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Che cosa prevedono le recenti norme di contrasto alle attività di terrorismo?

La legge di conversione del 31 luglio 2005 , n. 155 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 27 luglio n. 144, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, G.U. n. 177 del 1 agosto 2005), contiene non solo disposizioni destinate a potenziare gli strumenti di controllo, di repressione e di contrasto delle attività di terrorismo, ma anche disposizioni che in realtà sono utilizzabili per rendere la vita più difficile a persone molto meno pericolose e in vista, come i comuni immigrati in condizione regolare che cercano di sopravvivere sul territorio nazionale.

– “Permesso di soggiorno a fini investigativi” (art. 2)
Dal punto di vista degli spunti innovativi che riguardano gli strumenti di lotta al terrorismo, non si può dire che ci siano stati particolari sforzi di fantasia.

E’ stato inventato il “permesso di soggiorno a fini investigativi” (art. 2). Si tratta di un permesso di soggiorno di tipo premiale che verrebbe concesso a persone irregolari nel caso in cui collaborino alle indagini relative a delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico. Inoltre il permesso potrà essere rilasciato con notevole discrezionalità ovvero dal “questore, autonomamente o su segnalazione dei responsabili di livello almeno provinciale delle Forze di polizia ovvero dei direttori dei Servizi informativi e di sicurezza, ovvero, quando ne è richiesto, dal procuratore della repubblica”.
In realtà questo permesso di soggiorno altro non è che una riproduzione del permesso di soggiorno già previsto nel Testo Unico sull’Immigrazione (d.l.vo 25 luglio 1998, n. 286) all’articolo 18 (Soggiorno per motivi di protezione sociale) che in passato è stato giustamente utilizzato su ampia scala proprio per concedere permessi a collaboratori di giustizia e a persone che denunciavano reati di una certa gravità, commessi da organizzazioni criminali o che, comunque vittime di questi reati, collaboravano nello svolgimento delle indagini. Anche in questo caso il permesso di soggiorno per motivi investigativi – così come il permesso di soggiorno già esistente per motivi di protezione sociale – può essere poi convertito in permesso di soggiorno per lavoro (si veda l’art. 18, comma 5, cui fa espresso riferimento l’art. 2, comma 4, della legge 155/05 in oggetto).
L’impressione è che la previsione di un permesso di soggiorno a fini investigativi costituisca più il frutto di una politica di immagine, ovvero nasca dalla volontà di far vedere che si sta facendo qualcosa, e non costituisca invece una soluzione realmente originale dal momento che, come sopra rilevato, non vi è nulla di nuovo.

– “Nuove norme in materia di espulsioni degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo” (art. 3)
Anche le disposizioni di cui all’art. 3 della legge in oggetto rappresentano del “fumo negli occhi”. Si ha l’idea che siano stati predisposti nuovi strumenti in tal senso, ma, in realtà, si tratta semplicemente di una rielaborazione senza novità della possibilità – già prevista fin dal 1931 poi riprodotta dalla legge Martelli e dal Testo Unico dell’Immigrazione – di espulsione per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato (art. 13 del T. U. sull’Immigrazione).
Anche nel caso di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato, si prevede che sia immediata (art. 3, comma 2) e che, quindi, non vi sia la possibilità di ottenere una sospensione della stessa dal momento che non ci sono i tempi tecnici per avere una pronuncia del Tribunale. Quindi sembra inutile che si sia dovuta adottare una nuova disposizione di legge per precisare quanto era già noto e cioè che contro questi provvedimenti di espulsione il ricorso, anche se ammesso di fatto, è inutile perchè non ha nessun effetto sospensivo.
L’ultima annotazione su questa disposizione ci permette di capire meglio quanto si sia voluto far vedere che si fa qualcosa per non inventare niente di nuovo.

