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Tunisia – L’inserimento sociale sconsiglia il rimpatrio del richiedente anche alla luce del lungo lasso temporale trascorso dalla partenza dal suo paese di origine

Tribunale di Roma, ordinanza del 3 giugno 2019

Il Tribunale di Roma accoglie il rilascio della protezione umanitaria ad un cittadino tunisino, il quale aveva beneficiato del permesso umanitario a seguito della cd. “emergenza nord Africa” del 2011.
Il cittadino aveva quindi chiesto di rinnovare il soggiorno per motivi di lavoro subordinato, e, vistosi opposto il rifiuto della Questura, avevo proposto ricorso impugnando il rigetto e chiedendo al Tribunale il rilascio del permesso per motivi umanitari.
Il Tribunale inoltre ritiene non retroattiva la disciplina del c.d. Decreto “Salvini” e valorizza l’integrazione sociale del ricorrente.
In particolare, anche se la Questura ha accertato la sussistenza di due pregresse condanne intervenute nel 2013 e nel 2015 per furto tentato e furto in concorso, non era stata svolta “alcuna verifica in concreto in merito alla condizione personale del ricorrente, all’attuale pericolosità, alla sua integrazione sociale ed alla situazione lavorativa, indagine ancor più opportuna trattandosi di un soggetto presente sul territorio italiano da oltre otto anni. (…) Il ricorrente ha raggiunto dunque una discreta integrazione in Italia e gli episodi delittuosi, per i quali pende istanza di riabilitazione presso il Tribunale di Sorveglianza di (…), risalgono ad un’epoca pregressa e non vi sono elementi da cui desumere una pericolosità sociale attuale. Pertanto, l’inserimento sociale, il conseguimento di una stabilità lavorativa e di un reddito sufficiente in Italia sconsigliano il rimpatrio del richiedente, anche alla luce del lungo lasso temporale trascorso dalla partenza dal suo paese di origine, circostanza che lascia concretamente presumere che un reinserimento sociale e lavorativo, anche alla luce della sua condizione di semianalfabetismo, sarebbe molto complesso e lo esporrebbe a condizioni di vita particolarmente precarie. Infatti, la situazione personale del migrante deve essere valutata anche in relazione alla condizione in cui costui si troverebbe oggi a vivere nello stato di provenienza, qualora fosse rimpatriato“.

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Tribunale di Roma, ordinanza del 3 giugno 2019