Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 24 febbraio 2004

«Benvenuto solo chi ha un lavoro» di Orsola Casagrande

Londra – Lavorate o andatevene. Così si possono riassumere le misure approntate dal governo Blair per affrontare l’arrivo dei nuovi membri dell’Unione europea in Gran Bretagna dal primo maggio. Nessuno sconto, nessun benvenuto. Una regola chiara: chi arriverà e sarà in grado di mantenersi potrà restare in Gran Bretagna. Gli altri dovranno andarsene, e se non lo faranno di loro spontanea volontà verranno rimpatriati forzatamente. Per due anni nessuno dei nuovi arrivati dai dieci nuovi membri Ue (Polonia, Slovacchia, Repubblica ceca, Slovenia, Lituania, Lettonia, Ungheria, Estonia, Cipro e Malta). Avrà diritto a chiedere benefits (cioè i sussidi) e quindi non potrà contare sul (limitato) aiuto statale per (ad esempio) pagare gli stratosferici affitti di una città come Londra.

Brutale il primo ministro Tony Blair aveva anticipato il ministro degli interni David Blunkett dicendo alla Bbc che «gli immigrati Ue che non potranno mantenersi verranno sbattuti fuori». Blunkett alla Camera dei comuni ha ribadito il concetto sottolineando che già dal primo maggio sarà istituito un registro dei lavoratori migranti (che dovranno appunto dimostrare di avere un lavoro che li attende e di potersi mantenere). Quindi nessuno potrà contare sui sussidi statali per almeno due anni. E ancora, i migranti potranno fungere da cavie nell’esperimento di introduzione di carte di identità che il governo Blair vorrebbe vedere istituite entro dieci anni. Blunkett ha detto che «chi vuole venire in questo paese per lavorare sarà il benvenuto. Ma non ci sarà spazio per il turismo dei sussidi», cioè per chi arriva legalmente in Gran Bretagna e quindi si adagia sul sistema dei benefits. Che per la verità non è così facile ottenere, nemmeno per i residenti.

Il ministro ha comunque confermato che non ci saranno «permessi di lavoro», come in molti altri paesi europei: i cittadini della Ue potranno continuare a venire nel Regno unito in cerca di lavoro senza permesso, ma dovranno (specialmente quelli di alcune nazionalità) fare i conti con le nuove regole.

Il pacchetto di misure presentato ieri da Blunkett è stato approvato dal consiglio dei ministri in una riunione piuttosto vivace convocata la settimana scorsa e presieduta da Tony Blair. L’incontro ha suscitato molte polemiche soprattutto perché la Gran Bretagna ha sempre sostenuto l’allargamento dell’Unione europea promettendo che non avrebbe posto limitazioni (e limiti) al movimento dei nuovi cittadini Ue. Ma ieri Blunkett è stato decisamente meno disponibile in questo senso. Un cambiamento di rotta che a molti è sembrato un improvviso attacco di panico. Dettato però più dal tentativo di rispondere ad una campagna di stampa (e della destra conservatrice) velenosa e molto violenta che non ad un reale pericolo di «invasione» (per usare un termine decisamente abusato da tabloids e tories in questi ultimi mesi).

Mentre Blunkett parlava ai Comuni ieri venivano resi noti i risultati di una indagine condotta per conto del Considerate Constructors Scheme, su trecento cantieri edili sparsi per l’isola. Il 10% dei lavoratori – è il dato più rilevante – parla inglese come seconda lingua. La maggior parte di questi lavoratori (quasi centomila, sul milione complessivamente impiegati nell’edilizia) proviene dall’Europa centro-orientale. Pochi, secondo la ricerca, hanno un permesso di lavoro anche se in molti risultano pagare le tasse. Questo per una «anomalia del sistema» (viene rilasciato una sorta di permesso temporaneo che non conferisce al lavoratore un full status, ma comporta il pagamento di tasse: l’anno scorso sono stati rilasciati quarantamila di questi permessi) sulla quale naturalmente si sorvola fintanto che le tasse vengono pagate ma della quale ci si ricorda subito quando si tratta di concedere i sussidi. Molti dei lavoratori stranieri impiegati sono idraulici e carpentieri, lavori ormai sul viale del tramonto in Gran Bretagna (tra i cittadini britannici) eppure estremamente richiesti. Migliaia sono poi i lavoratori stagionali, provenienti soprattutto dai paesi dell’Est europeo. Per loro la possibilità di un trasferimento permanente dopo il primo maggio rimane ancora un sogno.