Nel 2017, la ministra danese per l’immigrazione e l’integrazione, Inger Støjberg, suscitò controversie festeggiando con una torta il 50° emendamento restrittivo alla legge danese sull’immigrazione.
Ora, la Corte costituzionale danese l’ha condannata a 60 giorni di carcere per pratiche illegali adottate quando era ministra. La condanna è stata emessa con l’opinione contraria di un solo giudice su un totale di 26 e la Corte speciale per l’impeachment (una sezione speciale della Corte Suprema che interviene raramente) si è attenuta rigorosamente agli aspetti legali di un caso altamente politicizzato.
Durante il suo mandato, la ministra aveva adottato una linea dura sull’immigrazione e introdotto dozzine di restrizioni. Tra queste, un provvedimento del febbraio 2016 che aveva costretto 23 coppie di minorenni, sposati, a vivere separatamente.
Stoejberg ordinò la separazione delle coppie prima che la norma venisse cancellata dopo alcuni mesi.
L’ex ministra ha tentato di distogliere l’attenzione dal nocciolo della questione – l’illegalità dei suoi provvedimenti- affermando che “voleva proteggere le ragazze minorenni costrette a matrimoni forzati con uomini molto più anziani“, ma alla fine a questa cortina fumogena, un’argomentazione puramente politica, non è stato dato alcun peso.
Tuttavia, Støjberg ha una vasta platea di fedeli sostenitori, appartenenti principalmente all’estrema destra dello spettro politico danese, e anche se rischia di perdere il seggio in parlamento (Folketinget) a causa della sua condanna, molto probabilmente potrà ricandidarsi alle prossime elezioni generali, con notevoli possibilità di riconquistare il suo seggio.
Fino ad oggi, Støjberg è stata indicata da molti osservatori come il nuovo leader del populista Partito popolare danese (Dansk Folkeparti), ma da oggi su questo non c’è più certezza.