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Status di rifugiato al cittadino ucraino disertore considerati i comprovati crimini di guerra compiuti dall’esercito

Corte d'Appello di Genova, sentenza n. 1034 del 9 luglio 2019

La Corte di Appello riconosce lo status di rifugiato al richiedente asilo ucraino che ha espresso rifiuto a combattere per la difesa del proprio paese, considerati i comprovati crimini di guerra compiuti dall’esercito ucraino.
Il contesto del Paese di origine del ricorrente viene ampiamente descritto:
“La totale impunità per gli abusi commessi durante il conflitto perdura nel 2018. Il governo (Ucraino) ha intrapreso altri passi per la restrizione della libertà di espressione ed associazione. La violenza esercitata da gruppi radicali contro minoranze etniche, persone LGTB, attivisti dei diritti umani e giornalisti è in aumento. Le procedure per accertare le responsabilità dei fatti commessi durante la rivolta di Odessa (48 morti) sono ostacolate”. Inoltre “Il Servizio di Sicurezza Ucraino continua a negare la segreta e prolungata detenzione di almeno 18 civili dal 2014 al 2016 . Tutti furono non ufficialmente liberati alla fine del 2016 e la loro detenzione non è mai stata riconosciuta”.
Le Nazioni Unite hanno documentato centinaia di abusi dei diritti umanitari fondamentali, privazione della libertà personale, sparizioni, torture e detenzioni arbitrarie a carico dei civili da parte di entrambi i fronti del combattimento (Report on the human rights situation in Ukraine 16 February to 15 May 2019). Secondo il report OHCHR “nel territorio controllato dal governo (Ucraino), OHCHR continua a ricevere denunce di detenzioni arbitrarie, torture, trattamenti degradanti ed intimidazioni individuali, inclusi posti non ufficiali di detenzione per ottenere informazioni, per ottenere informazioni o costringerli a cooperare (segue esempio di un fatto accaduto il 17 aprile 2019)”.

La Corte ha quindi ritenuto che “nel caso in esame sussistano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in capo all’appellante, in quanto:
– è pacifico che egli è in età da leva obbligatoria e che non appartiene a nessuna delle categorie escluse dal servizio militare per appartenenza a minoranza religiosa per cui è prevista l’obiezione di coscienza secondo la pronuncia della Suprema Corte Ucraina sopra citata;
– la chiamata alle armi è provata dalle produzioni documentali in appello, ammissibili in quanto indispensabili per la decisione;
– il richiedente ha espresso rifiuto a combattere per la difesa del suo paese attesa la provata commissione di crimini di guerra da parte delle forze armate ucraine e che tale “obiezione di coscienza” non è riconosciuta dallo Stato Ucraino; – che è altresì sussistente il concreto pericolo che il richiedente al momento del rimpatrio sarà mandato al fronte o in prigione;
– che nel primo caso sussiste alta probabilità che egli venga costretto od implicato nella violazione di diritti umani, attesa la commissione di crimini di guerra nel conflitto in corso come sopra illustrato, mentre in caso di detenzione che egli sia sottoposto a trattamenti degradanti per costringerlo a militare nell’esercito”.

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Corte d’Appello di Genova, sentenza n. 1034 del 9 luglio 2019