Continua e si aggrava giorno dopo giorno la gestione di stampo meramente emergenziale degli “sbarchi” di migranti (tra cui numerosi minori non accompagnati, donne in stato di gravidanza e richiedenti asilo provenienti dall’Egitto e dalla Siria), nella Sicilia Centro-Orientale, in particolare nella provincia di Siracusa ad Augusta, ed adesso anche a Pozzallo ed a Porto Empedocle (Agrigento). Per mesi, che sarebbero stati preziosi per ristrutturare centri di prima accoglienza, per fare partire le nuove strutture di accoglienza SPRAR gestite dai comuni e per mettere in sicurezza i soggetti più vulnerabili, i minori stranieri e le donne vittime di violenza non si è fatto nulla. Si è ritenuto invece che, con l’operazione militare-umanitaria Mare Nostrum, tutti i problemi si sarebbero potuti risolvere a bordo delle navi militari, sulle quali è stato imbarcato personale del ministero dell’interno e, sembra, anche qualche interprete inviato dai consolati dei paesi di provenienza, navi trasformate in uffici di polizia per le preidentificazioni ed il rilievo delle impronte digitali. Oppure si è ritenuto che gli “sbarchi”, in realtà gli interventi di salvataggio in alto mare, potessero essere affrontati e ridotti con l’attività di contrasto dell’immigrazione “illegale” portata avanti dalle procure. Mesi nei quali si sono allungati i tempi per le procedure di asilo, senza organizzare un sistema di prima accoglienza, ma utilizzando a questo fine strutture del tutto improprie, non destinate a questa delicata funzione. Si sono moltiplicate le tendopoli, persino nelle masserie in aperta campagna, e le palestre o i palasport, destinati alla prima accoglienza con distese di materassi posati per terra, con un sistema vorticoso di trasferimenti, adesso anche da un capo all’altro della penisola, e con la crescita a dismisura della popolazione di richiedenti asilo confinati nel mega Cara di Mineo e negli altri Cara siciliani. Sono aumentate anche le attese per formalizzare le richieste di asilo, fino a due mesi ed oltre, nei quali i migranti sono stati abbandonati in un limbo giuridico senza alcuna informazione certa sul loro futuro.
Ii periodico incremento delle partenze dalla Libia smentisce i teoremi secondo i quali gli “sbarchi” si sarebbe ridotti con lo schieramento delle navi Mare Nostrum e con l’inasprimento dell’apparato repressivo, che si è tradotto anche in decine di misure di respingimento differito adottate dalle questure nei confronti di migranti, privati a Siracusa persino della possibilità di chiedere asilo, in aperta violazione delle direttive UE e delle norme di attuazione. Nel caso dei gambiani “sbarcati” nel porto di Augusta si è proceduto quasi a caso, destinandone la maggior parte nei centri di accoglienza aperti, mentre inspiegabilmente ad una parte di loro si riservava la detenzione amministrativa in un Cie, quello di Milo (Trapani), dopo l’adozione di un provvedimento di “respingimento differito” da parte del questore di Siracusa. Ancora il caso ha fatto la differenza tra fasi nelle quali i profughi sono stati letteralmente lasciati fuggire, come è stato documentato nel video ripreso a Porto Empedocle, ed altre nelle quali si è limitata davvero la libertà personale di tutti, soprattutto di coloro che rifiutavano di farsi rilevare le impronte digitali. Il sovraffollamento cronico dei centri di prima accoglienza, ma anche dei CARA e dei centri SPRAR, e la mancanza totale di informazione legale e di orientamento hanno incentivato le fughe di massa dai centri informali di trattenimento e prima identificazione, come si è verificato da un capannone industriale a Porto Empedocle, dal quale sono fuggite più di 250 persone, e da altre strutture frettolosamente allestite dalle prefetture in base alla legge Puglia del 1995, non meno che dal Centro di prima accoglienza e soccorso (CPSA) di Pozzallo.
Queste fughe continue dai centri siciliani, anche di minori non accompagnati, confermano il desiderio di molti migranti di trasferirsi al più presto in altri paesi europei, ma sono anche frutto del fallimento, se non dell’assenza, di un sistema regionale di prima accoglienza, e costituiscono prova inconfutabile di una situazione ancora peggiore rispetto all’estate del 2011 (cd, Emergenza Nordafrica..
