale, il ricorrente “deve ritenersi che egli abbia raggiunto un buon livello di integrazione nella realtà locale ed una discreta capacità di inserimento nel mondo del lavoro prevedibilmente destinata a divenire stabile e continuativa.

Inoltre va pure tenuto in considerazione che il ricorrente vive in Italia con la propria famiglia, quindi insieme alla moglie e ai tre figli minori, uno dei quali nato in Italia, frequentanti gli istituti scolastici nel comune di residenza. Orbene, nel valutare i presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno ex art. 5 co. 6 TUI, assume rilevanza decisiva la circostanza che il ricorrente abbia dei figli nati in Italia. Ciò posto, la tutela dell’unità familiare e dell’esercizio della responsabilità genitoriale da parte di entrambi i genitori, riconosciuto a livello costituzionale (artt. 2, 3 e 29 Cost.) sia a livello sovranazionale (art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dell’uomo e delle libertà fondamentali e art. 33 della Carta Europea dei diritti fondamentali), integra, senza dubbio, un diritto fondamentale meritevole di protezione venendo, del resto, in rilievo, il rischio di un “danno attuale da perdita di relazione affettive”.

Pertanto, alla luce della situazione personale del richiedente – il quale si è allontanato dal suo Paese da molti anni, con conseguente sradicamento dalla situazione socioeconomica ivi esistente, certamente suscettibile di determinare, in caso di rientro, una difficoltà di reinserimento sociale e lavorativo – può ritenersi che il medesimo versi in una condizione di vulnerabilità quantomeno temporanea, poiché in caso di rientro, è elevato il rischio che veda compromessi alcuni fondamentali diritti della persona, come quello alla dignità“.

In conclusione, il Tribunale ha riconosciuto che il ricorrenteha il diritto di ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art. 5 comma 6 ed art. 19 commi 1. e 1.1. del D.lgs. n.286/1998, e 32 comma ter del D.Lgs n.25/2008, impediscono il rientro del richiedente, nel suo paese di origine, e, per l’effetto, accerta e dichiara il diritto dello stesso al rilascio di un permesso di soggiorno per “protezione speciale”; dispone la trasmissione del presente decreto al Questore ex art. 19 comma 1.2. del D.Lgs. n. 286/1998 per rilascio del permesso di cui innanzi“.

Si ringrazia l’Avv. Uljana Gazidede per la segnalazione e il commento.


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