Nella seduta del 20 dicembre alla Camera il sottosegretario agli interni Marcella Lucidi avrebbe dovuto rispondere a nome del governo ad una interrogazione presentata da Graziella Mascia, da Mercedes Frias e da altri parlamentari, sull’arresto da parte della polizia di sette pescatori tunisini che nel mese di agosto avevano salvato 44 naufraghi di varia nazionalità, conducendoli nel porto di Lampedusa. La vicenda, che è ancora all’esame del Tribunale di Agrigento, poteva costituire un occasione per indurre il governo ad un ripensamento, almeno ad una maggiore trasparenza, sulle pratiche di contrasto dell’immigrazione irregolare in mare, inclusa la partecipazione delle unità italiane alle operazioni di polizia marittima dell’agenzia europea FRONTEX. Occorreva soprattutto una precisazione del carattere precettivo dell’art. 12 comma secondo del Testo Unico sull’immigrazione, che esclude la responsabilità penale di quanti prestano attività di assistenza e soccorso a immigrati in condizione di irregolarità, norma da applicare ovunque questo intervento si svolga, in caso di intervento di unità militari italiane.
Si deve prendere atto con rammarico che anche questa occasione è andata sprecata in quanto il sottosegretario Lucidi nella sua risposta ai è limitata a richiamare pedissequamente le circostanze di fatto asserite dai rappresentanti del Corpo delle Capitanerie di porto intervenute, dopo la Guardia di finanza, nel corso delle operazioni di salvataggio, circostanze non suffragate da quanto accertato nel corso del processo in base alle prove testimoniali e smentite da quanto affermato dalla magistratura, in particolare dall’ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo del 25 settembre 2007, che ha deciso la liberazione dei due comandanti dei pescherecci per lo sfaldamento dell’impianto accusatorio prospettato dalla Procura di Agrigento. Nella sua risposta il sottosegretario Lucidi dubita persino dell’esistenza di un bambino in gravi difficoltà fisiche a bordo di uno dei due pescherecci, dichiara come avvenuto quanto è stato smentito nel corso del processo, che l’ufficiale medico fosse salito a bordo di entrambi i pescherecci per controllare lo stato di salute dei naufraghi, e in questo modo giunge ad escludere quella situazione di emergenza che è stata invece successivamente verificata dai medici che, dopo l’arrivo dei pescherecci a Lampedusa, hanno disposto con l’intervento dell’eli-soccorso l’immediato ricovero di quattro naufraghi in un ospedale di Palermo.
Il continuo richiamo del Sottosegretario Lucidi, a nome del governo, alla necessità di “rigore ed efficacia” degli interventi di contrasto dell’immigrazione clandestina come strumento per combattere il razzismo e la xenofobia non ha nulla a che fare con la vicenda dei pescatori tunisini che hanno salvato la vita di persone in pericolo, tra le quali donne, bambini, potenziali richiedenti asilo finendo poi sotto processo. Si ripete un luogo comune piuttosto abusato che non può mascherare il fallimento delle politiche di militarizzazione della frontiera marittima meridionale, solo se si pensa che ancora a dicembre centinaia di persone sono arrivate nell’isola di Lampedusa malgrado le condizioni del mare fossero proibitive, mentre l’imbarbarimento dell’opinione pubblica nei confronti degli immigrati non sembra certo attenuato dal “rigore” delle politiche espulsive attuate dal governo in carica. Un “rigore” contro i migranti che, come si sta vedendo anche in occasione del decreto sicurezza, non sembra coniugarsi neppure con l’efficacia e riesce soltanto a calpestare consolidati principi e garanzie dello stato di diritto, e dei diritti umani, sanciti dalla nostra Costituzione, dalle Convenzioni internazionali, dalle Direttive Comunitarie.
Lo stesso richiamo al “rigore”, in una vicenda nella quale erano stati soccorsi naufraghi, quale che fosse la loro posizione giuridica e il luogo del soccorso, richiama la posizione del precedente ministro degli interni Pisanu che nel luglio del 2004, nel corso di un vertice informale di ministri in Inghilterra, e poi in Parlamento, affermò che il caso Cap Anamur, nave tedesca che aveva salvato 37 migranti in procinto di naufragare nel Canale di Sicilia, non doveva diventare un “ pericoloso precedente”, spianando la strada alle successive incriminazioni degli operatori umanitari tedeschi per agevolazione dell’immigrazione clandestina. Anche in quella occasione il governo dell’epoca negò persino l’evidenza dell’intervento di salvataggio da parte di una nave che aveva il certificato di “nave umanitaria”, e giunse ad eseguire vere e proprie espulsioni collettive malgrado l’ordine di sospensiva giunto, purtroppo con ritardo, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
La risposta del sottosegretario Lucidi non stupisce neppure troppo, perché riafferma la gerarchia che ha stabilito anche il governo Prodi, tra contrasto dell’immigrazione clandestina e rispetto dei diritti umani. Una subordinazione di questi diritti fondamentali evidente dopo l’ultima missione che per conto del Ministro Amato ha effettuato a Tripoli, in Libia, per concordare con i vertici della polizia di quel paese le modalità di blocco e di respingimento dei migranti irregolari. E’ noto peraltro l’impegno di collaborazione e di sostegno economico, che da anni l’Italia assicura alla Libia, nella formazione delle forze di polizia, nell’assistenza e dunque nella presenza nei cd. centri di accoglienza, e nelle operazioni di allontanamento e di rimpatrio. Si esalta la collaborazione con la Libia e si trascurano i gravissimi abusi ai danni dei migranti irregolari in quel paese, ridotti spesso in condizioni di schiavitù, tacendo su vicende sulle quali soltanto di recente coraggiose fonti giornalistiche indipendenti stanno tentando di fare luce, nel silenzio complice dei grandi mezzi di informazione. E anche in Tunisia la situazione dei migranti irregolari, seppure meno grave, non è certamente tale da garantire l’effettivo rispetto dei diritti fondamentali della persona, a partire dal diritto di chiedere protezione internazionale. Con la Tunisia l’Italia ha concluso dal 1998 accordi di riammissione e di collaborazione di polizia, mentre con la Libia, dopo il viaggio di Gheddafi a Parigi e Madrid e dopo l’incontro tra Zapatero, Sarkozy e Prodi, a Roma, sembra tutto pronto, comprese le forniture di tecnologie, di aerei militari e di materiali nucleari, per la conclusione di nuove più efficaci “intese di cooperazione operativa” con i paesi nordafricani nella guerra contro le migrazioni “illegali”. Questo e non altro è il progetto di “Unione Euromediterranea”.