Il pur auspicato alleggerimento dell’isola di Lampedusa ha comportato un maggiore afflusso sul territorio delle province di Siracusa, Ragusa, Catania, e quindi Caltanissetta e Trapani, senza che vi corrispondesse un incremento di centri di accoglienza stabilmente strutturati con personale adeguato in possesso delle necessarie professionaalità . E di questi avrebbe avuto bisogno un territorio che è particolarmente esposto agli arrivi di persone in fuga da conflitti sempre più gravi, come i Siriani, attraverso l’Egitto, gli stessi egiziani e ancora altri potenziali richiedenti asilo ( es. somali ed eritrei) dalla Libia e dalla Tunisia. L’emergenza non è data soltanto dal numero delle persone che arrivano, ma dalla mancanza di un sistema di accoglienza. Le scelte dei singoli prefetti, che hanno predisposto piani di accoglienza a livello provinciale, puntando soprattutto sulle tendopoli, si sono dimostrate alla prova dei fatti, del tutto inadeguate.
Il meccanismo di trasferimento in altre regioni italiane è partito troppo tardi e non ha ancora alleviato la situazione di emergenza, anche dal punto di vista sanitario, che è stata scientificamente prodotta ad Augusta, al Palasport, a Pozzallo, attorno al centro di prima accoglienza e soccorso. Non mancano testimonianze, raccolte da giornalisti che hanno potuto avvicinarsi alla rete del centro di prima accoglienza e soccorso di Pozzallo, senza essere ammessi all’interno della struttura, di violenze perpetrate dalle forze di polizia sui migranti, allo scopo di ottenere con la forza il rilascio delle impronte digitali. L’ennesima conferme di quanto denunciato già lo scorso anno. E l’Italia non muove una foglia a livello europeo per ottenere una modifica del Regolamento Dublino che inchioda nel primo paese d’ingresso dell’area Schengen i richiedenti asilo, anche quando hanno familiari già legalmente presenti in altri paesi UE, a fronte della lentezza e della farraginosità, oltre che dall’incerto esito delle procedure di determinazione di una ulteriore competenza previste dal Regolamento Dublino. Le pessime condizioni di accoglienza praticate dall’Italia, accertate ormai in diverse sentenze che in Germania ed in Gran Bretagna hanno ordinato la sospensione dei trasferimenti Dublino verso l’Italia, non hanno dato ai nostri governi l’autorevolezza necessaria per chiedere una modifica sostanziale del Regolamento Dublino ed una immediata sospensione della sua terza versione, entrata in vigore il 2 gennaio del 2014. E si profilano all’orizzonte nuove Direttive dell’Unione Europee che, quando saranno attuate in Italia, potranno estendere ancora i casi di trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo.
L’Italia si conferma dunque un “paese non sicuro” per i richiedenti asilo. Le promesse del governo nazionale di trasferire in altre regioni italiane la maggior parte dei 4000 migranti sbarcati in questi giorni in Sicilia sono ancora tutte da verificare, intanto i trasferimenti procedono a rilento e la gente continua a dormire all’addiaccio o nelle tendopoli.
Questa situazione è resa ancora più grave in Sicilia per la mancanza di una Legge regionale sull’immigrazione e per la mancata effettiva attuazione del Tavolo di coordinamento regionale. Tutto viene deciso dalle singole prefetture di concerto con i vertici del ministero dell’interno, sulla base di disponibilità che tengono conto della possibilità di attrezzare tendopoli o strutture alberghiere, persino ospizi e case per anziani, ritenuti meno “convenienti” dei migranti dal punto di vista degli enti gestori. Il rapporto tra prefetture ed enti gestori rischia di alimentare un pericoloso business in quanto non esistono sistemi efficaci di monitoraggio e le prefetture, al di là dei requisiti formali che richiedono, non riescono a verificare quotidianamente le modalità di gestione dei centri.