I ricorsi (art. 3, commi 4 e 5)
Al comma 5 dell’art. 3 si prevede che se nel corso dell’esame dei ricorsi contro i provvedimenti di espulsione, la decisione da emettere dipende dalla conoscenza degli atti del procedimento per i quali sussiste il segreto d’indagine o il segreto di Stato, il procedimento è sospeso fino a quando l’atto o i contenuti essenziali dello stesso non possono essere comunicati al Tribunale amministrativo.
In parole più semplici, il processo rimane sospeso fino a quando viene meno il segreto di Stato o comunque il segreto delle indagini. Anche qui non si è inventato nulla di nuovo.
Abbiamo visto negli anni (soprattutto nel periodo della prima guerra del golfo) provvedimenti di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato, basati su segnalazioni dei servizi segreti. Si è potuto inoltre notare che nel caso in cui si proponeva il ricorso contro questi provvedimenti, non era possibile acquisire gli atti del procedimento ed il contenuto delle segnalazioni. Il tribunale ordinava quindi l’acquisizione degli atti per capire quali erano i motivi veri per cui si riteneva così pericolosa una persona da espellerla immediatamente, ovvero sradicarla ed allontanarla dalla famiglia se residente in Italia. Alla fine si scopriva – quando il fascicolo arrivava dal ministero – che l’atto veniva effettivamente messo a disposizione, ma era completamente segretato, ovvero coperto dal famoso “omissis”. Di questo atto si aveva solo l’intestazione ed il parere finale, ma non il contenuto con la conseguenza che non si poteva capire perchè l’interessato veniva considerato pericoloso. D’atra parte, se una persona viene considerata pericolosa per la sicurezza dello Stato ed è sottoposta a sorveglianza discreta, ovviamente anche nelle relazioni che ha con altri, è evidente che l’accesso al contenuto delle informazioni riferite ad una persona permetterebbe evidentemente di conoscere anche informazioni riferite ad altre, che invece necessitano di essere mantenute riservate.
Non si capisce quale sia stato il motivo che ha spinto il Governo a fare una nuova legge per dire le stesse cose che sono già dette in leggi vecchie, se non per dare alla popolazione l’idea che si sta facendo qualcosa di nuovo e di più consistente. Questo in realtà produce un solo risultato: quello di aumentare l’allarme sociale, divulgare timore e panico verso ogni straniero come si trattasse di un soggetto potenzialmente e generalmente pericoloso.

Sempre nella legge n. 155/2005, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, troviamo poi disposizioni che per la verità non sembrano avere molto a che fare con queste motivazioni.
Il travisamento (art. 10, comma 4bis)
All’art. 5, comma 1 della legge 22 maggio 1975, n. 152 contenente “Disposizione a tutela dell’ordine pubblico” (G.U. n. 136 del 20.05. 1975) si prevede che “è vietato prendere parte a pubbliche manifestazioni svolgentisi in luogo pubblico o aperto al pubblico, facendo uso di caschi protettivi o con il volto in tutto o in parte coperto mediante l’impiego di qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona”. Ebbene la normativa in oggetto, sostituendo l’art. 5, comma 2 delle l. 152/75, dispone in questi casi un appesantimento della pena prevista disponendo all’art. 10, comma 4bis, che il contravventore sia punito con “l’arresto da uno a due anni e con l’ammenda da 1.000 a 2.000 euro”. Originariamente (art. 5, comma 2 della legge 152/75) si prevedeva “l’arresto da uno a sei mesi e con l’ammenda da lire cinquantamila a lire duecentomila”.
Si tratta di un aumento decisamente drastico di una sanzione riferita a comportamenti che non hanno nulla a che vedere con gli atti di terrorismo, a meno che non si equiparino questi ultimi alle manifestazioni pubbliche nel corso delle quali viene utilizzato un travisamento o un casco di protezione. Sembra che questa legge rappresenti un’occasione per infilare disposizioni che hanno tutt’altra destinazione e che, passando in secondo piano, trovano più agevolmente consenso in quanto si sottraggono più facilmente al dibattito.

