Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Crescono le proteste contro la Grecia per il trasferimento dei profughi in fabbricati “non adatti neppure per gli animali”

Mark Townsend, The Guardian, 28 maggio 2016

Foto: Carmen Sabello, #overthefortress

Le condizioni nel sistema dei nuovi campi profughi permanenti in Grecia sono state definite così squallide e carenti di servizi essenziali da non essere “adatte neppure per gli animali”. La scorsa settimana, circa tremila profughi sono stati trasportati in quest’area dopo che il grande campo improvvisato di Idomeni, vicino al confine tra Grecia e Macedonia, è stato definitivamente sgomberato dalla polizia.

Le prime testimonianze dei volontari a cui è stato concesso l’ingresso nella struttura militare, assieme ad alcuni scatti fotografici, mostrano una spaventosa mancanza di servizi (l’acqua corrente è tra questi) e condizioni igieniche disperate all’interno dei magazzini fatiscenti, che non sembrano abitabili.

La chiusura di Idomeni, inoltre, ha equivalso alla scomparsa di quattromila persone, tra uomini, donne e bambini, che sono risultati dispersi in seguito alla demolizione di quello che è stato il più grande campo profughi improvvisato d’Europa. Si presume che i profughi dispersi, tra i quali rientra un numero indefinito di minori non accompagnati, vivano per le strade di città greche come Salonicco, si nascondano nelle foreste vicino al confine con la Macedonia, oppure siano stati portati verso nord dai trafficanti.

Ora, con la chiusura del confine, i profughi diretti in Europa continuano a compiere il pericoloso viaggio che dal nord Africa attraversa il Mediterraneo. La scorsa settimana, al largo delle coste libiche due imbarcazioni si sono capovolte nel giro di ventiquattro ore. Almeno cinque persone sono morte; la Marina italiana ne ha salvate 562, portando il totale di persone trasferite nel paese quest’anno a circa 40.000.

Giovedì, mentre il campo di Idomeni veniva ufficialmente chiuso, la guardia costiera italiana ha annunciato il coordinamento di ventidue distinte operazioni di salvataggio, che hanno portato in salvo più di 4.000 persone, rendendola una delle giornate più impegnative della crisi dei migranti nel Mediterraneo.

Le prime testimonianze dai campi greci hanno spinto a chiedere dei provvedimenti. Alcune foto scattate all’interno di uno dei nuovi campi, in una zona industriale a Sindos nella periferia di Salonicco, mostrano fabbricati coperti di immondizia, circondati da tende montate su luridi pavimenti di cemento.

Non c’era acqua corrente, non veniva fornita assistenza sanitaria, figuriamoci i traduttori; non c’erano alimenti per bambini, nessuna valutazione ambientale, non è stato fatto alcun piano di evacuazione”, ha dichiarato Phoebe Ramsey, una volontaria che dall’inizio dell’anno aiuta i profughi nel nord della Grecia.

La situazione nei nuovi campi militari è disastrosa, e varia dallo sterile e deprimente, al pericoloso e inadatto persino agli animali,” dice, lasciando intendere che le condizioni siano ancora peggiori che a Idomeni, cinquanta miglia a nord.

Alexandria South, una volontaria che ha visitato un altro campo situato in una vecchia conceria nella periferia di Salonicco, ha parlato di condizioni terribili: mucchi di vetri rotti e magazzini con tutte le finestre sfondate.

Non c’era acqua corrente, docce, elettricità o legna per fare un fuoco”, ha detto. “Le mamme non avevano acqua calda per gli alimenti dei neonati né per sterilizzare i biberon, e dovevano usare l’acqua fredda.”

La volontaria ha raccontato che la situazione è peggiorata quando l’esercito greco incaricato di sovrintendere allo sgombero di Idomeni ha esaurito le scorte di acqua e ha ordinato ai volontari che distribuivano acqua e cibo ai profughi di rifornire prima l’esercito.

Il primo giorno, l’esercito razionava le bottiglie d’acqua per le famiglie”, ha dichiarato South. “Il secondo giorno, però, non era rimasto nulla, e nonostante ci siano state nuove forniture alcuni hanno raccontato di essere stati tenuti nel campo senza acqua per tre ore.

Ha raccontato che c’erano solo sei bagni chimici, per un totale di circa mille profughi e che, vista l’assenza di una rete Wi-Fi, era impossibile fare richiesta di asilo. Allo stesso modo, ai profughi non è neppure stato detto in che parte della Grecia sarebbero stati ricollocati.

Giorgios Kyritsis, il portavoce greco per l’immigrazione del partito di sinistra Syriza al governo, ha respinto l’accusa che il campo mancasse dei servizi essenziali. “Ci sono acqua ed elettricità dappertutto. Uno dei motivi per cui abbiamo scelto vecchi impianti industriali invece che campi all’aperto è stato proprio questo”.

Ogni volta che viene aperto un nuovo sito all’inizio ci sono problemi, ma poi aggiungiamo servizi e li risolviamo debitamente. Non stiamo dicendo che la situazione sia perfetta, vogliamo migliorarla, ma non c’è assolutamente alcun paragone tra le nuove strutture e Idomeni. Almeno ora hanno un tetto sulla testa. Non si bagnano quando piove e non sono costretti a vivere nel fango. Questo è sicuramente un miglioramento, no?

Kyritsis ha negato che migliaia di rifugiati risultino dispersi dopo la chiusura del campo di Idomeni.

Altre organizzazioni, tra cui Medici senza Frontiere, hanno segnalato molti casi di pazienti disperati, poiché era stato chiesto loro di lasciare Idomeni senza che fosse fornita alcuna indicazione sulla loro destinazione.

Venerdì le Nazioni Unite hanno sollecitato la Grecia a migliorare in tempi brevi le condizioni “sotto lo standard” di quelli che sono stati descritti come depositi fatiscenti e poco aerati, e fabbriche con cibo, acqua e servizi igienici non sufficienti. Anche l’International Rescue Commettee (Comitato Internazionale di Soccorso) ha espresso le sue preoccupazioni e ha chiesto provvedimenti immediati per migliorare gli standard.

Dalla chiusura della rotta dei Balcani verso il nord all’inizio dell’anno, circa 54.000 persone sono state abbandonate in Grecia, in campi sovraffollati. Gli arrivi sono però notevolmente diminuiti da quando, due mesi fa, è entrato in vigore l’accordo tra Unione Europea e Turchia.