Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Vanna D'Ambrosio

Li hanno raggiunti, le onde del mare

A Cutro, un anno dopo la strage

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Era la mattina del 26 febbraio del 2023 e, a decine di metri dalla cittadina di pescatori e dalla rotta dei soccorsi, quel giorno, e per giorni e mesi a seguire, le onde spingevano sul bagnasciuga 94 corpi, di cui 35 molto piccoli.

KR16M0, sedicesima vittima recuperata, era appena nato. Si chiamava Mohammad Sina Hoseyni e, per lui, si voleva trovare una vita migliore in una nuova terra.

La SummerLove, una imbarcazione che proveniva dalle coste turche, navigava in condizioni avverse con 180 persone, la maggior parte, afghana, in fuga dal regime talebano. Il caicco, dopo tante richieste di aiuto in balia delle onde alte, si spaccava in due in una secca.

Molto più velocemente delle operazioni di salvataggio e di soccorso, da tutta Europa, sopraggiungevano i famigliari delle vittime, davanti alle autorità di competenza, per riconoscere l’identità di quei corpi senza più vita.

Si scoprì che quella ‘barca di immigrati‘ avesse famiglie intere ad aspettarli; si scoprì che a tutte e tutti loro erano associati nomi, famiglie, genitori, figli, legami, attività, professioni, storie che non possono essere oltremodo dispiegate.

Le bare furono trasferite al Palamilone: i corpi inermi, di cui nessuno avrebbe avuto più paura, ancoravano nel mezzo di Crotone.

A un anno da quella maledetta notte, a Crotone, era da tempo che non pioveva in quel modo.

Da tutta Europa, i loro cari li hanno raggiunti una seconda volta, per preservare la dignità delle tante vite affondate al largo dei diritti umani.

Il trauma della morte è un’esperienza difficile e individuale, scioccante dinanzi ad una tragedia corale, che coinvolge numerose vittime. Esso ha bisogno di voce per articolare la sofferenza e avviare il processo di guarigione.

A rompere il silenzio, i famigliari delle vittime del naufragio e i loro volti, su cui ogni goccia di pioggia diventava impetuosa onda del mare in burrasca, che raggiungeva violenta e “ogni volta faceva perdere due o tre persone. Finché ne è rimasta una sola”.

Sulla spiaggia di Steccato di Cutro, dinanzi a quella tragedia collettiva e pubblica, tra i famigliari, i sopravvissuti e i soccorritori, si faceva fatica, quella notte, il 26 febbraio scorso, ad ascoltare il mare e non sprofondarne nel suo abisso tanto prevedibile quanto evitabile.

Il trauma, riattivato dal mare, si imponeva sul tempo lineare, creando una frattura che fissava la storia in un punto e in uno spazio, in cui entrava qualcosa di diverso, come una novità, con una esistenza propria, che fondava una nuova traccia della strage e lo ricollegava alla sua struttura anteriore. A quella comunicazione, avvenuta 24 ore prima del disastro, dell’imbarcazione diretta verso le coste italiane e in pericolo, a cui non fecero seguito operazioni di soccorso e salvataggio oggettive e chiare, nonostante l’obbligo morale e legale di salvare vite umane. Una operazione valutata come un’attività di polizia dinanzi ad un fatto di “immigrazione clandestina” che ha escluso la salvezza dei migranti dall’essere una priorità assoluta, a conclusione di un quadro interpretativo ed esecutivo che legge i diritti umani in termini di sicurezza.

A voler prevenire ulteriori stragi future, li raggiungeva, invece, una legge, quella di Cutro, nella sua denominazione, “ignobile per una tragedia umana” di proporzioni enormi e sistematica nelle sue relazioni e nei diversi tipi d’insieme. Una condizione metodica che crea la scena affinché i cosiddetti traumi cumulativi si compiano e si compongano in un’atmosfera traumatica, che quella notte, sulla spiaggia di Steccato di Cutro, si concretizzava in giocattoli e candele a picco sulla spiaggia in memoria di quei “bambini, i primi ad essere annegati dalle onde del mare e in poco tempo”.

Mentre una corona di fiori raggiungeva il mare, i laceranti canti di preghiera e delle onde accompagnavano un processo di lutto estremamente complesso.

Al di fuori della linearità del tempo, non c’è dolore ma sofferenza. Una sofferenza come un eccesso, una vera violazione dei confini, al di là delle capacità, al di fuori della propria padronanza.

I superstiti e familiari delle vittime del naufragio del 26 febbraio 2023 del caicco ‘SummerLove’ hanno annunciato l’imminente presentazione di una causa risarcitoria nei confronti dell’esecutivo per omissione di soccorso.

Fotografie di Vanna D’Ambrosio

Vanna D'Ambrosio

Conseguita la laurea in Filosofia presso l’Università di Napoli Federico II, ho continuato gli studi in interculturalità e giornalismo. Ho lavorato come operatrice sociale nei centri di accoglienza per immigrati, come descritto nella rubrica “Il punto di vista dell’operatore”. Da attivista e freelance, ho fotografato le resistenze nei ghetti italiani ed europei. Le mie ricerche si concentrano tuttora sulle teorie del confine.