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Immagine di Sabrina Di Felice
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In cerca di te. Solo me ne vo’ …

Dimmi qual è la parte giusta del mondo

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Tirò un lungo e profondissimo respiro, ma non si mosse.

Il mento attaccato al petto, la testa gli era rotolata sulla spalla come un macigno. Era una pena al cuore guardarlo. Se fosse esistita una bilancia per misurare la tristezza dentro quel suo sguardo sconsolato gliene avrebbero trovata a quintali, quasi avesse la calamita per attirare su di sé tutte le disgrazie di questo mondo. Il viso giovane mostrava i segni di una sofferenza antica e certamente ingiusta per la sua età, che però non oscurava, al contrario addolciva, i bei lineamenti marcati.

Di quel suo aspetto tribolato Ali San non andava fiero. Si sentiva spesso ripetere che le cicatrici “dell’anima” ti ricordano chi sei, parlano di te e aiutano a non dimenticare, ma lui non la pensava così e rifiutava l’idea di essere condannato a portarsi dentro qualcosa di indelebile e immodificabile. Aveva un approccio nomade alla vita, un po’ per convinzione e un po’ per necessità. Evitava come poteva situazioni e circostanze che promettevano di durare troppo a lungo, e la sola idea di dover mettere radici in un posto definito gli creava una certa agitazione. Non tratteneva mai a sé nessuno, ma preferiva lasciare le persone libere di andare dove volessero, anche se questo aveva significato spesso lontano da lui e se così facendo correva a volte il rischio di dimenticarle. La sua non era però superficialità, né paura di poter essere abbandonato, piuttosto un sano rapporto con lo scorrere prezioso del tempo che gli impediva di tirar le cose troppo per le lunghe. Quanto fosse importante sentire il movimento del tempo, Ali San era stato costretto a realizzarlo molto presto a sue spese, senza il privilegio di concedersene la lenta scoperta come di solito accade alla maggior parte delle persone. E alla fine era stato un bene: questa sua percezione chiara del tempo era l’unico lato positivo nel mare di attese e decisioni – di altri – che gli avevano fino ad allora scandito l’esistenza. Gli piacevano poi gli spazi immensi e aperti, e guardare verso dove non si vede la fine perché gli metteva addosso un ineguagliabile senso di calma.

Era dunque chiaro come Ali San non fosse proprio il tipo da vantare le sue presunte cicatrici “dell’anima” – o come diavolo le chiamavano. Al lato eroico della sua guerra personale non ci teneva né voleva medaglie da appendere al petto, e avrebbe difatti preferito di gran lunga una vita meno scombinata e più tranquilla senza portare addosso i segni di una battaglia che non aveva scelto di combattere. A chi gli propinava la teoria della sofferenza che un giorno ti sarà utile e del sopporta in silenzio che è meglio, lui rispondeva che la storia che doveva ringraziare la vita – questo fattore X che in verità tanto X poi non è, ché le politiche degli uomini controllano anche quello – e che doveva religiosamente dire grazie a tutti i costi per i patimenti che aveva subito, proprio non gli andava giù. Odiava profondamente le pacche consolatorie sulla spalla, il loro finto buonismo e tutto lo svilimento che gli provocavano. Ne aveva abbastanza di quel guardare sempre al dopo andrà meglio e scoprire all’ultimo che c’è sempre un altro dopo, e che il domani non arriva mai veramente e non si può mai toccare. Certo, che male avesse fatto per ritrovarsi in quella che per i tipi come lui era sempre la parte sbagliata del mondo, non riusciva a evitare di chiederselo, pur sapendo che la domanda era retorica. Aveva smesso di maledire il posto in cui era nato, su quella cosa lì nessuno poteva farci niente, ma il bello era che anche adesso che si trovava dall’altra parte del globo, quella che chiamavano giusta, mica andava tanto meglio. Più ci pensava e più la questione gli risaliva su come un rigurgito, un po’ perché era troppo giovane per rassegnarsi – anche se, in verità, aveva tanti amici che si erano già arresi all’ordine delle cose – e un po’ per un senso innato e profondissimo della giustizia che aveva conservato incredibilmente intatto. Ed era sempre questa idea di giustizia che lo spingeva a fare il possibile per rifiutare l’oppressione dei fatti che accadevano, che gli provocava un’insofferenza cronica per la sofferenza gratuita e per ogni forma di martirio che non serviva letteralmente a niente. Altro che imparare la lezione, altro che morale. Era come se a reagire con lui all’insulto delle circostanze che gli pioveva intorno fosse tutto il suo sistema immunitario. Come un guerriero moderno di città, con il corpo che gli si era appesantito a fargli da armatura e la barba troppo cresciuta, faceva la sua battaglia senza guerra e senza rabbia, cercando qualcosa che nemmeno lui sapeva cos’era ma che sperava semplicemente di saper riconoscere, quando se la sarebbe trovata davanti.

