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Ph: Silvia Di Meo (archivio)
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Rivolta al CPR di Milo-Trapani: la struttura resa inagibile al 90%

Le madri tunisine: «Sostenete questa lotta per la libertà»

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Sbarre massicce e muri di cemento, alti almeno 4 o 5 metri, nascondono e segregano all’interno della struttura decine di persone. Ad una prima vista potrebbe sembrare un vero e proprio carcere, ma in realtà si tratta del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Milo, che sorge in un quartiere periferico di Trapani. Da qualche giorno il CPR è dichiarato dalle autorità inagibile al 90% a seguito di una rivolta scoppiata all’inizio della settimana scorsa. Già nel marzo 2023, una accesa protesta aveva dato origine ad un rogo nella struttura, che aveva portato ad una riduzione dei posti da 104 a poco più di 40 1. Le motivazioni alla base di queste rivolte sono molteplici: alla totale privazione di libertà si aggiungono condizioni di vita riprovevoli. Basti pensare che a fronte della capienza massima di 40 posti, prima della protesta le persone recluse erano circa 140. Ora ne restano agibili soltanto 10, ma sono ancora 57 le persone trattenute all’interno. Altri 50 detenuti sono stati trasferiti al CPR di Pian del Lago, Caltanissetta2.

Nel CPR di Milo, hanno spiegato i reclusi, se non si è in contatto con un’avvocata/o prima di essere trattenuti, diventa impossibile provare a chiedere asilo e si è in balia dell’esercizio arbitrario del potere burocratico, che può allungare i tempi di permanenza fino a 18 mesi e soprattutto non permette un pieno accesso al diritto di difesa legale. Questa condizione di non tutela comporta un’esposizione maggiore ai soprusi e agli abusi. La maggior parte delle persone trattenute sono tunisine: come è noto la Tunisia è stata inserita dall’Italia nella lista dei cosiddetti “Paesi sicuri” e questo implica una procedura accelerata con maggiori probabilità di essere deportati, in alcuni casi anche piuttosto rapidamente. I dati dei rimpatri forzati disponibili confermano questa tendenza: al 31 agosto 2023 i tunisini riportati con voli charter che partono per lo più dalla Sicilia erano 1.441, nel corso del 2022 sono stati 2.308 3.

Le persone recluse hanno denunciato altre violazioni dei loro diritti fondamentali: i contatti con il mondo esterno sono estremamente difficili e sorvegliati. Nonostante abbiano diritto ad una libera corrispondenza, i detenuti non possono tenere i propri telefoni cellulari. Devono chiedere a operatori/operatrici e polizia la possibilità di fare una chiamata che in molte occasioni viene negata, perché questi sostengono semplicemente di non avere tempo. Ad ogni modo una chiamata dal telefono del centro comporta spesso una spesa considerevole: anche 5 euro per pochi minuti. I pasti, appaltati dall’ente gestore a un servizio di catering esterno, sono spesso serviti freddi e in porzioni insufficienti; le docce tiepide, il riscaldamento in queste settimane del tutto assente. In aggiunta, la somministrazione di psicofarmaci e calmanti sarebbe prassi comune, persino di nascosto all’interno dei pasti. Le proteste, come spesso accade, sono state represse dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa con cariche, uso di gas lacrimogeni e idranti. Inoltre, molti media mainstream, hanno riportato i fatti tralasciando totalmente il contesto, senza mettere in luce le ragioni dei reclusi, con l’intento di criminalizzare le persone invece che indagare le condizioni imposte dalla detenzione amministrativa in tutta Italia. 

Come già accennato, nella giornata di giovedì 25 gennaio diverse persone sono state trasferite al CPR di Caltanissetta, anch’esso con posti ridotti perché una parte è stata resa inagibile da diversi atti di ribellione. Il giorno successivo anche nella struttura di Caltanissetta è scoppiato un incendio con l’intervento di vigili del fuoco e polizia a reprimere le proteste. 

Sempre il 25 gennaio, altre persone di origine tunisina sono state invece deportate attraverso un volo charter privato. La macchina espulsiva dai CPR siciliani verso la Tunisia rappresenta, infatti, un sistema collaudato: ogni settimana, il martedì e il giovedì, partono regolarmente dall’aeroporto di Palermo i voli verso il paese nordafricano.