E’ immediatamente necessario attivare effettivamente il tavolo di coordinamento regionale con i prefetti, le questure, l’ANCI regionale e con i comuni nei quali trovano accoglienza i richiedenti asilo ed i profughi. Va assicurata una gestione umana, in linea con gli standard europei della prima accoglienza, senza ingolfare il sistema dei centri Sprar gestiti dai comuni con persone appena sbarcate dalle navi di Mare Nostrum. Vanno istituiti osservatori provinciali indipendenti per verificare la correttezza della gestione e le modalità di erogazione dei servizi.
Velocizzare al massimo il lavoro delle Commissioni territoriali competenti a decidere sulle domande di asilo, che ancora, malgrado l’annunciato aumento delle sedi e del numero dei componenti, non sono ancora riusciti a smaltire l’enorme arretrato che si è accumulato, con anni di attesa per i richiedenti asilo. Per i Siriani andrebbero adottate misure di protezione temporanea che consentano loro rapidamente, a domanda, il conseguimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, e un documento di viaggio valido per tutti i paesi dell’Unione Europea.
Monitorare a livello regionale la situazione esistente nel mercato del lavoro per contrastare tutte le forme di sfruttamento e di lavoro servile, e di individuare le modalità operative per garantire mezzi credibili di inserimento sociale di coloro che ottengono in Sicilia il riconoscimento di uno status di protezione, internazionale ( asilo o protezione sussidiaria) o umanitaria ed esprimono la volontà di restare in questa regione, e nel contempo garantire la tutela dell’unità familiare dei profughi con familiari regolarmente residenti in altri paesi europei ed agevolare il sollecito ricongiungimento come prescritto dal Regolamento Dublino.
Istituire un apposita task force mista, con agenti istituzionali ed esponenti delle associazioni maggiormente impegnate in questo settore per contrastare il fenomeno della tratta di esseri umani e la diffusione del grave sfruttamento lavorativo, coinvolgendo attivamente la società civile con iniziative di formazione e di informazione, come richiesto anche dalla Direttiva 2001/36/UE, recentemente attuata anche nel nostro paese
Adottare al più presto in Sicilia una legge regionale in materia di immigrazione ed asilo con previsioni certe di stanziamenti di bilancio regionale, e con una particolare attenzione per le esigenze dei soggetti più vulnerabili, come i minori, le donne, sempre più spesso vittime di violenze e di sfruttamento, le vittime di tortura, con percorsi di formazione e di qualificazione del personale che dovrà prendere in carico tutte queste persone caratterizzate da situazioni esistenziali tanto diverse.
Procedere verso l’attivazione di centri di accoglienza decentrata di dimensioni medio-piccoli finanziati dallo stato e gestiti dai comuni, ma con le professionalità richieste anche dalle Direttive dell’Unione Europea, e soprattutto la chiusura immediata dei centri “informali” di prima accoglienza gestiti dalle prefetture come quelli attivati a Siracusa presso l’Umberto I, al PalaNebiolo di Messina, a Porto Empedocle (AG), a Messina ed a Comiso (Ragusa). Luoghi nei quali la libertà personale a seconda del momento e della nazionalità degli “ospiti” è stata sottoposta ad evidenti limitazioni, anche oltre 48-96 ore, in assenza di un provvedimento amministrativo formale e della doverosa convalida da parte dell’autorità giudiziaria, come sarebbe previsto anche dall’art. 13 della Costituzione italiana.
Allo stato della vigente legislazione nazionale e regionale vanno individuati percorsi per portare all’autonomia il maggior numero degli immigrati accolti nei centri di accoglienza, promuovendo occasioni di integrazione ed avviamento al lavoro legale, contrastando lo sfruttamento del lavoro nero attorno alle strutture di accoglienza CARA, come quella di Trapani Salina Grande e Caltanissetta, e chiudendo strutture ormai ingovernabili come il CARA di Mineo (Catania), dove si verifica, anche per il blocco del turn-over, la presenza di oltre quattromila persone, alcune delle quali neppure censite. Anche in questo caso il governo regionale e quello nazionale non possono continuare ad ignorare la gravità dei problemi creati da una struttura enorme che grava su un territorio assai povero di servizi e di occasioni di lavoro nella legalità. Non basta lanciare campagne di immagine, o censurare le notizie sui tentativi di suicidio o sulle violenze subite dagli “ospiti” del centro di Mineo per dimostrare che in quella struttura, progettata per alloggiare militari americani, vada tutto bene. Una dimostrazione impossibile, come i fatti stanno dimostrando, malgrado il dispendio delle iniziative propagandistiche, persino con la produzione di video.
