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da Il Manifesto del 23 marzo 2005

Scomparsi quindicimila profughi di Cinzia Gubbini

Non tornano i numeri: sui richiedenti asilo presenti in Italia, sulle domande effettivamente pervenute alla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, sulle persone respinte o espulse dal nostro paese.
Il primo rapporto sui rifugiati in Italia, presentato ieri dal Consorzio italiano di solidarietà (Ics), farebbe impallidire – o arrossire – qualsiasi governo avesse a cuore il rispetto della Convenzione di Ginevra e, in generale, il destino delle persone in pericolo nel mondo.
Si tratta di un’analisi rigorosa, che per la prima volta mette in fila i dati forniti ogni anno – quando disponibili – dagli organi preposti al monitoraggio delle persone straniere che chiedono protezione. Il Viminale, prima di tutto, ma anche l’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Acnur) e la Commissione centrale che ha l’incarico di sentire i richiedenti asilo e decidere della loro sorte.
Il rapporto curato da Maria Silvia Olivieri e Federica Gai è stato realizzato grazie al supporto di 36 associazioni sparse in tutto il territorio che hanno permesso di ricostruire – almeno – delle stime. «Emerge il quadro di un paese che non riesce e non vuole garantire un sistema di protezione», commenta il vicepresidente dell’Ics, Gianfranco Schiavone.
Un dato su tutti: il dossier, attraverso un faticoso conteggio (per chi vuole approfondire: www.icsitalia.org) arriva a stabilire che nel 2003 i richiedenti asilo presenti in Italia sono stati 25.795. Secondo il Viminale al 31 dicembre 2003 erano 10.550. Secondo l’Acnur e la Caritas erano invece 13.455. In quell’anno la Commissione ha esaminato 11.319 domande. Discrepanze dovute a diversi fattori: le questure che non trasmettono i fascicoli alla Commissione, la Commissione che deve star dietro alle «giacenze» degli anni precedenti, i ricorrenti che nessuno conteggia, i richiedenti asilo «rispediti» in Italia dagli altri stati membri dell’Ue e mai considerati.
Sul tappeto restano 15 mila persone, forse clandestinizzate in Italia, forse andate alla ricerca di fortuna in qualche altro paese europeo. Senza considerare il clamoroso crollo delle domande dei riconoscimenti dello status a quei (pochi) che riescono ad arrivare davanti alla Commissione: 15.8% del 2001, al 7.4% del 2002 fino al 4.9% del 2003.
Amaro il capitolo del rapporto dedicato alle audizioni svolte dalla Commissione (che comunque sconta notevoli carenze strutturali) e basato su 4 mila questionari: colloqui brevissimi – solo in 3 casi su 100 superano la mezz’ora – domande spesso più interessate a capire le «modalità» del viaggio verso l’Italia che la biografia del richiedente asilo.

E al danno si aggiunge la beffa. Perché l’incapacità del «sistema Italia» di tenere conto – è il caso di dirlo – dei richiedenti asilo che bussano alle porte del paese ha comportato un decurtamento dei fondi europei per l’accoglienza. Nel 2004 la Commissione europea ha abbattuto del 69,05% i finanziamenti Fer all’Italia proprio a causa della mancata produzione di statistiche puntuali da parte del governo.

Un altro dato inquietante riguarda i cosiddetti respingimenti alla frontiera, diventati famosi con i «ponti aerei» verso la Libia da Lampedusa. Secondo il Viminale dal primo gennaio al 15 settembre 2004 sono stati 22.961.
Ma gli sbarchi registrati nello stesso periodo in Calabria, Sicilia e Puglia sono 9.464. Qualcosa non torna. Anche considerando quelli effettuati sulle cosiddette «frontiere terrestri» – ad esempio tra il Friuli e la Slovenia – il numero rimane troppo alto. Forse il Viminale accorpa anche altri provvedimenti di allontanamento. Ma c’è un’altra spiegazione possibile: una parte di questi respingimenti potrebbe riguardare quelli attuati direttamente in mare. «Sarebbe naturale domandarsi in quale modo le autorità italiane possono verificare la presenza di eventuali richiedenti asilo a bordo ed evitarne il respingimento», scrive l’Ics.