Come tutte le domeniche, Ali San si sentiva parecchio stanco. Aveva fatto tardi la sera prima a lavoro, una volta rientrato a casa s’era messo a guardare il telefono fino a notte fonda e perciò ora vagava dal divano alla cucina, senza portare a termine niente di quello che nel suo sabato del villaggio si era prefissato di fare. Mentre la tabella di marcia s’andava a farsi benedire, lui rimuginava. Non capiva. Non capiva perché quella ragazza lo cercava. A dire il vero continuava con insistenza a cercarlo da un po’, e lui non si spiegava quell’interesse ostinato per uno dallo sguardo tanto sconsolato, che finora aveva concluso poco nella vita – o almeno, a lui pareva così –, e che passava la domenica a ciondolare da una stanza all’altra perso in pensieri probabilmente nemmeno troppo profondi. Non capiva cosa volesse da lui. Quello che l’intuito – e perciò il cuore, è lì che nasce – gli suggeriva sembrava così impossibile alla sua coscienza da non prendere forma in un pensiero preciso. Soprattutto, Ali San non comprendeva come lei non si scoraggiasse di fronte alla sua – apparente – inerzia e il suo finto disinteresse che sapeva di timidezza. Non la scoraggiava l’armatura da guerriero di città, non la spaventava la dose di tristezza antica dentro il suo cuore. Era passato del tempo, ma lei non spariva come lui si sarebbe aspettato.
Ali San era ancora lì che rifletteva e faceva le sue considerazioni, quando sentì l’arrivo di un messaggio vocale sul suo telefono.

Era lei.
La sua presenza si era fatta strada nella sua giornata anche stavolta.

Nella solitudine della sua stanza, ad Ali San si fecero gli occhi umidi. Avrebbe pianto come quando era bambino, se non fosse stato per un moto d’orgoglio che gli ributtava indietro le lacrime mentre ascoltava la voce di lei. Gli era tornata in mente così, semplice e diretta, una memoria. C’era stato un pomeriggio di sole di qualche anno prima in cui era accaduta una cosa piccolissima, quasi impercettibile, e che però era la certezza che da lì in poi avrebbe dato forza alla sua speranza. Si ricordava di aver respirato piano, calmo, presente a se stesso mentre era in quel posto dall’altra parte del mondo. Lui era in quel posto come c’era il verde attorno alla spiaggia, come il blu fissato nel cielo sopra di lui. Stava con lei, non era solo. E si ricordò di aver fatto proprio in quel momento il pensiero che, qualsiasi cosa fosse successa, e con o senza di lei che pure era lì con lui in quel momento, di solitudine non sarebbe mai morto. Fu per quello che gli occhi gli si erano fatti umidi nella sua stanza, per quel pomeriggio, quel sole, quel verde dell’erba e quel blu che c’era sopra. Quella piccola memoria gli era tornata su delicata e senza avvisare, insieme a una sensazione indefinita che sapeva di cose incrollabili. Sentì il cuore allargarsi, diventare grande nel petto e farsi enorme come per fare spazio a qualcosa che lui non riconobbe subito.

Il messaggio andava avanti e la voce della ragazza continuava a parlare. E siccome lo aveva riportato indietro a quel pomeriggio di sole, gli si stampò sul viso un sorriso che né lui né la ragazza del messaggio poterono vedere, ma che veniva da lontano.

Più tardi? … Mmm sì. Pensò e scrisse nello stesso istante.

Mi chiedono spesso se sono felice

E ogni volta non so che dire

Non so come far capire

che dipende da quanto mi pesa oggi

ogni strizzata del cuore

ogni respiro profondo

ogni volta che alzo la testa

e devo reggere con lo sguardo

quello che non vorrei vedere.

Mi chiedono spesso se sono felice

ma non farmi anche tu questa domanda

che felice non vuol dire niente

e per risponderti in modo sincero

dovrei andare a cercare attimi

in mezzo a tanto altro

che sa di stanchezza e di fatica e di tigna e di denti stretti.

Tutto sommato

non è una questione di felicità

non siamo mai soli

e il rumore stonato del mondo ingiusto si sente

eccome se si sente

e ogni volta mi leva il sonno.

È una questione diversa

È avere la calma

Di saper aspettare

Di non lasciarsi ingannare

dal fumo negli occhi – ci provano sempre –

Di guardare gli occhi altrui

provare a leggerci dentro le storie

e riconoscere quelle che dicono la verità

che mi ricordano come si viene al mondo

che mi ricordano le mie speranze

e quella volta che tu mi ha guardato e io

ho potuto dire chi ero.

Chissà dove, quando e con chi ancora

Si vive per questo, no?

Per quel con chi, ancora.

Sara Forcella

PhD in Civiltà dell'Asia e dell'Africa, è arabista, mediatrice culturale ed insegnante di italiano L2. E' inoltre presidente di Fuori Passo ETS, associazione che si occupa di mediazione, orientamento, servizi e formazione per persone con background migratorio.