Altri reclusi, provenienti dall’Africa subsahariana, sono stati al contrario rilasciati, mettendo in luce l’ipocrisia di tutto questo sistema: detenuti per essere espulsi, ma rilasciati perché inespellibili. Alcuni dentro, altri fuori, altri ancora buttati fuori dal paese: tutti accomunati da una discriminatoria privazione della libertà personale e dalla profonda sofferenza causata dalla reclusione in veri e propri lager.

Le 57 persone ancora dentro al CPR di Milo, eccetto una di origine egiziana, sono tutte tunisine. Le condizioni del trattenimento sono ignobili e punitive: lasciate “all’aperto” e prive di risorse adeguate, senza coperte o sacchi a pelo, costrette da giorni a dormire direttamente a terra senza materassi e senza un tetto sulla testa. Le persone sono inoltre ammassate in una parte estremamente ridotta della struttura, progettata per ospitarne al massimo una decina. Qui le condizioni igienico-sanitarie sono precarie, aggravate dalla presenza di feriti a seguito della repressione della polizia.

A sostegno delle persone che si sono rivoltate alla ingiusta detenzione e che sono ancora rinchiuse nel CPR ci sono state diverse iniziative, come presidi all’esterno della struttura 4 e comunicati di solidarietà. Tra questi, di grande rilevanza è il testo scritto 5 dalle attiviste tunisine, madri e sorelle di persone migranti disperse o decedute alla frontiera del Mediterraneo: invitano i e le solidali a rimanere al fianco di questi giovani in lotta per la libertà e affermano che rimanere al loro fianco è un dovere per sostenere tutte le persone che attraversano il Mediterraneo. Mentre scriviamo tre persone sono state tratte in arresto in quanto avrebbero agito a volto scoperto.

Il collocamento dei CPR in Sicilia non è sicuramente da considerare casuale. Se da un lato la collocazione nel Mediterraneo la rende una posizione strategica per le deportazioni, dall’altro, l’impoverimento coloniale del territorio e l’emigrazione forzata da territori periferici come Trapani e Caltanissetta è notevole. A questi due luoghi detentivi se ne aggiunge un terzo, ancora da inquadrare, almeno dal punto di vista normativo: si tratta del CPRI di Modica Ragusa, un nuovo strumento che il governo vorrebbe utilizzare per “accelerare” le operazioni di espulsione e rimpatrio. Si può quindi parlare di un’isola che diviene per volontà politica dello Stato e dell’Unione europea un luogo di detenzione a cielo aperto, perfetto per continuare a “nascondere” questi centri. 

I CPR italiani, fino ad ora, sono stati chiusi temporaneamente o definitivamente solo grazie alle proteste delle persone che dal loro interno hanno lottato per i loro diritti. Le uniche a contrastare frontalmente queste strutture, diminuendo la loro capacità ricettiva fino a renderle in alcuni casi del tutto inagibili.

Queste condizioni e dinamiche sono sistematiche in tutti i CPR d’Italia, perché connaturate alla stessa detenzione amministrativa: espressione di un razzismo istituzionale che priva della libertá personale in maniera discriminatoria, che necessita di strutture impermeabili e inaccessibili per nascondere le violenze e i soprusi che genera. Per questo i CPR non sono riformabili e la detenzione amministrativa va abolita. Un costante monitoraggio è necessario per conoscere e informare su quanto avviene all’interno dei centri, ma la battaglia politica deve portare alla loro totale e definitiva chiusura. 

Ma insieme ai CPR vanno smantellati tutti i dispositivi normativi e fisici che privano della libertà personale le persone migranti. E più in generale, occorre decostruire l’intero apparato normativo riguardante l’immigrazione, poiché così com’è pensato, contribuisce a generare sofferenze, razzismi, sfruttamento e morte.

  1. Incontro istituzionale presso il Tribunale di Trapani e visita del Garante regionale Santi Consolo al CPR di Milo e al carcere di Trapani del 7 settembre 2023
  2. Visita al CPR di Milo, Telesud 30 gennaio 2024
  3. Dati Eurostat.
  4. Saluto al CPR di Trapani dopo l’ultima rivolta, sicilianoborder
  5. Attiviste tunisine: solidarietà ai trattenuti nel CPR di Trapani, tratto da Mem.med – Memoria mediterranea

Redazione

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