Il Tribunale di Milano ha concesso lo status di rifugiato a un cittadino guineano, gravemente affetto da epilessia, ravvisandone i presupposti nell’appartenenza a un particolare gruppo sociale oggetto di discriminazione.
Premessa l’inadeguatezza del sistema sanitario guineano, largamente deficitario e privo di strutture, il Collegio ha osservato che nel caso in esame la persona affetta da epilessia era discriminata e stigmatizzata perché percepita come vittima di stregoneria e punita per il suo passato. La conseguenza inevitabile è l’isolamento sociale, nonché l’impossibilità di ricevere cure adeguate che consentano di limitare gli effetti negativi della malattia (si veda Epilepsy and Traditional Healers in the Republic of Guinea: A Mixed Methods Study – https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6433505/).
In tale contesto gli atti e i comportamenti della comunità possono dare luogo a una “grave violazione dei diritti umani“. Non vi è dubbio infatti che il ricorrente “rischi concretamente di essere sottoposto ai trattamenti indicati nelle COI, tali da incidere fortemente sulle sue concrete condizioni di vita e da impedirgli l’accesso ai servizi sanitari e assistenziali, al lavoro, ad una vita dignitosa nonché all’esercizio dei diritti civili e politici“.
In particolare, ad avviso del Collegio, gli atti di persecuzione sono motivati dall’appartenenza del ricorrente a un particolare gruppo sociale, definito dall’art. 8 lett d) del D.lgs. 251/2007 come “quello costituito da membri che condividono una caratteristica innata o una storia comune, che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, ovvero quello che possiede un’identità distinta nel Paese di origine, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante“. Invero, dalla percezione della società dei malati di epilessia come soggetti colpiti da fenomeni soprannaturali e stregoneria, incluse maledizioni e punizioni per il passato, deriva che costoro possono essere considerati come appartenenti ad un gruppo sociale distinto da quello della restante popolazione e da cui tenere le distanze, trattandosi di soggetto contagioso (tale il timore secondo la cultura locale).
Autori materiali di tali trattamenti discriminatori sono in primo luogo i familiari, i membri del gruppo sociale di appartenenza e la società maggioritaria, che, proprio in ragione di credenze diffuse, può rendersi responsabile di gravissime violazioni anche a danno dell’integrità fisica dei malati; in secondo luogo, le autorità statali che, allo stato attuale, non sono in grado di tutelare i proprio cittadini affetti da una simile invalidante patologia.
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Tribunale di Milano, decreto del 19 settembre 2020