Rispetto alla situazione dei minori non accompagnati, occorre che la Regione si rivolga allo Stato perché provveda ad erogare con la massima tempestività le somme dovute ai Comuni, sulla base degli accordi stabiliti con i diversi governi, trattandosi di competenze dello Stato centrale. Si deve impedire che nelle regioni di primo arrivo, come la Sicilia, si prosegua con la prassi secondo la quale il collocamento dei minori avviene, da parte dell’autorità di polizia, o delle Prefetture, direttamente presso le strutture di accoglienza, al di fuori di qualsiasi piano regionale, e spesso senza il preventivo intervento del giudice minorile, senza un previo accordo con gli enti locali territorialmente competenti. Il garante nazionale per i minori dovrebbe accertare le condizioni reali di accoglienza nelle strutture che vengono utilizzate con le più diverse tipologie e spesso senza il personale richiesto dalle convenzioni.
Sulle strutture di accoglienza per minori andrebbe effettuato un monitoraggio continuo, affidato ad associazioni ed enti indipendenti, non legati agli enti gestori e non convenzionati con il ministero dell’interno, una attività essenziale per non disperdere risorse pubbliche con grave danno per gli operatori e per i migranti, una attività doverosa che fin qui si è svolta solo in rare occasioni. Le strutture IPAB che sono state utilizzate in Sicilia, spesso non risultano idonee all’accoglienza di minori stranieri fortemente traumatizzati. Un aspetto ulteriore è poi quello dei minori non accompagnati richiedenti asilo rispetto ai quali, nonostante la norma ponga chiaramente in capo al Ministero dell’Interno la responsabilità, non ci sono certezze di sorta in merito alla copertura dei costi di presa in carico prima dell’entrata nel circuito SPRAR. In questi casi la Regione dovrebbe rivolgere ai competenti ministeri la richiesta di una maggiore programmazione degli interventi e di una sollecita copertura delle spese sostenute dagli enti locali, l’attivazione di strumenti di mobilità, anche a livello internazionale, quando si tratti di garantire il ricongiungimento familiare come prescritto dal Regolamento Dublino.
Occorre infine che l’Italia si metta in regola con un sistema di accoglienza corrispondente alle prescrizioni delle direttive dell’Unione Europea in materia di protezione internazionale, di accoglienza e di procedure. Solo in questo modo si potrà chiedere una modifica delle politiche europee in materia di immigrazione ed asilo, con la riapertura di canali legali di ingresso, la revisione del regolamento Dublino in modo da rispettare la libertà di autodeterminazione e l’unità dei nuclei familiari dei richiedenti asilo, la riconversione delle missioni Frontex a finalità di salvataggio.
Vanno rivisti al più presto quegli accordi bilaterali o le intese operative a livello di forze di polizia, come quelli vigenti con l’Egitto, la Nigeria e la Tunisia,che consentono il rimpatrio immediato anche prima che possa essere depositata una istanza di protezione internazionale, sulla quale dovrebbe decidere l’apposita commissione territoriale e non l’autorità di polizia in frontiera.
Occorre applicare sanzioni esemplari verso tutti coloro che direttamente od indirettamente, attraverso la cooperazione operativa con le polizie di frontiera dei paesi di transito, si rendano responsabili di operazioni di respingimento collettivo con violazione del principio di non refoulement, affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, oppure impediscano la proposizione di una domanda di protezione internazionale, in vista di una successiva espulsione con accompagnamento forzato. Altrimenti l’esecuzione della misura di allontanamento forzato, come la fuga nella clandestinità, potrà continuare ad essere un mezzo per “eliminare” testimoni scomodi di irregolarità ed abusi e vittime di trattamenti inumani o degradanti che nessuno potrà mai denunciare.