– “Nuove disposizioni in materia di arresto e di fermo” (art. 13, comma 1)
Maggiori difficoltà per ottenere il permesso di soggiorno
Per quanto riguarda in particolare la condizione dell’immigrato irregolare, all’art. 13 viene modificato l’art. 380, comma 2, lettera i), del Codice di Procedura penale prevedendosi che questo articolo (dedicato anche alle ipotesi di arresto in flagranza) si applichi anche a reati puniti con pena “non inferiore nel minimo a 4 anni (e non 5 come precedentemente previsto) o nel massimo a 10 anni”. L’abbassamento di un anno della soglia di gravità di determinati reati a fronte della quale si prevede l’arresto in flagranza, comporta delle conseguenze per quanto riguarda la possibilità di ottenere sia il visto di ingresso che il permesso di soggiorno o il rinnovo dello stesso.
All’art. 4 del T.U. sull’Immigrazione (“Ingresso nel territorio dello Stato”, come modificato dalla legge Bossi-Fini) si prevede che non possa entrare in Italia, o se già soggiornante non possa rinnovare il permesso di soggiorno, chi è stato condannato anche a seguito di semplice patteggiamento (quindi anche senza accertamento dibattimentale) per determinati reati. I reati che comportano la preclusione, o l’ostativa all’ingresso in Italia, sono previsti all’art. 380 comma 1 e 2 del Codice di procedura penale (art. 4, comma 3, del Testo Unico sull’Immigrazione). Con questa modifica si va quindi a comportare per gli immigrati regolarmente soggiornanti un maggior rischio di non poter rinnovare il permesso di soggiorno per reati di modesta entità, o meglio, per reati di entità ancor più modesta di prima.
Questo tipo di norma non ha evidentemente nessuna rilevanza rispetto alle condotte relative al terrorismo e, quindi, non trova una destinazione diretta verso le stesse, ma, semplicemente, verso la massa di immigrati e in relazione a condotte di microcriminalità che nulla possono avere a che fare con condotte terroristiche.

– “Nuove fattispecie di delitto in materia di terrorismo” (art. 15)
Sempre soffermandosi sugli aspetti più rilevanti della normativa in oggetto, si precisa che vengono create nuove fattispecie di delitti in materia di terrorismo.

Dopo l’art. 270 ter si aggiungono nel Codice di procedura penale gli artt. 270-quater, 270-quinques e 270-sexies.

All’art. 270 quater viene creato il reato di “arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale” prevedendosi che “Chiunque, al di fuori dei casi di cui all’articolo 270-bis, arruola una o più persone per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da sette a quindici anni”.
Si può dire che si è voluto colmare una lacuna del nostro ordinamento penale perché non era previsto un reato di arruolamento finalizzato all’impiego all’estero in attività terroristiche. Ricordo che recentemente aveva fatto scalpore una sentenza che proscioglieva dallo specifico capo di imputazione uno straniero accusato di terrorismo proprio perché la sua attività di arruolamento non sarebbe stata destinata ad attività terroristiche in Italia bensì all’estero e, quindi, non si considerava punibile per questo.
Ora, con la modifica introdotta anche queste condotte vengono punite, come pure l’ “addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale” previsto all’art. 270-quinquies c.p. ove si prevede che “Chiunque, al di fuori dei casi di cui all’art. 270-bis, addestra o comunque fornisce istruzioni sulla preparazione o sull’uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. La stessa pena si applica nei confronti della persona addestrata”

Ma quello che più incuriosisce è l’art. 270 sexies intitolato “Condotte con finalità di terrorismo”, che recita:
Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonchè le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia”.
La descrizione di questa condotta sembra un po’ fumosa, quasi un contenitore destinato a raccogliere le attività più disparate, e situazioni che dobbiamo ancora immaginare. Ma come si sa, la realtà supera la fantasia…
La previsione in oggetto, dal punto di vista del rispetto del principio di tassatività della norma penale (per cui una persona può essere condannata solo per un fatto specificamente previsto dalla legge come reato e non per una condotta generica) lascia qualche perplessità perché non è facile capire quali condotte possano rientrarvi.

Le considerazioni svolte non hanno l’intenzione di obiettare qualcosa rispetto agli interventi di repressione delle attività terroristiche, ma più che altro di sottolineare come, sfruttando la sensibilità ed il consenso popolare rispetto ad interventi che dovrebbero essere destinati al contrasto del terrorismo, in realtà i politici tendono a non inventare nulla di nuovo – come il permesso di soggiorno per fini investigativi o l’espulsione per motivi di sicurezza dello Stato – per poi invece toccare altre questioni che nulla hanno a che fare con la lotta al terrorismo.
C’è quindi una sorta di squilibrio in queste scelte, come pure quando si adottano disposizioni che a fronte di reati di sempre più modesta entità comportano semplicemente l’entrata nell’irregolarità di persone che magari vivono in Italia da anni, lavorano regolarmente e non rappresentano una particolare pericolosità nè per la sicurezza dello Stato nè per la comunità più prossima. Si tratta di condizioni che hanno certamente un’incidenza sulla vita degli immigrati anche attraverso un aumento ingiustificato dell’allarme sociale a fronte di strumenti di discutibile efficacia.