Gli accordi di riammissione, l’ultimo stipulato dal governo Prodi con l’Egitto nel gennaio del 2007, e la esternalizzazione dei controlli di frontiera hanno impedito che molti potenziali richiedenti asilo raggiungessero i paesi europei e hanno costituito la base per legittimare la detenzione amministrativa di profughi e migranti economici, con la delocalizzazione ai confini meridionali ed orientali dei centri di trattenimento.
Non sappiamo quanto tempo la sottosegretario Lucidi ed il ministro Amato vogliano dedicare ad una vicenda che hanno già catalogato come un caso di agevolazione dell’immigrazione clandestina, prima ancora della decisione della magistratura, dando per buoni rapporti di polizia tanto contraddittori quando lacunosi, al punto che non si risconta neppure un cenno sulle comunicazioni con le autorità tunisine e sull’intervento di unità della Guardia di finanza che avevano seguito i due pescherecci nelle prime fasi del salvataggio dei naufraghi, avvenuto in acque internazionali.
Vorremmo solo ricordare che, oltre alle più elementari regole di salvaguardia della vita umana a mare, in presenza di flussi misti, composti da migranti economici e di potenziali richiedenti asilo, come ricorda ancora oggi il Capo dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, non si possono effettuare respingimenti indiscriminati in alto mare, approfittando del fatto che in acque internazionali non vi sarebbe un divieto espresso in tal senso. Per affermare questo elementare principio non occorre neppure abrogare la Bossi-Fini, ammesso che un giorno ci si riesca. E non serve neppure tentare di eludere le proprie responsabilità richiamando inesistenti “obblighi” di fonte comunitaria. Semmai occorrerebbe rispettare gli obblighi derivanti dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo, senza trincerarsi dietro il facile alibi che gli interventi di salvataggio avengono in acque internazionali. Secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ovunque intervengono unità militari appartenenti ai paesi firmatari, le regole della CEDU impongono agli stati firmatari precisi obblighi di protezione. Quale che sia lo status giuridico dei migranti. La Corte europea dei diritti dell’uomo richiede in ogni caso una valutazione effettiva ed individuale dell’incidenza che l’espulsione dello straniero ( alla quale si deve equiparare il respingimento in frontiera) può avere sul rispetto dei suoi diritti fondamentali, e tale obbligo incombe ad ogni paese firmatario della CEDU, ovunque svolgano attività le proprie unità militari o di polizia. Una valutazione individuale, caso per caso, che dovrebbe essere compiuta prima di qualunque caso di respingimento alle frontiere marittime con l’identificazione personale, non certo in alto mare, ma dopo lo sbarco in un porto “sicuro”, un porto “sicuro” non soltanto perché offre protezione dalle insidie del mare, ma anche perché consente alla persona di esercitare i suoi diritti e di fare valere la richiesta di asilo come è previsto dal diritto internazionale e dalla normativa comunitaria.
Ecco, è proprio su questi temi che avremmo voluto conoscere la posizione del governo italiano a margine della vicenda giudiziaria che vede ancora coinvolti ad Agrigento sette pescatori tunisini “ colpevoli” di avere effettuato una azione di salvataggio. Una vicenda che presenta aspetti che potrebbero incidere sul processo Cap Anamur anche questo in corso davanti al Tribunale di Agrigento. Non si chiedeva di interferire sui processi in corso, nei quali sono peraltro emersi significativi elementi di innocenza degli imputati. La risposta del sottosegretario Lucidi , con le sue omissioni e con le sue inesattezze, nega il diritto del Parlamento e dei cittadini tutti a conoscere di questa materia, come si sottrae da tempo al Parlamento la approvazione degli accordi bilaterali di riammissione e di collaborazione nelle espulsioni che diventano sempre di più parte essenziale della nostra politica estera.
Anche questi comportamenti omissivi nella doverosa attività di risposta alle interrogazioni parlamentari, queste scelte di tacere o di alimentare confusione sui processi e sulle scelte politiche che vi sono sottese, rientreranno nella “verifica” delle attività di governo che non è solo appannaggio occasionale di una ristretta cerchia di ministri ma rientra tra i poteri-doveri dei cittadini tutti, in particolare delle reti sociali di salvaguardia dei soggetti più deboli che malgrado tutto si vanno costruendo dal basso, giorno per giorno.
Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo